REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N 8 |
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Anno V n° 11 NOVEMBRE 2009 - TERZA PAGINA |
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Fin dalle prime fasi di popolamento delle Ande Centrali, l'uomo dovette impiegare strategie di sopravvivenza essenziali per l'adattamento alle eterogenee nicchie ecologiche che caratterizzavano il territorio.
La visione cosmocentrica dell’uomo andino trovava la sua piena espressione nel rapporto con luoghi che riteneva sacri. Nell’universo delle antiche culture peruviane, il sacro interagiva con il mondo e gli conferiva una dimensione speciale, secondo una dinamica che animava il processo creativo in cui l’individuo, in quanto tale, partecipava consapevolmente. In tempi remoti, quando ancora ogni processo lavorativo era realizzato in un ambiente domestico, senza l’apporto di categorie specializzate, alcuni personaggi ricoprirono una posizione sociale diversa, grazie a particolari doti spirituali e specifiche conoscenze, pur senza rivestire ancora una chiara distinzione nella scala gerarchica. La vera rivoluzione nel campo del pensiero religioso avvenne proprio con la nascita della figura dello sciamano, a cui fu attribuita la capacità di poter comunicare con le divinità e gli spiriti degli antenati. All’interno di ogni collettività, gli sciamani divennero i custodi incaricati di conservare, trasmettere e rinnovare le rappresentazioni cosmogoniche grazie alle loro cognizioni sulla mitologia, l’interpretazione del passato, l’astronomia, i rituali e l’uso delle piante medicinali. Con i loro cerimoniali, parole, gesti e oggetti sacri eseguivano una serie di attività simboliche che trasformavano il mondo per garantire la riproduzione della natura e il benessere sociale. Ciò portò progressivamente alla costituzione di gruppi elitari e di un clero, con la tendenza ad organizzare rituali e attività cerimoniali. Questo fece sì che il luogo sacro divenisse santuario, uno spazio dove organizzare rituali collettivi, in cui la presenza di mediatori tra il naturale e il soprannaturale fosse indispensabile.
Nelle credenze indigene tutto ciò che era sacro, era espresso con la voce “huaca” per cui, nella fase di conversione forzata effettuata dagli spagnoli, il maggiore problema che si dovette affrontare fu quello di convincere gli indigeni a non considerare Dio e i santi come delle “huacas” personali dei conquistatori. Per i nativi, si trattava di “huacas” estranee ai loro bisogni, incapaci di fornir loro ciò di cui necessitavano. Un ulteriore rilevante fattore distintivo dell’ideologia andina era la comune credenza nei miti sull’origine dei diversi popoli. Secondo questa visione, gli uomini nacquero spontaneamente dalle proprie pacarisca o luoghi d’origine 3 per cui, nei loro racconti, gli indigeni affermavano di provenire da sorgenti, montagne, lagune o grotte, in cui erano “nati” già pronti per popolare l’universo. L’abisso tra il modo di pensare degli antichi peruviani e la fede imposta dagli spagnoli si fece ancor più incolmabile per la carenza di vocaboli adatti a illustrare i principi sostanziali del Cristianesimo. Gli evangelizzatori furono obbligati a ideare o adeguare le parole per poter esporre la loro dottrina, determinando inevitabilmente una trasformazione e deformazione dei concetti, termini e significati originari della cosmovisione andina. Note: 1) Luoghi sacri torna 2) In tutto il territorio peruviano esistono importanti giacimenti di arte rupestre, dei veri e propri santuari, in cui si nota come i segni e i simboli delle incisioni abbiano subito nel tempo sovrapposizioni e reinterpretazioni dovute interventi umani. Ciò attesta l'irrinunciabile intercessione di un officiante, responsabile dello svolgimento di atti liturgici e rituali in luoghi ritenuti sacri da tempi immemorabili. torna 3) La voce pacarisca proviene da un termine quechua, pacarishqam il cui significato letterale è “lo ha conservato, lo ha nascosto” ma si usa per indicare il luogo dell’origine mitica delle popolazioni andine oppure per designare una stirpe. torna
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