Nel 1875 fu chiesto a Collodi, che conosceva bene il francese, di tradurre le “Histoires” di Charles Perrault, insieme alle fiabe. Collodi accolse con entusiasmo la proposta.
Convinto che la pubblicazione dei Racconti delle fate avrebbe avuto successo, pubblicò in anticipo la traduzione di Cenerentola, come lancio pubblicitario del suo nuovo lavoro.
Erano gli anni del programma di politica linguistica della nuova Italia, che mirava ad innalzare l’interesse per la lettura e promuovere una lingua comune basata sull’uso toscano.
Nella traduzione Collodi si prese molte libertà. Allo stile raffinato del racconto di corte, contrappose uno stile discorsivo, vicino al parlato, tipico della lingua italiana, naturalmente secondo l’uso di Firenze.
La traduzione collodiana rivela ambienti e atmosfere della Toscana preunitaria. Anche la morale, a chiusura della fiaba, diventa meno filosofica di quella di Perrault; appare più borghese e più vicina al pensiero ottocentesco.
L’eleganza espressa in chiusura de “La Bella addormentata nel bosco”, la cui morale voleva forse costituire un esempio per le giovani aristocratiche che formavano l’uditorio di Perrault, sparisce con Collodi.
Tutta la grazia dei versi francesi si perde nella traduzione, perché l’autore toscano si preoccupa, invece di ammonire le giovani donne, di una più spicciola politica matrimoniale:
“Se questo racconto avesse voglia d’insegnar qualche cosa, potrebbe insegnare alle fanciulle che chi dorme non piglia pesci... né marito. La Bella addormentata nel bosco dormì cent’anni, e poi trovò lo sposo: ma il racconto forse è fatto apposta per dimostrare alle fanciulle che non sarebbe prudenza imitarne l’esempio”.
Gli elementi più scabrosi, meno adatti ad un uditorio di bambini, vennero purificati. Scomparve il riferimento sessuale che il termine Hymen creava nella versione perraultiana.
La traduzione di Collodi, insomma, ebbe l’effetto di abbassare i toni e di creare un favolismo che fosse più umano e meno “fatato”.
Più tardi, nel suo Pinocchio, Collodi trasferirà la valenza immortale dei personaggi di Cenerentola e Cappuccetto Rosso, la cui origine si perde nella memoria dei racconti popolari. Quei personaggi in realtà sono eterni perché fuori da qualunque categoria spazio-temporale definita: «C’era una volta...», e Collodi lo comprese bene.
Certo, Pinocchio è un altro genere di racconto, ma i suoi parenti più stretti sono proprio i personaggi delle fiabe.
Per questo possiamo dire che Pinocchio appartiene, a pieno titolo al mondo delle fiabe. E ce lo dice lo stesso Collodi sin dall’incipit: “C’era una volta... Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sba- gliato. C’era una volta un pezzo di legno”.
Tuttavia il “c’era una volta”, strada maestra e formula fiabesca immortale nel tempo, nel caso di Pinocchio è segnale ingannevole.
L’incipit fiabesco del “c’era una volta”, unito al modulo narrativo dell’oralità che contraddice l’aspettativa del lettore, stimola l’attenzione del destinatario del racconto e accende il suo desiderio di sapere come andrà a finire la storia. Perché l’errore, si sa, mette in atto meccanismi di apprendimento più duraturi. E Pinocchio è un burattino che, facendo un errore dopo l’altro, dimostra di saper apprendere dai suoi sbagli.
Pinocchio, in sintesi, sembra essere il risultato di una contaminazione tra i modi della fiaba e quelli del racconto toscano, coniugando felicemente elementi della tradizione, tutto un mondo magico e visionario legato alla cultura contadina, con un raffinato stile narrativo verista.
I personaggi oscillano spesso tra realtà e fantasia: Pinocchio-ragazzo e Pinocchio-burattino; la Fata può essere la creatura meravigliosa ai cui ordini stanno il Falco e il cane Medoro, ma è anche “la buona donnina” che porta le “due brocche di acqua”, simile ad una contadina toscana.
Proprio il connubio tra mondo della fiaba e realtà domestica costituisce una delle principali ragioni del grande successo di Pinocchio. E identifica il racconto con quella che è la nuova realtà Italiana nascente dopo l’unità.
La Storia narrata da Collodi sembra essere destinata a durare in eterno, in quanto in grado di assumere un’infinità di significati diversi, pur continuando a mantenere quello originario.
Chi, oggi potrebbe negare che in Pinocchio si specchiano molti degli Italiani più in auge nei vari campi della vita sociale e politica attuale?
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