REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno VI n° 1 GENNAIO 2010 FATTI & OPINIONI


Dal Quirinale
Discorso del Presidente Napolitano all'incontro con le Alte Magistrature della Repubblica
Le parole di Napolitano nel tradizione discorso di fine anno con le Alte Magistrature della Repubblica delineano le modalità per affrontare i problemi di oggi



Palazzo del Quirinale, 21/12/2009
Signor Presidente del Senato,
signor Presidente della Camera dei Deputati,
signor Presidente della Corte Costituzionale,
signori rappresentanti del governo, del Parlamento e di tutte le istituzioni e gli organi dello Stato,
vi ringrazio di cuore per la vostra partecipazione a questa cerimonia di augurale predisposizione al nuovo anno. E ringrazio in particolare il Presidente Schifani per le amichevoli espressioni che ha voluto dedicarmi e per la sintonia che ha voluto porre in evidenza tra i nostri rispettivi impegni e intenti.

Palazzo del Quirinale - 21/12/2009
Il Presidente Giorgio Napolitano rivolge il suo indirizzo di saluto in occasione della cerimonia per lo scambio degli auguri con le Alte Magistrature della Repubblica

Ci incontriamo oggi a breve distanza di tempo dalla brutale aggressione al Presidente del Consiglio, al quale rinnovo i sensi della mia solidarietà personale e istituzionale e fervidi auguri di pronto ristabilimento. E' stato un fatto assai grave, di abnorme inconsulta violenza, che ha costituito motivo non solo di profondo turbamento ma anche di possibile (ne abbiamo visto i primi segni) ripensamento collettivo.

Abbiamo alle spalle un anno molto impegnativo, per il paese e per le sue istituzioni. Un anno dominato dalla preoccupazione per le ricadute della crisi finanziaria ed economica globale, per le ferite che essa poteva provocare nella società italiana, per le risposte, da parte dei poteri pubblici e delle forze sociali, che essa richiedeva nel quadro di più vaste concertazioni internazionali. Un anno in cui è stato messo alla prova il funzionamento delle nostre istituzioni e si è riproposto, tra molte tensioni, il tema delle riforme necessarie. Lo Stato democratico ha saputo reagire a difficoltà e rischi di imprevista e straordinaria acutezza : lo Stato in tutte le sue articolazioni, governo e Parlamento innanzitutto, poteri regionali e locali. Sulla validità ed efficacia delle scelte adottate le valutazioni politiche sono state e restano naturalmente discordi ; ma non c'è dubbio che l'Italia si sia collocata, dando il suo contributo, nel contesto delle direttrici e delle decisioni che di fronte alla crisi sono state definite e concordate al livello europeo e in nuovi, ampi consessi mondiali. Vorrei inoltre richiamare l'attenzione sulla capacità di fronteggiare la crisi che hanno dimostrato le imprese e le famiglie, e sulle prove di consapevolezza che sono venute dal mondo del lavoro : e l'attenzione va data a questi fattori, perché è dalla loro combinazione con l'azione pubblica che sono venuti i risultati e i segni più positivi via via registratisi, e può venire una risposta adeguata alle preoccupazioni che si profilano per la produzione e per l'occupazione nei prossimi mesi.

E' necessario comunque affrontare con realismo, guardando avanti, i maggiori problemi che restano aperti in Italia e su scala mondiale, le più serie esigenze di cambiamento che in modo specifico ci si ripropongono, anche alla luce della recente crisi, ai fini del rilancio del nostro sviluppo nazionale.

Le comparazioni - anch'esse oggetto di dispute - con altri paesi europei, non possono distrarre dai termini reali delle questioni su cui in questa fase occorre concentrarsi.

Su due di esse nuova luce hanno gettato recenti rilevazioni statistiche ufficiali e indagini indipendenti : la questione dell'occupazione e la questione del Mezzogiorno. I dati ISTAT sulle forze di lavoro hanno, senza indulgere ad alcun allarmismo, segnalato rilevanti cali nel numero di occupati, incrementi nel numero delle persone in cerca di occupazione e crescita del tasso di disoccupazione, soprattutto - aspetto da non sottovalutare - di quella giovanile. Ricerche condotte dalla Banca d'Italia e presentate pubblicamente alcune settimane fa hanno documentato la persistenza dello storico, profondo divario tra Nord e Sud, la maggiore incidenza della crisi, nel 2008-2009, sul prodotto lordo e sull'occupazione proprio nel Mezzogiorno, la presenza, in quella parte del paese, di tassi di occupazione tra i più bassi d'Europa ; hanno documentato la gravità del divario tra Nord e Sud nella qualità di servizi essenziali, la diversità degli effetti che le politiche pubbliche nazionali producono nelle diverse parti del paese, il peso determinante che ha nel Mezzogiorno la debolezza del "capitale sociale". Da queste risultanze di ricerche accurate sono state ricavate non già facili rivendicazioni di maggiore spesa a carico dello Stato nazionale, ma istanze di più attenta "declinazione sul territorio" delle politiche generali, e di più efficace utilizzo delle risorse pubbliche, anche in vista di un federalismo fiscale ispirato a principi di autonomia e responsabilità. E quella che viene per molti aspetti chiamata in causa e sollecitata è anche la responsabilità delle istituzioni e delle forze politiche e sociali nel Mezzogiorno.

