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Dopo un anno di crisi

Dalle dichiarazioni di un anno fa al recentissimo convegno di Cernobbio: prove generali di accordo sindacale, ma gli attori hanno idee e ricette per aiutare una soluzione della crisi economica

Di Giacomo Nigro


E' da un anno che giornalmente si susseguono notizie negative e positive sulla crisi in atto, mettendoci tutti su una giostra instabile e ansiogena; speriamo che chi guida la giostra abbia i nervi saldi e sopratutto l'onestà di riconoscere definitivamente gli errori commessi senza ricaderci.

Facciamo un passo indietro fino al novembre scorso: "Dalla ricognizione che stiamo facendo, proprio in queste ore della crisi, mi fa dire che sta arrivando una valanga, servono interventi di grandi proporzioni". Lo dichiarò il segretario generale della CGIL, Guglielmo Epifani. Due i problemi da affrontare per il segretario della CGIL: "l'accesso al credito, che le banche, che pur hanno liquidità, tendono a non usare, e i consumi delle famiglie, che calano". Per Epifani "bisogna sostenere, da un lato, la domanda con sgravi" e dall'altro "fare un accordo serio con le banche".

"Abbiamo preparato una piattaforma per fronteggiare la crisi e abbiamo chiesto un incontro al governo per sostenere una politica economica più incisiva per sostenere i redditi più bassi. Se il governo dovesse accogliere il senso delle nostre proposte, noi siamo pronti a revocare lo sciopero. Se dovesse andare in una direzione sbagliata, si farà lo sciopero" aggiunse Epifani parlando della protesta che si tenne il 12 dicembre.

La CGIL è stata sola a rivendicare il merito di un accordo unitario, disatteso da CISL e UIL, in base al quale si chiedeva al governo di intervenire per la tutela dei redditi bassi. Il governo rigettò quelle rivendicazioni e confermò la legge 133 approvata a luglio nei famosi 9 minuti. Mentre il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia si dichiarava disponibile alla firma di un accordo separato sulla riforma del modello contrattuale, avanzato dal Governo, e già sottoscritto in primavera da CISL e UIL .

Tornando all'attualità, qualcuno ancora sostiene che ci siano segnali di ripresa, ma la disoccupazione aumenta. I banchieri centrali sono ottimisti, mentre i manager tedeschi ammettono candidamente di attendere l'esito delle elezioni in Germania per ristrutturare le aziende. Per spiegare il momento che attraversa l'economia Guglielmo Epifani usa la metafora del pozzo: "Quello in cui siamo caduti è profondo cento metri. Siamo arrivati in fondo, ma prima di tornare all'aperto passeranno anni".

Il segretario della CGIL ci tiene a dire che fino a quel momento la sua organizzazione "farà la sua parte e avanzerà le sue proposte" per evitare ulteriori contraccolpi sul Paese. "Senza ideologismi", a partire dalla trattativa sugli imminenti rinnovi contrattuali, che tanto preoccupano il leader della CISL Raffaele Bonanni: "Può stare tranquillo, non siamo intenzionati ad abbandonare nessun tavolo. Si facciano dei buoni contratti nazionali, e vedrà che ne avranno un beneficio anche le intese aziendali".

Eppure Confindustria, governo, CISL e UIL rinfacciano alla CGIL di non aver firmato l'accordo con il Governo della scorsa primavera. "Non siamo mai stati ideologicamente contrari ai contratti di secondo livello. Tutti sanno i motivi per i quali non firmammo" ribatte Epifani. "Quell'intesa esclude dal salario aziendale metà dei lavoratori, in particolare delle piccole imprese. Noi invece siamo favorevoli alla estensione del secondo livello a tutti i lavoratori. Secondo: non tutela il salario nazionale dall'andamento dell'inflazione. Terzo: permette la deroga al contratto nazionale sia in termini di salario minimo che di diritti sindacali". Poi è arrivata la crisi. E le priorità sono cambiate: "Ora il problema è dare un salario a chi il lavoro lo sta per perdere o l'ha perso".

La CGIL teme un forte aumento della disoccupazione, eppure gli indicatori potrebbero annunciare una ripresa lenta per il prossimo anno. "Nessuno nega che abbiamo iniziato a risalire il pozzo. Ma per tornare ai livelli di produzione e di occupazione del 2007 dovremo attendere il 2013 o 2014. Su questo tema noto nel governo un atteggiamento evasivo" dice Epifani.

