Ho conosciuto il libro, di cui sto per parlarvi, in una “presentazione” fatta dall'autore e mi ha interessato molto per la lettura che, usando le sue conclusioni, permetteva della società attuale. L'ho cercato subito nelle due librerie vicino a casa e non l'ho trovato. L'ho cercato in una libreria a Milano e non l'ho trovato. Chi era con me quando l'ho cercato e mi ha detto: ma che cose pesanti leggi. Alla fine me l'ha procurato il mio giornalaio.
Un libricino sottile di sole 130 pagine, indici e riferimenti bibliografici esclusi, e mi sono detto: “adesso lo divoro. Invece l'ho dovuto leggere lentamente.
I primi capitoli si sviluppano attorno a come, nella storia dal medioevo in poi, è stato considerato il vizio capitale Avarizia, l'evoluzione della sua definizione, il confronto con gli altri vizi capitali. La lettura di questi capitoli è pesante. Scritta in modo dotto, con tanti riferimenti a nomi, sicuramente necessari, ma che rendono noiosa la lettura: si va avanti a leggere perché si scoprono tante cose interessanti.
Scopriamo così che, durante il Medioevo, la Superbia era considerata il vizio più grave. Allora però non c'era “il capitale”, l'economia era misera e quindi il peggior peccato era legato al potere e alle armi.
Con l'avvento del mercantilismo, la ricchezza aumenta e si muove con i flussi legati al movimento delle merci. Si pone il problema dell'usura e quindi l'avarizia diventa il vizio più grave. Ma già in quel tempo nasce la differenza tra denaro e capitale e, quindi, la distinzione: se il prestito è di “capitale”, gli interessi sono legittimi, purché siano moderati e congrui al capitale e al rischio, se è di denaro, gli interessi si identificano sempre con l'usura.
L'evoluzione del pensiero religioso e sociale sull'avarizia e sull'usura è ben più complesso di quanto ho schematizzato e Zamagni lo affronta in molti risvolti che qui io, ovviamente, tralascio.
Zamagni, da buon economista, spiega l'evoluzione del concetto di avarizia, usura e sviluppo della società e dell'economia, legami fondamentali per comprendere la problematica. C'è perfino un periodo, quello dell'ottocento e del primo novecento, in cui l'Avarizia sembra essere diventata una virtù.
Se riuscite a resistere e arrivate al capitolo quinto “L'avarizia nella società postmoderna” trovate il tesoro!
Da questo capitolo le citazioni si diradano, il discorso si fa diretto e stringato. Entra il confronto tra avarizia e felicità, il quesito perché l'avaria sia un vizio dei vecchi (N.d.R. Ma è vero ancora oggi con concetti di avarizia non solo legati al denaro e più all'accumulo? ). L'Avarizia viene descritta nella sua forma attuale e ci permette così di fare confronti con la nostra esperienza. Nell’ultimo capitolo, “Epilogo”, Zamagni trae le conclusioni di questo escursus filosofico e socioeconomico.
Verso la fine troviamo questo passo:
Afferriamo così il significato profondo dell'enunciato di Eraclito - "Ciò che il desiderio vuole, lo compra a prezzo dell'anima" - che bene interpreta la condizione esistenziale dell' avaro, il quale "vende" l'anima per "comprarsi" il desiderio di accumulare senza limite
A questo punto però si apre un problema che Zamagni non affronta: oggi è pensabile legare l'avarizia solo al possesso di denaro o di ricchezza? Forse oggi emergono altre forme di Avarizia che rispondono sempre all'accumulo smodato, ma non di beni.
A voi quindi questo testo con una raccomandazione: non affrontatelo se non sopportate gli scritti dotti.
Avarizia
La passione dell’avere
Stefano Zamagni
Prezzo € 12,00
Editore Il Mulino
Collana Intersezioni
Data uscita 08/10/2009
Pagine 152
Lingua Italiano
ISBN: 8815131582
ISBN-13: 9788815131584
EAN 9788815131584
Indossando di volta in volta i panni dell’avidità, della cupidigia, dell’usura, della concupiscenza, della taccagneria o della grettezza, la struttura camaleontica dell’avarizia è tale che essa può addirittura assumere le sembianze della virtù. È il vizio più «economico» dei sette ed è un economista ad indagare le ragioni per le quali nel corso del tempo, a partire dalla tarda antichità esso sia andato soggetto ad una pluralità di slittamenti semantici, secondo un’alternanza che non trova riscontro in nessuno degli altri vizi capitali. Da radice di tutti i mali e quindi primo dei vizi, l’avarizia diverrà seconda alla superbia durante l’alto medioevo, per ritornare al primo posto all’epoca della Rivoluzione commerciale, e divenire nell’Umanesimo civile – con un altro mutamento di prospettiva – impulso alla prosperità e quasi una virtù. Nell’ultimo quarto di secolo, l’avarizia è tornata ad essere vizio. L’avaro di oggi è posseduto dalle cose, accumula e conserva ma non usa, possiede ma non condivide. La sua infelicità è un fallimento della volontà o della ragione
STEFANO ZAMAGNI
Insegna Economia politica nell'Università di Bologna e allo Johns Hopkins
University di Bologna. È presidente dell' Agenzia per le Onlus. Tra le sue pubblicazioni per il Mulino “Economia civile” (con L. Bruni, 2004), “Teoria economica e relazioni interpersonali” (con P. L. Sacco, 20(6), “La cooperazione” (con V. Zamagni, 2008), “Laicità e relativismo nella società post-secolare” (con A Guarnieri, 20(9).
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