Occupazione per i giovani, sviluppo del Mezzogiorno come condizione per il rilancio, su basi più larghe, dello sviluppo nazionale nel suo complesso : sono questi alcuni dei temi obbligati di un confronto e di un'azione che si proiettino oltre la crisi che abbiamo attraversato e con cui continuiamo a fare i conti, che guardino già al dopo, che mirino a creare le condizioni di una crescita dell'economia italiana più sostenuta ed equilibrata che negli ultimi 10-15 anni. Quest'ultimo è un obbiettivo possibile, per i livelli di eccellenza tecnologica e produttiva, per le risorse di dinamismo e per la capacità e volontà competitiva che il sistema Italia ha mostrato anche nel pieno della crisi mondiale di poter mettere in campo : in particolare, il nostro sistema imprenditoriale così diffuso e riccamente articolato, e con esso il nostro capitale umano, le nostre forze di lavoro. I riconoscimenti che ci vengono anche dal nostro operare nel mondo ci stimolano ad avere consapevolezza di quel che l'Italia rappresenta innanzitutto in Europa, a non cedere a un certo vizio di autodenigrazione, a credere nel futuro che possiamo costruire.

Sappiamo tutti - lo sa in primo luogo il governo per le responsabilità che gli sono proprie - che occorre però sciogliere nodi difficili : anche, all'interno dell'area dell'Euro, quello di un'insufficiente crescita della produttività che ancora registriamo e che va affrontata con iniziative capaci di stimolare la concorrenza e la propensione all'innovazione, di promuovere l'educazione, a tutti i livelli, e la formazione di capitale umano. Resta soprattutto il peso del debito pubblico accumulatosi nel passato, con la conseguente grave taglia di una spesa per interessi che distrae ingenti risorse del bilancio dello Stato da altre destinazioni di pur riconosciuta importanza e urgenza.

Il rispetto dei vincoli e degli accordi europei in materia di rapporto deficit-prodotto lordo e di contenimento del debito pubblico viene giustamente richiamato dal governo come ineludibile anche se nel reagire alla crisi globale si sono in numerosi, importanti paesi dell'Unione superati, e di molto, i limiti osservati nel passato. L'impegno a sciogliere, e innanzitutto a non aggravare, il nodo dell'indebitamento dello Stato comporta in effetti un severo e delicato esercizio di trasparente selezione, da parte del governo e del Parlamento, delle priorità di spesa a carico del bilancio pubblico. Né si può dimenticare che talvolta sono fatti imprevedibili, gravi eventi naturali che pongono esigenze imperative di intervento dello Stato : questo è accaduto nel 2009 con la tragedia del terremoto in Abruzzo, a cui è stato giusto rispondere con forti misure d'emergenza, ed erogazioni di denaro pubblico, decise dal governo. La risposta al terremoto in Abruzzo, che ha potuto contare su una vasta solidarietà e mobilitazione nazionale, costituisce una pagina all'attivo dell'Italia e della sua immagine internazionale nel 2009.

Altri eventi naturali, da ultimo la tragica alluvione nel messinese, hanno egualmente posto all'ordine del giorno una realtà come quella del dissesto idrogeologico e della fragilità del territorio, che richiede di trovare posto tra le priorità di spesa del bilancio dello Stato.

In effetti, siamo dinanzi a problematiche che, come ho già in qualche occasione rilevato, richiederebbero il massimo di condivisione e di continuità nel tempo, anche al di là dell'alternarsi delle maggioranze politiche, perché sono in giuoco impegni e interessi nazionali di lungo periodo. Purtroppo, ancora non si vede in tal senso un clima propizio nella nostra vita pubblica, una consapevolezza comune a maggioranza e opposizione in Parlamento : consapevolezza comune che dovrebbe abbracciare egualmente l'aspetto del funzionamento e della riforma anche delle istituzioni.

