REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno V n° 12 DICEMBRE 2009 FATTI & OPINIONI


Crisi o ripresa; a che punto siamo?
Istat e CENSIS ci aiutano a capire cosa sta succedendo nella nostra economia. Una grande incognita: quale politica economica svolge il Governo per aiutare la ripresa?
Di Giovanni Gelmini



L'Istat ci sforna in continuazione dati su cosa è successo, ma non certo su cosa accadrà. Se osserviamo le varie curve disegnate con le misure degli indicatori: produzione, prezzi,consumi, ecc., possiamo cercare di capire la situazione. L'indicatore che raggruppa un poco tutto, anche se è sintetico e da molti considerato insufficiente, è il PIL e l'Istat ha appena pubblicato l'ultima statistica trimestrale; vediamo questo indice cosa ci mostra.

Fonte: Istat- Comunicato Stampa “Conti economici trimestrali -III trimestre 2009”

Possiamo ben apprezzare il disastro che ci ha colpito fin dall'inizio del 2007, la crisi, per noi, quindi è iniziata già prima dello scoppio della bolla finanziaria.

Il 2009 presenta un primo trimestre piatto e i successivi due in crescita, anche sostenuta, ma il punto raggiunto nel terzo trimestre resta bassissimo: -4,6% rispetto al terzo trimestre del 2008, cioè l'economia non è riuscita ancora a recuperare la pessima posizione raggiunta un anno fa.

Due trimestri di crescita non fanno “primavera”; osservando i dati storici possiamo notare come più volte si siano verificate impennate simili, ma le posizioni raggiunte sono poi state perse nei trimestri successivi.
Gli altri indicatori sono abbastanza in linea con quello del PIL, anche se non mancano elementi contraddittori.

Le vendite al dettaglio si mantengono basse e in contrazione. Una spiegazione la troviamo nel rapporto del CENSIS che, in sintesi, ci dice: “Nel mezzo della crisi, per il 71,5% delle famiglie italiane il reddito mensile è sufficiente a coprire le spese ” e poi “Negli ultimi 18 mesi più dell’83% delle famiglie ha però modificato le proprie abitudini alimentari. Quali cambiamenti sono stati introdotti? Il 40% ha contenuto gli sprechi, il 39,7% ha cercato prezzi più convenienti, il 34,8% ha eliminato dal paniere i prodotti che costano troppo. Dal punto di vista psicologico, il 36% degli italiani ha subito in questi mesi maggiore stress (insonnia, litigiosità, ecc.) per motivi legati alla crisi (difficoltà lavorative, di reddito, ecc.) e il dato sale a quasi il 53% tra le persone con reddito più basso ”. Ovviamente anche per i beni durevoli è in atto una contrazione della spesa e un cambiamento nelle tipologie di acquisto, ma per quelli di consumo il fenomeno è più preciso e misurabile.

Il fatturato delle imprese è ancora in decrescita a settembre; il confronto degli ultimi tre mesi (luglio-settembre) con i tre mesi immediatamente precedenti (aprile-giugno) mostra un meno 0,6% ( variazioni congiunturali) e anche gli ordinativi sono ancora in contrazione, meno 0,2%, segno che non c’è ancora una ripresa in atto e dovremo attenderci una contrazione ulteriore.

Come tutti già sapevano, le note più dolenti arrivano dall'occupazione. Secondo L'Istat, il numero di occupati è rimasto invariato rispetto a settembre, ma inferiore dell’1,2% (-284 mila unità) rispetto a ottobre 2008.

Il numero delle persone in cerca di occupazione risulta pari a 2.004.000 unità, in crescita del 2,0% (+39 mila unità) rispetto al mese precedente e del 13,4% (+236 mila unità) rispetto a ottobre 2008. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto l’8,0% (+0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e +1,0 punti percentuali rispetto a ottobre 2008).
Il dato drammatico è il tasso di disoccupazione giovanile, 26,9%o, che ha realizzato un aumento di 0,6 punti rispetto al mese precedente e di 4,5 punti percentuali rispetto a ottobre 2008.

