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Anno VI n° 3 MARZO 2010 PRIMA PAGINA |
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Non credete alle boutade elettorali
Le promesse sulle tasse e il macigno del debito
Di Matteo Ferrazzi
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I segnali di ripresa, sempre più evidenti e consistenti, non sono in grado di cancellare in pochi mesi alcune ferite della crisi. Quest'ultima ci lascia, tra le varie eredità, due elementi forti. Da un lato parecchia capacità produttiva inutilizzata: le aziende rimangono prudenti prima di attuare nuovi investimenti produttivi. Si potrebbe sì produrre ben di più, ma questo non avviene perché la domanda non sarebbe in grado di assorbire l'aumentata quantità di beni. Numerosi sono i settori "saturi" e in questi comparti è la domanda dei consumatori che determina l'offerta delle imprese, non viceversa. L'altra grande eredità è il debito pubblico, che è servito in molti paesi ad alimentare i programmi di stimolo o si è comunque creato con il calo delle entrate fiscali. Per l'Italia, uno dei paesi al mondo con il debito pubblico più elevato, è un po' come mettere il sale su ferite aperte. Poteva però andare molto peggio: il governo italiano nel corso del 2009 ha speso ben poco per pacchetti di stimolo anti-crisi, proprio perché non poteva permetterselo. Viste le tensioni sul debito che vi sono attualmente in alcuni paesi dell'area euro (Grecia in primis, ma anche Portogallo, Spagna, Irlanda), tale atteggiamento prudente ci ha tenuto fino ad ora al riparo da conseguenze peggiori. Il debito italiano è un compagno di vecchia data. Esso esplode negli anni '80, specialmente durante i governi di Bettino Craxi (cui dedichiamo vie e monumenti, e questo denota la poca coscienza che abbiamo sul tema): il debito passa dal 56% del 1980 al 190% del 1989, un aumento spaventoso, con il deficit che registrava sistematicamente valori superiori al 10% (tornerà sotto i110% solo nel 1994). Questo debito, creato allora, non è qualcosa d’astratto, ma anzi qualcosa che ha un impatto sui giovani di oggi e anche di domani, visto che qualcuno prima o poi dovrà pagarlo. Reinhart e Rogoff, economisti americani di Harvard, hanno notato come non vi sia una relazione particolarmente forte tra crescita economica e debito pubblico, finché questo rimane al di sotto del 90% del PIL Ma quando il debito è molto alto, cioè sopra la fatidica soglia del90%, l'impatto negativo sulla crescita economica è pesante. Purtroppo è bassa la percezione che vi possa essere un conflitto generazionale sul tema: spostare i nostri debiti alle generazioni successive è ancora oggi il tipico esercizio che danneggia i nostri giovani, già alle prese con un paese che tende a sfavorirli dal punto di vista demografico, fiscale e dell'istruzione. Nonostante ciò, anche questa primavera porta con sé una campagna elettorale che avrà come immancabile corollario la promessa di tasse più basse e maggiori servizi pubblici. Sia nella campagna elettorale del 2006 che in quella del 2008 i candidati gareggiarono a chi prometteva meno tasse (e di riflesso più debito): riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, abbassamento e semplificazione delle aliquote Irpef, bonus bebè (fino a 18 anni, nell'iniziale formulazione!), abolizione dell'Irap, della Tarsu e dell'Ici. Il tutto viene di solito condito con teorie maldestramente addomesticate ad uso e consumo di campagne elettorali a ciclo permanente. Quella che amo di più è la seguente: abbassando le tasse si fa ripartire l'economia, si incentivano i lavoratori e come risultato si ottiene un aumento del gettito. Sarebbe la quadratura del cerchio, da utilizzare in ogni angolo del mondo, se non fosse che questa assunzione se non proprio falsa, ha parecchi limiti. L'intuizione è valida: all'aumentare delle tasse vi sono dei disincentivi a pagarle: per ipotesi, con un reddito tassato all'100% il gettito sarebbe nullo (perché lavorare se si prende tutto lo Stato?). Questa relazione è nota come curva di Laffer, dal nome dell'ecomista che ispirò le scelte reganiane, nella speranza di aumentare il gettito. Inutile sottolineare che il gettito in epoca reganiana diminuì. Tale relazione - tasse meno elevate, più gettito - è valida solo in contesti di aliquote elevatissime (molto più di quelle italiane, ad esempio). La speranza quindi di contenere il deficit con meno tasse è una boutade, che però tiene banco a destra come a sinistra (a furia di ripeterla qualcuno se ne è forse convinto). Al contrario di ogni promessa, l'Italia dovrà invece rientrare da una situazione debitoria che da un lato potrebbe divenire insostenibile, qualora vi fossero altre turbolenze, dall'altro rappresenta un fardello che incide sulla nostra anemica crescita economica. Per quanti anni ancora il debito pubblico rimarrà la maggiore garanzia di un futuro non roseo per il nostro paese? Pubblicato per gentile concessione del “La Rassegna – Settimanale Economico Fianziario”L’autore può essere conttato vie e-mail: matteo.ferrazzi@fastwebnet.it |
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