Quest'ultimo non è un aspetto secondario, né è separabile dal confronto sui contenuti delle politiche pubbliche da portare avanti. Ora, possiamo considerare soddisfacente sotto questo profilo la situazione? Nessuno, credo, per quanto tenda a giudizi benigni, può rispondere affermativamente.

Parto dal rapporto tra governo e Parlamento, come rapporto funzionale e come cardine dell'equilibrio costituzionale : esso presenta non da qualche anno ma da più legislature seri elementi di criticità, e si discute se e come lo si possa ridefinire in sede di riforma della Costituzione. E' tuttavia un fatto innegabile che nel 2008-2009 il governo ha esercitato intensamente i suoi poteri, non ha trovato alcun impedimento, a nessun livello, a decidere e attuare tutti i provvedimenti che ha giudicato opportuni per reagire alla crisi finanziaria ed economica. E' stato invece compresso - per le modalità adottate nel corso del tempo da parte di governi rappresentativi di diversi e opposti schieramenti - l'esercizio del ruolo del Parlamento : ruolo che si esplica non solo con la libertà di discutere, ma con la libertà di pronunciarsi attraverso il voto sulle disposizioni di legge sottoposte al suo esame e sulle relative proposte di modifica. Ed è stata nello stesso tempo gravemente condizionata e colpita la qualità della produzione legislativa.

Il continuo succedersi di decreti-legge (47 dall'inizio di questa legislatura), e il loro divenire sempre più sovraccarichi ed eterogenei nel corso dell'iter parlamentare di conversione, la pratica del ricorso, in fase conclusiva, ad abnormi accorpamenti di norme in maxi-articoli su cui apporre la fiducia, hanno continuato a produrre evidenti distorsioni negli equilibri istituzionali e nelle possibilità di ordinato funzionamento dello Stato, dell'amministrazione chiamata ad attuare le leggi e dell'amministrazione della giustizia. Si tratta, lo ripeto, di fenomeni non nati nel 2009, ma emersi e radicatisi in un tempo ben più lungo : e che tendono a consolidarsi e aggravarsi.

Per quel che riguarda la legge finanziaria e le modalità della sua approvazione, potrei rileggere - anche se non lo farò - le severe considerazioni che espressi negli incontri di fine anno del dicembre 2006 e del dicembre 2007, in presenza di un governo e di uno schieramento di maggioranza diversi da quelli attuali. All'apprezzabile intento di snellimento dei contenuti della finanziaria manifestatosi con il decreto-legge dello scorso anno e poi con quello del 2009, è tuttavia seguita, da ultimo, una dilatazione in Parlamento dell'impianto della stessa finanziaria, nonché una serie di provvedimenti aggiuntivi dai contenuti palesemente eterogenei.

Tutto ciò finisce per gravare negativamente sul livello qualitativo dell'attività legislativa e sull'equilibrio del sistema delle fonti. Non a caso, gli studiosi si chiedono se abbia finito per instaurarsi - anche attraverso il crescente uso e la dilatazione di ordinanze d'urgenza - un vero e proprio "sistema parallelo" di produzione normativa.

Tuttavia, non si esce da questa situazione solo con l'invito a comportamenti più corretti da parte del governo o più virtuosi da parte del Parlamento e dell'opposizione. Se ne esce in definitiva con misure di riforma, che soddisfino esigenze di tempestività delle decisioni senza sacrificare ruolo del Parlamento e qualità della legislazione. E misure di tale natura sono state da tempo individuate e suggerite : per fini di razionalizzazione e velocizzazione del processo legislativo, attraverso il superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto e l'opportuna riforma dei regolamenti parlamentari, e più specificamente di razionalizzazione e trasparenza della manovra annuale di bilancio. L'insieme di tali misure deve garantire il diritto di maggioranza e governo di attuare il loro programma e il diritto di controllo e di proposta dell'opposizione, attraverso un confronto aperto che è parte integrante del processo di formazione delle leggi. Più in generale, l'ipotizzata trasformazione del Senato in Camera delle autonomie appare il completamento coerente della scelta del federalismo fiscale, e il luogo appropriato per un più corretto e produttivo svolgimento delle relazioni oggi problematiche tra Stato, Regioni ed Enti locali.

E vengo ad altro motivo di grave insoddisfazione e preoccupazione sul piano istituzionale, che è quello del funzionamento della giustizia. Premetto che qualsiasi considerazione al riguardo non deve suonare svalutazione o sottovalutazione dell'impegno che in condizioni difficili e con sacrificio tanti magistrati pongono nell'esercizio della loro alta ed essenziale funzione, né tantomeno del senso delle istituzioni con cui tanti giovani motivati si preparano a duri concorsi per entrare in magistratura. Si debbono affrontare i problemi nella loro oggettività : problemi che incidono sulla durata e su tutti gli aspetti del giusto processo, definiti dall'articolo 111 della Costituzione. E occorre da questo punto di vista intervenire su norme, procedure, strutture organizzative, disponibilità di risorse, ma anche su equilibri istituzionali come quelli riassumibili nel rapporto tra politica e giustizia.