Secondo il CENSIS la situazione è peggiore di quella che l'Istat registra; “gli effetti negativi hanno riguardato solo i soggetti meno tutelati: il lavoro autonomo (a giugno 277 mila occupati in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, -5,8%) e l’ampio bacino del «paralavoro» (162 mila posti in meno, -4,3%).
Ad essere colpite maggiormente sono state le diverse forme di lavoro a termine (-229 mila lavoratori, -9,4%), le collaborazioni a progetto (-12,1%) e quelle occasionali (-19,9%), mentre il popolo delle partite Iva è aumentato, a causa della sostituzione dei contratti flessibili con formule ancora più esternalizzate e a basso costo, raggiungendo quasi quota un milione (+132 mila, +16,3%). Il lavoro tradizionale, dipendente e a tempo indeterminato, ha invece continuato a crescere, registrando nel periodo 2008-2009 un +0,4% (oltre 60 mila posti in più).
Ma la tenuta non c’è stata in tutto il Paese, né in tutti i settori. Al Sud sono stati bruciati 271 mila posti di lavoro (-4,1%), l’industria e il turismo hanno subito una riduzione del 4% e il commercio del 3,5%. Il 45,4% di chi ha perso il lavoro nell’ultimo anno ha meno di 34 anni. Il 47,3% dei nuovi inoccupati è uscito definitivamente dal mercato del lavoro (il 64,1% tra i lavoratori indipendenti.


Più avanti rileva “La crisi occupazionale ha fatto sentire i suoi effetti con un’ulteriore contrazione del lavoro femminile (-0,7%). Nel Mezzogiorno si rileva un tasso di disoccupazione più alto che nel resto del Paese (12%). E si conferma la debolezza dell’Italia all’interno dell’Unione europea (tasso di occupazione al 58,7% contro il 65,9% medio dell’Ue27).

Dal grafico, precedentemente esposto sull'andamento del PIL, si vede però che la nostra economia ha un tendenziale regresso comunque dal 2001 e la ripresina sviluppatasi tra il 2002 e il 2007 non ha permesso di recuperare le posizioni perse nel 2001. Questo deve far riflettere, quasi dieci anni di “crisi”, più o meno drammatica, non si possono certo attribuire al mercato mondiale in difficoltà, ma è evidentemente una caratteristica tutta italiana, quella di una società che sta perdendo i colpi. Forse si dovrebbe meglio analizzare come si è sviluppata l'economia e come la politica non risponda più alle esigenze della nuova società. Il CENSIS, nel suo rapporto 2009 ci fornisce chiavi di lettura della crisi in atto e di come il nostro sistema reagisca agli stimoli che riceve.

Abbiamo già visto la contrazione dei consumi delle famiglie, che si sta riorientando verso una maggior efficienza della spesa, eliminando cose meno utili e costose, anche se le classi, che possono permettersi i consumi di lusso, non hanno risentito della crisi in modo sostanziale.

Questo cambiamento ha immediatamente prodotto una grave sofferenza nel commercio e, più in generale, nel terziario. Il CENSIS scrive: “il commercio al dettaglio il settore più colpito, con più di 50.000 aziende cessate. L’intero settore terziario è entrato in una fase di profonda riorganizzazione, con un saldo fortemente negativo tra iscrizioni e cancellazioni di imprese: -10,1 imprese per 1.000 imprese attive nei primi 9 mesi dell’anno (162.000 imprese cessate). I comparti più in difficoltà sono: trasporti e magazzinaggio (-29,1 per 1.000 imprese attive), immobiliare (-16,9), attività finanziarie e assicurative (-12,5), servizi di informazione e comunicazione (-8,5), servizi legati al turismo (-6,5).

Anche la struttura del settore manifatturiero sta cambiando: si rafforzano molti big player (molte medie imprese e anche una quota di piccoli imprenditori). Ma quali sono le caratteristiche delle imprese che si rafforzano?

Sono quelle che rafforzano le strategie di internazionalizzazione, anche se questo non basta. Il CENSIS rileva che sono quelle che “investono non solo su reti logistiche e distributive nella prospettiva di conoscere meglio il cliente, ma anche sulle risorse umane utilizzate.