"Le cose vanno viste nella loro concretezza. Si facciano dei buoni contratti nazionali, se si ascolterà quel che ha da dire la CGIL ci sarà anche la nostra firma con il voto dei lavoratori. Il punto è che mentre i salari italiani restano i più bassi d'Europa, l'Irpef è l'unica voce di entrata che non conosce crisi. La via d'uscita è la riduzione fiscale di tutti i redditi da lavoro".

Intanto a Cernobbio il presidente degli industriali Emma Marcegaglia ha rivolto un appello ai sindacati perché con Confindustria facciano "parte integrante di un progetto Paese". "La CGIL è un grande sindacato - dice in particolare rivolgendosi a Guglielmo Epifani -. In un momento difficile come questo bisogna far prevalere le cose che ci uniscono, rispetto a quelle che ci dividono". "Conviene a tutti affrontare la crisi più uniti", le risponde la CGIL.

Dai lavori del forum Ambrosetti di Cernobbio emergono insomma segnali forti sulla volontà di voltare pagina nelle relazioni tra CGIL e Confindustria, in vista anche di un autunno, che dopo i lunghi mesi della crisi, si preannuncia particolarmente complesso. Il dialogo in questi mesi non si era mai interrotto, anche dopo la firma sperata al nuovo modello contrattuale. Ma certo gli attriti non sono mancati.

I grandi temi sul tavolo vanno dalla crisi ai contratti, alla partecipazione dei lavoratori agli utili (di cogestione "proprio non se ne parla", dice però perentoria Marcegaglia). Epifani stesso ribadisce a più riprese la propria contrarietà sul modello contrattuale (restano "tre obiezioni forti, tutte fondate", afferma chiedendo una risposta a Confindustria).

Le divergenze insomma non mancano, ma l'acuirsi della crisi sembra spingere entrambe le parti a evitare arroccamenti. "La priorità dell'autunno e dell'inverno è la difesa del lavoro e dell'occupazione", dice Epifani. "Non siamo davanti a una catastrofe - dice però Marcegaglia -. Il problema della disoccupazione ci sarà, bisogna vigilare e intervenire anche con gli ammortizzatori sociali, ma niente panico".

"Mi auguro che non ci sia un autunno caldo", sottolinea Marcegaglia. Ma per evitarlo, nota Epifani, "non bastano da soli il sindacato e i lavoratori, ci vuole la responsabilità delle imprese, ci vuole l'azione del governo più forte e più incisiva".

Emma Marcegaglia chiede un fondo pubblico-privato per la ripatrimonializzazione delle imprese. E una più forte detassazione e decontribuzione del salario territoriale. Epifani dichiara: "D'accordo sulla prima richiesta, solo in parte sulla seconda. E' vero, esiste un problema, tuttora irrisolto, sulla decontribuzione di una parte del salario aziendale che non ha copertura da parte dello Stato. La detassazione del salario aziendale al 10% è sufficiente. Il problema è che di accordi se ne fanno pochi per le resistenze delle imprese". Sul fronte governativo Tremonti continua a tenere sotto pressione il sistema bancario italiano, reiterando le accuse mosse durante il G20 di Londra. "I soldi per le imprese li possono mettere i governi e le banche", ha detto Tremonti, ma se il governo ce la sta mettendo tutta, le banche devono ancora fare "moltissimo". Il ministro critica in particolare quegli istituti di credito che non si sono ancora serviti dei Tremonti-bond. Dire che non servono, spiega Tremonti, significa andare "contro gli interessi del Paese" e fare "un maleficio alle imprese". Non ha senso affermare che costano troppo, perché "non sono fatti per le banche ma per le imprese". Tremonti ricorda l'effetto leva che generano: "per 10 miliardi di titoli sono possibili fino a 100 miliardi di finanziamenti".

Per ora i bond governativi sono stati presi solo dal Banco Popolare. Tergiversano invece le banche più grandi, Unicredit e Intesa Sanpaolo, che ipotizzano di non utilizzarli. E proprio le maxibanche che ragionano "da grande industria bancaria", secondo "il modello Mckinsey" (scuola a cui debbono parte della loro formazione sia Alessandro Profumo che Corrado Passera), sono state giudicate da Tremonti inadatte a servire un tessuto produttivo come quello italiano, "fatto per il 90-95% da piccole e medie industrie". Tremonti ha inoltre gelato le attese per una rapida detassazione delle perdite su crediti, chiesta a gran voce dal sistema bancario.

Come si vede gli attori hanno idee e ricette, ma chi deve fare sintesi si arrocca dietro le proprie teorie e stenta a produrre fatti che guidino la navicella italiana verso la ripresa; ciò ci dà anche la misura e spiega il senso della continua ridda di notizie ottimistiche e pessimistiche che si inseguono sulla soluzione della crisi economica.

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