Sul nodo "delicato e critico" costituito da tale rapporto mi sono chiaramente espresso manifestando la mia preoccupazione già nel febbraio 2008 quando ho rivolto un discorso impegnativo al Consiglio Superiore della Magistratura, ed anche in altre occasioni prima e dopo. Ho messo l'accento su atteggiamenti dell'una e dell'altra parte che fanno apparire la politica e la giustizia come "mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco", mentre comune dev'essere la responsabilità nel prestare un servizio efficiente ai cittadini, così come nel reagire a quella diffusione di pratiche di corruzione e di altre violazioni della legge penale che è stata più volte denunciata dalla tribuna dell'inaugurazione dell'Anno Giudiziario. E nel ribadire l'intangibile principio di autonomia e indipendenza della Magistratura, ho sottolineato come esso comporti, da parte del magistrato, senso del limite - senza considerarsi investito di missioni improprie - scrupolo di riservatezza, cautela nel valutare gli elementi indiziari, e sempre imparzialità non meno che rigore : comportamenti, tutti, che possono solo giovare al prestigio della Magistratura. Questi richiami critici, queste chiare avvertenze possono cogliersi anche nei provvedimenti disciplinari adottati negli ultimi tempi dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Ma ci sono buoni motivi per ritenere che occorrano, per stabilire un più corretto rapporto tra politica e giustizia, insieme con comportamenti più misurati e costruttivi, modifiche sia di leggi ordinarie sia di clausole costituzionali.
E' questo, d'altronde, che si intende quando si parla di riforma della giustizia, oltre che far riferimento a interventi come quelli che il governo ha sottoposto al Parlamento in materia di processo civile e di processo penale e che si auspica assumano svolgimenti più organici e di più ampio respiro. Per garantire un più lineare e corretto rapporto tra politica e giustizia, rimangono naturalmente decisive le valutazioni e le scelte che il Parlamento è ormai chiamato a definire.

Per quel che mi riguarda, sotto il profilo di riforme che tocchino la Costituzione vigente, posso solo ripetere quel che sono venuto affermando dal momento stesso del messaggio d'insediamento, quando, dinanzi al Parlamento, accompagnai "un risoluto ancoraggio ai lineamenti essenziali della Costituzione del 1948", con la sottolineatura della sua rivedibilità e non immodificabilità, in riferimento a quella Seconda Parte fatta già più volte oggetto di proposte di revisione. E anche dopo l'esito negativo del referendum confermativo del giugno 2006, ho ritenuto del tutto sostenibili proposte volte a rivedere norme costituzionali "che si giudichino non più corrispondenti a esigenze di moderna ed efficace articolazione dei poteri nel sistema delle istituzioni repubblicane".

In più occasioni, mi è sembrato saggio suggerire tuttavia un approccio realistico, concentrato su alcune, essenziali e ben mirate proposte di riforma. E se insisto su ciò, è perché mi preme che su questo terreno si giunga finalmente a dei risultati nell'attuale legislatura, il che è un ulteriore motivo per cercare la massima condivisione in Parlamento.

Non mi pronuncio naturalmente su nessun diverso, più ambizioso approccio che possa liberamente essere proposto. Ritengo però che ogni visione costituzionale, secondo i pur diversi modelli dell'Occidente democratico, debba sancire il rispetto dei limiti da parte di ciascun potere nei confronti dell'altro, equilibri tra i poteri, "pesi e contrappesi" come si usa dire, e garanzie costituzionali, in concreto quel controllo di legittimità costituzionale delle leggi affidato in Italia come dovunque a un'istituzione indipendente, al cui giudizio è rimessa, la si condivida oppure no, la valutazione conclusiva. E' qui un tratto essenziale della moderna democrazia costituzionale, e un presupposto di quella leale cooperazione tra le istituzioni cui ho sempre fatto e continuo a fare appello, rivolgendomi a tutte e a ciascuna senza eccezione.

Aggiungo, concludendo su questo tema, che una cosa è discutere di riforme costituzionali, altra cosa è darne alcuna per già compiuta "di fatto" e dunque operante. Un nostro grande studioso, Leopoldo Elia, che operò anche, sapientemente, nella Corte Costituzionale e poi in Parlamento, e che, a più riprese, elaborò idee di coraggiosa innovazione della stessa forma di governo parlamentare in cui credeva, mise in guardia, già decenni orsono, contro un uso scorretto della nozione di "Costituzione materiale", per non "incorrere nell'illusione ottica di scambiare per mutamento costituzionale ogni modificazione del sistema politico" - o, potremmo ora aggiungere - del sistema elettorale.