Più di una volta abbiamo segnalato come l'idea di non investire sul capitale umano e il ricorso ai contratti atipici perché meno costosi fosse un grave errore imprenditoriale e oggi le imprese che ne hanno abusato, lo pagano.
Il processo di ristrutturazione – continua il CENSIS - colpisce larga parte del made in Italy (4.000 imprese in meno a metà anno), con effetti più marcati sul comparto del tessile (-3,9% di imprese), del legno (-2,8%) e della meccanica (flessioni superiori al 2%). Tengono i comparti della produzione di mezzi di trasporto (il numero di aziende è cresciuto del 3,9%, anche se le performance in termini di fatturato sono molto negative), del recupero e riciclaggio di materiali (+3,1%), l’editoria e la stampa (+2,4%), l’alimentare (+2,2%). Ma si vedono segnali di riposizionamento di molte imprese esportatrici su mercati relativamente nuovi: nella prima parte del 2009 si è registrata una flessione dei valori medi unitari dei prodotti italiani esportati nei Paesi dell’Ue (-1,6%) e un parallelo incremento dei prezzi delle esportazioni verso l’India (+11,5%), la Cina (+10,7%), il Brasile (+9,6%) e il Medio Oriente (+5,2%).

Un'opportunità è la “geeen economy” che può crescere molto. Già l'energia rinnovabile copre il 16,5% dei consumi nazionali e la produzione è aumentata del 24,5% in soli cinque anni. Il CENSIS afferma:”L’energia verde rappresenta un’occasione da non perdere, soprattutto per un Paese come l’Italia naturalmente dotato di fonti rinnovabili come il vento e il sole. Ma la capacità della green economy di trasformare la sfida climatica in crescita economica e occupazionale dipenderà dalle politiche messe in atto per accompagnarne lo sviluppo.

Come si uscirà dalla crisi e con che velocità, in effetti, dipende molto dalla politica economica che verrà intrapresa.

La prima scelta, per importanza strategica, è la capacità di avviare utilmente una politica che diminuisca le differenze tra Nord e Sud, eliminando gli enormi sprechi fatti fino ad ora; questo permetterebbe di ridurre il costo e l’inefficienza della Pubblica amministrazione e stimolare la crescita su tutta la nazione, ma è improbabile che questa classe politica possa intraprendere una via virtuosa in questo senso.

A livello di nazione intera si deve agire sulla semplificazione burocratica, sempre promessa ,ma ferma ormai da anni e non si capisce come lo sbandierato “federalismo fiscale” possa modificare la situazione.

Il CENSIS stima che “costi sostenuti dalle imprese per conformarsi agli obblighi normativi corrispondono al 4,6% del Pil, uno spreco che non possiamo permetterci e per di più che paghiamo ulteriormente come costo che grava sul bilancio pubblico per sostenere una burocrazia elefantiaca e inutile. Sarebbe interessante sapere cosa ha fatto e farà il ministro ad hoc Calderoli a tal proposito.

La semplificazione deve passare anche attraverso una digitalizzazione di tutte le attività della P.A. Ma per fare questo si deve investire in strutture tecniche e umane, cosa che sembra sia impossibile con l'impostazione di bilancio fatta da Tremonti.

Anche il CENSIS segnala la necessità, per uscire dalla crisi, di intraprendere azioni con effetto immediato e non di lungo periodo. Tra queste segnala l'opportunità di procedere finalmente alla messa a norma degli edifici pubblici, in special modo scuole, ospedali e della rete idrica, aggiungiamo noi anche la messa in sicurezza del territorio dal punto di vista idrogeologico. Sembra però che il nostro Governo continui a puntare sulle grandi e costose infrastrutture, che non si sa quando potranno realmente iniziare e giungere a compimento

. Con queste considerazioni non si può essere ottimisti e si fa sempre più reale l'ipotesi fatta, che usciremo dalla crisi solo perché trascinati dall'economia mondiale, più poveri e avendo perso molta competitività. Sul quando ciò potrà avvenire, è tutta una scommessa.

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