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Un nodo da sciogliere

Iran

Gli ultimi fatti ripropongono il tema Iran come centrale per la pace in Medio Oriente. Le proposte di Ahmadinejad sono reali e percorribili? Quali sono i problemi che si frappongono alla riapertura di un dialogo tra Washington e Teheran?

Di Il Nibbio


Credo che i fatti recenti avvenuti a Teheran abbiano stupito molte persone: elezioni e successiva rivolta in piazza. Poi l’annuncio di Ahmadinejad, appena rieletto, che si è dichiarato pronto ad aprire un dialogo con i paesi del gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina - più la Germania), per "risolvere i problemi del mondo".

Da quanto detto, il nucleare è per ora escluso, ma uno spiraglio è rimasto aperto anche se Ahmadinejad dichiara che il programma nucleare corrisponde a un diritto "ovvio e innegabile" dell'Iran e ammette che dell'atomica si potrà parlare "solo in un quadro logico e giusto". Secondo Ahmadinejad, infatti, il programma nucleare corrisponde a un diritto "ovvio e innegabile" dell'Iran, ma spiega anche che ci si deve concentrare sulla "cooperazione per l'uso pacifico dell'energia atomica", assicurando che Teheran continuerà le sue attività in campo nucleare, ma "in stretta collaborazione con l'Agenzia Internazionale dell'Onu per l'Energia Atomica".
Ahmadinejad si è dichiarato disponibile ad un incontro pubblico con il presidente americano davanti ai media, e questo potrebbe avvenire in occasione dell'annuale sessione ordinaria dell'Assemblea Generale dell'Onu. Ahmadinejad ha criticato l'amministrazione Obama per la presa di posizione sulle agitazioni di piazza per i presunti brogli alle elezioni, che hanno dimostrato, secondo il capo di governo iraniano, che "gli slogan di cambiamento erano falsi". E ha concluso: "Non c'è ancora una chiara determinazione per un cambiamento di approccio".

Queste parole sono un’evidente risposta all’invito di Obama e possono essere interpretate in modi opposti: una finta apertura che tende a ribadire il progetto nucleare e fissa contenuti per l’incontro al di là di possibili soluzioni reali o una conferma all’invito di Obama, mettendo in evidenza i limiti della discussione.
Questo in sintesi quanto è avvenuto negli ultimi tempi.

Per meglio capirene il significato si deve conoscere meglio la realtà iraniana. Purtroppo la propaganda fatta nel decennio di Bush ha offuscato molte cose. Noi siamo indotti a credere che L’Iran sia ancora un monolite di islamismo radicale, come è nato dalla rivoluzione di trenta anni fa, ma non è così; anche per loro il tempo è passato, l’epoca delle rivoluzioni è lontano e le agitazioni di piazza hanno dimostrato che all’interno del gruppo di potere ci sono posizioni molto differenziate e contrastanti.

Il potere politico oggi in Iran è ancora in mano saldamente al capo spirituale “Guida Suprema" della Rivoluzione, l'ayatollah Ali Khamenei; infatti per costituzione è una “Repubblica Islamica”. La sua posizione per il nucleare è chiara: è la stessa di Ahmadinejad. Khamenei si rende anche conto che è necessario trattare con gli Stati Uniti e su questi due argomenti è lui alla fine a decidere.

Il quadro politico interno è ormai molto variegato. L’ambito radicale si può dividere in due tronconi netti. I pragmatici, a cui appartengono Ahmadinejad, il presidente del parlamento Lariani, meno radicale, e Ghalibaf, il sindaco di Teheran. Poi vi sono i radicali veri, appartenenti ad Hezbollah come: Hussein Shariatmadari, direttore del quotidiano Keyhan e Ghazi Mortasavi, giudice del tribunale islamico. La distanza tra i due poli opposti dei conservatori è enorme al punto che sembra impossibile assegnare la definizione di conservatori ad ambedue gli estremi. L'unico punto che li unisce è il riconoscimento della leadership dell'Ayatollah Ali Khamenei. Nei programmi politici si differenziano su tutto, perfino sul programma nucleare. Vi è poi il gruppo dei riformatori, che però ha poco peso.