Considero importante la recente larga intesa nel voto in Senato su mozioni che concordano nell'indicare alcuni temi rilevanti di riforme istituzionali, anche in materia di giustizia, e nel perseguire "l'approvazione di un testo condiviso dalla più ampia maggioranza parlamentare". Mi si permetterà di sentirmene confortato, dopo che si è tante volte detto che i miei auspici unitari non trovano riscontro.

Ebbene, l'Italia non è, come talvolta si scrive, un paese "diviso su tutto". Mi sono talvolta riferito a diverse espressioni di una società più ricca di valori e più coesa dell'immagine che ne dà la politica con le sue lacerazioni. Ma non è "diviso su tutto" nemmeno il mondo della politica e delle istituzioni, nonostante una conflittualità che va ben oltre il tasso fisiologico proprio delle democrazie mature. L'Italia è stata unita nei giorni del G8 a L'Aquila, nel sostenere l'interesse nazionale al riconoscimento e al successo del nostro ruolo di grande paese europeo e di partner importante della comunità mondiale in una fase di grave crisi globale.

L'Italia è stata unita nel raccogliersi nell'omaggio ai nostri caduti in Afganistan, e nella vicinanza affettuosa alle loro famiglie ; ed è unita nel sorreggere le nostre missioni militari e civili nelle aree di crisi (unanime è stato il voto in Parlamento, in queste settimane, sul rifinanziamento delle missioni).

L'Italia è unita politicamente nel solco della grande causa comune della costruzione di un'Europa sempre più integrata, democratica, dinamica, che affermi il suo ruolo nel nuovo mondo globale.

L'Italia si è unita nel sentimento popolare e nell'impegno civile attorno alle popolazioni colpite dell'Abruzzo. Così come si è unita anche quest'anno in tante occasioni e iniziative di solidarietà umana e sociale. L'Italia è stata ed è unita attorno alle forze dello Stato che garantiscono la sicurezza dei cittadini e delle istituzioni ; unita - al di là della naturale dialettica tra maggioranza e opposizione sui termini generali dell'indirizzo di governo - attorno a tutti i protagonisti dell'impegno e dei successi nella lotta contro la mafia e contro le altre organizzazioni criminali.

E anche nelle istituzioni rappresentative, attraverso il confronto, benché in generale imperniato su posizioni divergenti, si sono quest'anno realizzati non trascurabili momenti di unità, nelle Regioni, negli Enti locali, e anche al livello nazionale. Si può forse trascurare il valore dell'ampia convergenza nell'approvazione di una legge impegnativa come quella sul federalismo fiscale o di una riforma significativa come la nuova legge di contabilità e finanza pubblica - a riprova, in entrambi i casi, che quella della più larga condivisione è la strada maestra per realizzare le riforme istituzionali, ed è una strada percorribile?

E allora, stiamo attenti a non lacerare quel fondo di tessuto unitario che si mostra vitale e che è condizione essenziale per affrontare le sfide e i rischi del nostro tempo, per affrontare le debolezze e le malattie più gravi della nostra società. Di qui il mio richiamo di alcune settimane fa, perché si fermasse "la spirale di una crescente drammatizzazione delle polemiche e delle tensioni tra le parti politiche e tra le istituzioni". Un richiamo dettato anche dal dovere di prevenire ogni degenerazione verso un clima di violenza. Dovere cui nessuno può sottrarsi specialmente dopo quel che è accaduto a Milano il 13 dicembre.

Guardiamo con ragionevolezza allo svolgimento di questa legislatura che è ancora nella fase iniziale. Non si paventino complotti che la Costituzione e le sue regole rendono impraticabili contro un governo che goda della fiducia della maggioranza in Parlamento. Ancoriamo il giuoco politico democratico alla stabilità delle istituzioni; facciamo affidamento sulle garanzie che esse offrono. Raccogliamo un sentimento diffuso tra gli italiani rivolgendoci più serenamente ai problemi del paese e del mondo d'oggi, alle soluzioni concrete e alle riforme di cui l'Italia ha bisogno. Prepariamoci a rappresentare - tracciando il bilancio di 150 anni di Unità - l'immagine di una nazione più consapevole di sé, delle sue risorse e della sua missione. E' questa la responsabilità che noi condividiamo operando nelle istituzioni della Repubblica.

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