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Scenari

Immigrati e lavoro, quelle verità da sapere

Nel profondo nord, culla della difesa della “razza”, la realtà mostra come gli immigrati del terzo mondo siano una importantissima risorsa per la produzione del reddito

Di Matteo Ferrazzi


Bergamaschi, bresciani, vicentini, modenesi sono notoriamente grandi lavoratori. Le rispettive province pagano una parte importante della nostra “bolletta” di importazioni e danno un contributo senza paragone al cosiddetto sistema Italia: l’export di queste quattro province assomma ad un valore ben più elevato dell’export di tutto il Sud Italia (8 regioni italiane, isole comprese). Il solo export bergamasco supera di gran lunga, secondo l’Istat, la somma di quello della Puglia, del Molise, della Basilicata e della Calabria. Non molti sanno però che oltre il 40% del valore aggiunto manifatturiero delle quattro province citate è prodotto da immigrati, da stranieri. Questo numero impressiona: mentre l’opinione pubblica ha lo spirito ben sintonizzato sui decreti sicurezza, sulle ronde e sul reato di clandestinità, l’economia reale è - possiamo ben dirlo - più accogliente.

La percentuale prodotta da immigrati in ambito manifatturiero è molto elevata in numerose province del Nord Italia, proprio quelle a maggior vocazione industriale (mentre è bassa - intorno al 15-20% - nel Sud Italia).

I ceti produttivi (industriali, commercianti, professionisti) hanno concesso nell’ultimo decennio molta fiducia al governo su diverse tematiche, ma sul tema dell’immigrazione le imprese guardano con sospetto ai vari tentativi di fare i duri con i deboli. Quest’anno un intero capitolo delle considerazioni del Governatore della Banca d’Italia è stata dedicata al tema immigrati; e non certo perché gli economisti della Banca d’Italia amino dilettarsi in dettagliate analisi sociologiche, ma perché il tema immigrazione è strettamente inerente al futuro dell’economia italiana.

Non è solo una questione di etica ma anche di spirito del capitalismo, per dirla alla Max Weber, e del nostro futuro. La qualità del cosiddetto capitale umano del nostro paese dipenderà in misura determinante dalle competenze della popolazione immigrata, competenze già acquisite o da acquisire (in particolare la lingua, le abilità professionali, il possibile accesso all’università, l’integrazione dei figli).

Tra il 2003 ed il 2008 il numero di stranieri residenti in Italia è più che raddoppiato fino a sfiorare i 3 milioni e mezzo di persone, il doppio di quanti ve ne erano cinque anni fa. Si tratta del 6% della popolazione (tale percentuale è comunque circa la metà di quella francese, inglese e tedesca). Fino agli anni Ottanta del Novecento, in un passato quindi molto recente, l’Italia era terra di emigranti (con flussi netti in uscita di circa 30 mila persone negli anni Ottanta). Tale saldo è poi divenuto largamente positivo: 450 mila persone immigrate in Italia ogni anno mediamente tra il 2002 ed il 2007. Vi è poi da aggiungere una cospicua componente “irregolare”, composta per lo meno da 650 mila persone (anche questa è una stima della Banca d’Italia), che è un numero davvero imponente: l’ipocrisia di far finta di nulla e creare stranieri e lavoratori “fantasma” è davvero odiosa, purtroppo coerente però con la tendenza italica al lavoro nero, all’evasione fiscale, all’abitudine di creare tante regole che poi vengono disattese.

Rispetto agli altri paesi Europei attiriamo immigrati poco qualificati: Il 14% degli immigrati che vivono in Italia ha la laurea, rispetto al 60% dell’Irlanda e del Regno Unito, al 30% di Spagna, Austria e Francia. Abbiamo tanto bisogno di immigrazione giovane: il tasso di dipendenza (popolazione con età maggiore di 65 anni rispetto alla popolazione in età da lavoro) è in Italia pari al 30%, ma tra 4 decenni potrebbe raggiungere il 60%. Gli immigrati lavorano tanto: hanno tassi di partecipazione al mercato del lavoro molto superiori a quelli degli italiani (e a loro volta gli italiani hanno i tassi di partecipazione più bassi d’Europa).

La “lezione” è semplice: abbiamo bisogno di immigrati; possono arricchire culturalmente ed economicamente il nostro paese; dobbiamo gestire meglio la loro presenza e risolvere senza ipocrisie la questione degli irregolari. L’immigrazione non deve essere solo un tema da pesare sul mercato dei voti della politica. Dovremmo avere in questo caso non solo fiducia nel potere della ragione di trovare soluzione ai problemi più spinosi, ma anche nel potere della persuasione di rendere queste soluzioni accette dai più.


Pubblicato per gentile concessione del “La Rassegna – Settimanale Economico Fianziario” L’autore può essere conttato vie e-mail: matteo.ferrazzi@fastwebnet.it

Argomenti:   #controinformazione ,        #economia ,        #immigrazione ,        #lavoro ,        #reddito



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