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 Anno VI n° 5 MAGGIO 2010    -   MISCELLANEA


Una domanda non banale
“Brain Training” serve o è una bufala?
Il popolare videogioco della Nintendo, pubblicizzato come mezzo per mantenere in forma il nostro cervello, è stato sottoposto a un test per verificare se le affermazioni corrispondono alla realtà. I risultati non possono che lasciare perplessi
Di Cricio


Brain Training, un video gioco che va di moda! Chi non l'ha è sicuramente out.

La necessità di usare qualcosa per sviluppare l'intelligenza è probabilmente un sottoprodotto dell'insicurezza che l'ambiente in cui viviamo ci provoca, anche attraverso un continuo quanto inutile, confronto su cose di poca rilevanza, ma che possono diventare punti fondamentali per noi.

Negli anni '50 si era diffuso il Q.I. (rapporto tra età mentale ed età cronologica moltiplicato 100 misurata attraverso un test) come se questo fosse una misura precisa e significativa per una persona, come il peso o l'altezza. Questi test presuppongono un percorso di apprendimento comune e misurano non la capacità di ragionamento e di apprendimento, ma le conoscenze disponibili e la loro applicazione a problemi. È evidente che il loro uso non è automatico, quei test vanno gestiti con molta attenzione e da personale specializzato, che ne sappiano fare un uso corretto. L'uso “fai da te” di quei test, li rende invalidi, ma quante volte ci propongono impunemente test per misurare la nostra capacità intellettiva e noi li facciamo di buon grado.

Questa voglia di misurare la nostra intelligenze e quindi di migliorarla si ripropone oggi con il grande successo di Brain Training, il videogioco educativo sviluppato dalla Nintendo e arrivato in Europa quattro anni fà. Il gioco è stato "creato" dal dottor Ryuta Kawashima, laureato in medicina e considerato il principale ricercatore giapponese sul cervello. Non è come gli altri videogiochi, con una trama che ti porta da un livello all'altro; il giocatore deve, giornalmente, eseguire degli esercizi: risolvere semplici esercizi aritmetici, quesiti di sudoku, superare prove mnemoniche ed altro, il tutto per stimolare il cervello e mantenerlo in forma.

Il gioco ha incontrato il favore della gente, che si sente gratificata dai risultati raggiunti utilizzandolo. La cosa ha interessato un gruppo di ricercatori del londinese King's College, che si sono posti il quesito: sviluppa di più la capacità intellettiva: Brain Training o il navigare in internet?

Così i ricercatori hanno reclutato tra gli spettatori del programma scientifico "Bang Goes the theory" della BBC 11.450 volontari, di età compresa fra i 18 e i 60 anni e li hanno sottoposti per sei settimane a un esperimento. I volontari sono stati suddivisi in tre gruppi che hanno dovuto dedicare 10 minuti al giorno ai compiti che venivano affidati loro. I primi due gruppi dovevano lavorare con il Brain Training, il primo con attività di ragionamento, pianificazione e problem solving, il secondo con esercizi per la memoria a breve termine; il terzo invece è stato impegnato semplicemente a navigare in internet.

Terminato l'esperimento si è verificato se vi fossero stati dei progressi nelle capacità di abilità matematiche, ragionamento, memoria, organizzazione o anche solo se fosse migliorata la loro abilità nelle attività ripetitive.

Adrian Owen, neuroscienziato del Medical Research Council e direttore della ricerca, ritiene che non siano state riscontrate differenze significative nei miglioramenti osservati tra i partecipanti nei tre gruppi.

Ovviamente i risultati sono contestati da altri, che sostengono che si deve approfondire meglio il problema. È opportuno ricordare che il videogioco è un grande successo economico della Nintendo, che certo non avrà gradito le affermazioni del professore inglese.

Noi riteniamo che sarebbe stato interessante se fosse stato predisposto anche un quarto gruppo che avrebbe dovuto dedicare il suo tempo per seguire ogni giorno un qualunque reality tra quelli trasmessi dalle nostre TV, Allora, forse, si che il videogioco della Nintendo avrebbe dimostrato con certezza le sue qualità.

Per leggere il paper del gruppo di studio pubblicato su “Nature” DOI:10.1038/nature09042



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