Il potere oggi si gioca nell’ambito dei radicali pragmatici e c’è un motivo per questo: come per tutti i popoli, anche in Iran i fanatici sono una piccola minoranza. Il popolo desidera vivere in pace, possibilmente bene e l’Iran ha le risorse per far vivere “bene” la sua gente.

Allora cosa chiede la gente al governo?

A questa domanda risponde in modo chiaro il prof. Hushang Amir-Ahmadi, direttore dell'American-Iranian Council, in un’intervista concessa al giornalista iraniano Omid Memarian e pubblicata da LimesOnline nel giugno del 2008: "Molti in Iran pensano di dover cambiare la legge elettorale. Economia e giustizia, rapporti con l'America, le libere elezioni”.

Perché è sentita la necessità di entrare in dialogo con gli yankee? Perché solo un accordo con loro può risolvere le enormi tensioni esistenti nel Medio Oriente, partendo dalla presenza pericolosa di Al Qaeda e dall’Afganistan, passando per l’Iraq e finendo con Israele; ma queste sono anche le priorità di Obama.

Ma cosa si oppone ad intraprendere una trattativa vera?
Almeno due sono le difficoltà. La prima è di ordine logistico: le relazioni tra Teheran e Washington sono interrotte da più di vent’anni e oggi si deve ricostruire il tessuto di dialogo, ma a questo problema la dichiarazione di Ahmadinejad dà già un’indicazione precisa: ambito ONU, G5 allargato.

La seconda, sicuramente la più difficile da superare, è costituita dai “veti” posti dagli alleati che potrebbero non gradire il ravvicinamento USA - Iran. L’islam sciita ha oggi come riferimento Teheran, possiamo elencare per prima la Siria, seguita dai movimenti Hezbollah e Hamas. Per gli USA la situazione è decisamente più complicata perché ai paesi islamici sunniti (Egitto, Arabia Saudita, Emirati arabi, ecc) si aggiunge la Turchia e il Israele. Quest’ultimo oggi è molto spinto verso una destra intransigente e gli ebrei hanno un peso importante a Washington.

Obama ha già fatto inviti decisi perché Gerusalemme smetta il suo comportamento oltranzista, ma questi non sembrano aver modificato l’atteggiamento del gruppo di potere in Israele.

Nello stesso tempo anche Ahmadinejad batte, in modo aggressivo e pesante, sul tasto Israele, questo non facilita certo un ammorbidimento della controparte. C’è solo da sperare che queste intransigenze siano solo apparenti, fatte solo per dare uno spazio reale alla trattativa, ma se questo è pensabile per l’Iran è difficile immaginarlo per Israele, dove gli interessi dei coloni non sono ideologici, ma reali e pesanti.

Vi sono poi da superare le barriere peoste all’interno di USA ed Iran: una buona comunicazione e la messa in risalto dei vantaggi della pace in medio oriente potrebbero ben giocare, specialmente per Obama che si troverebbe ad avere maggiori risorse da spendere per il superamento della crisi.

Credo che il nodo “nucleare” sia invece superabile. Anche se non è bene, l’Iran ha già ormai le tecnologie e di fatto è diventato un paese “nucleare”: su questo punto non si può più tornare indietro, ma si può limitare il danno; non solo, i paesi che circondano Teheran sono quasi tutto in possesso dell’arma nucleare: Israele, Pakistan, India, Russia, Cina, Corea del Nord; anche questo può essere ben giocato come punto dove trovare un accordo che soddisfi tutti e forse proprio la frase di Ahmadinejad: “ cooperazione per l'uso pacifico dell'energia atomica ” potrebbe indicare il percorso da seguire.

Riusciranno Obama e Ahmadinejad a riprendere le trattative?
Molto difficile a dirsi; oltre alle difficoltà sopra citate, ve ne sono due contingenti: Ahmadinejad ha avuto le agitazioni di piazza contro di lui e queste sono state appoggiate, almeno a parole, dagli USA, e Obama è impegnato a superare le difficoltà interne per la necessaria riforma sanitaria. Dobbiamo sperare che la trattativa riprenda, magari partendo da incontri di ping pong, come è stato con la Cina al tempo di Nixon.

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