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“La Prima Linea”, l’ultimo, “rumorosissimo” film di Renato De Maria

La storia di Sergio Segio e Susanna Ronconi nelle sale dal 20 novembre

Di Concetta Bonini


Non è forse ancora finita, quella storia della Prima Linea. Quella storia delle barricate, del sangue, delle esecuzioni politiche. Quella storia del terrore. E noi avvertiamo confusamente l’istinto di doverne parlare, ancora, di doverla ridiscutere, ancora, quasi di dovercene giustificare con noi stessi e con il nostro futuro.

L’ultimo, “rumorosissimo” film di Renato De Maria, in uscita il 20 novembre, non fa altro che andare ad aggiungere un altro titolo, per quanto non certo privo di interesse, a quella sempre più copiosa filmografia da anni impegnata nel tentativo di raccontare compiutamente gli anni di piombo.

Un titolo, soprattutto, che, prima ancora di arrivare nelle sale cinematografiche, reca già in sè il marchio italianamente inevitabile, e purtroppo indelebile, di un caso politico. Segno che il passato che racconta, forse, poi così tanto passato non è. La scelta di Andrea Occhipinti di rinunciare ai contributi ministeriali, con buona pace di Jean Pierre e Luc Dardenne, mandando il film fuori, a camminare sulle proprie gambe per recuperare quel milione e mezzo di euro sui cinque complessivi del costo della produzione, è una scelta coraggiosa e indubbiamente storica, sulla quale tanto si è detto e tanto si potrebbe dire.

Ma si rischierebbe di trascurare ciò che per nessuna ragione va trascurato: il cinema per quel che è, ovvero un prodotto artistico, e per quel che vale come tale.

Bisogna allora cominciare dai protagonisti, Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno, nient’affatto riducibili alle icone di due belli e dannati, ma piuttosto temerariamente impegnati nell’incarnazione di due personaggi difficilissimi come Sergio Segio e Susanna Ronconi. Era loro quella linea, quella “prima linea” di un corteo che non c’era, di una generazione di dissociati da sé stessi e dal mondo, “che credeva di essere all’alba e invece era al tramonto”, “che credeva di aver ragione e invece aveva torto”. Il loro tentativo di immedesimazione risente inevitabilmente di una punta di inadeguatezza, forse di un certo complesso di inferiorità, non placato, ma, semmai, addirittura ingigantito dalla possibilità dell’incontro e del dialogo con i loro personaggi: una donna così determinata, coerente, spietata, e un uomo alla fine imploso, ricurvo sotto il peso di una coscienza lucida e ormai disillusa.

Per raccontare la loro storia il film incastra tre piani temporali partendo, per un'evidente ragione di sostanza, dallo sguardo ormai distante e ormai cosciente di Sergio, che, dalla sua cella, torna indietro al 3 gennaio del 1982, il giorno in cui aveva assaltato il carcere di Rovigo per liberare Susanna e le altre detenute politiche, e poi ancor più indietro, agli albori della loro lotta e del loro amore, al fervore delle ideologie, presto trasformato nel delirio delle armi, al desiderio di giustizia presto consumato nell’orrore delle stragi, alla pienezza di una gioventù, presto ridotta alla cenere di un’anima polverizzata nello spreco della propria umanità.

Da questo incastro, sebbene non sempre impeccabile, il film sgorga pacato, composto, lineare: il terrorismo, alleggerito dal contesto del quale comunque non si disperdono mai le coordinate, viene raccontato semplicemente attraverso una storia d’amore. Ma una storia d’amore svuotata di emotività, anch’essa, come i suoi protagonisti: due alieni dal mondo come da sé stessi e dalle potenzialità dei loro sentimenti, rispetto ai quali restano del tutto disadattati. L’ideologia si erge nelle loro anime come una lastra di vetro infrangibile, come una parete sporca, come tutte quelle lastre e quelle pareti che il regista Renato De Maria puntualmente erge, scena dopo scena, tra il loro sguardo e la vita.

E’ questa una scelta tra le poche davvero degne di menzione in un film che appare comunque guidato e motivato più che dalla sperimentazione artistica o dalla ricerca storiografica, semplicemente da quella stessa voglia di intellettualismo che in sé racconta, quello di una generazione troppo giovane e già troppo nostalgica e, per questo, incapace di diventare adulta, di emanciparsi dalla violenza delle proprie contraddizioni, di staccare il cordone ombelicale da un cuore di sinistra, ormai sbrindellato dalla storia.
Un film, comunque, a suo modo necessario. Per parlare dell’Italia di oggi, più che per piangere su quella di ieri.


La Prima Linea
Regia: Renato De Maria
Cast:
Susanna Ronconi: Giovanna Mezzogiorno
Sergio Segio: Riccardo Scamarcio
Sceneggiatura: Fidel Signorile , Ivan Cotroneo , Sandro Petraglia
Musiche: Max Richter
Fotografia: Gian Filippo Corticelli
Montaggio: Marco Spoletini
Scenografia: Alessandra Mura , Igor Gabriel
CostumI: Nicoletta Taranta


Argomenti:   #cinema ,        #film ,        #recensione ,        #storia ,        #terrorismo



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