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Memoria dell’Isola dei Cassaintegrati

La notte è piccola

Anticipazione di un libro di prossima uscita, per i tipi di “Il Maestrale", scritto con e per i cassintegrati. Il ricavato andrà interamente in beneficenza

Di Silvia Sanna

Al calar del sole si svolge il rito della suddivisione delle celle. Un cassintegrato secondino si occupa di prendere nota di quelle libere e le assegna a chi è rimasto senza. Alcune ospitano i lavoratori che sono ininterrottamente sull'isola fin dal primo giorno di occupazione. Le altre vengono assegnate a rotazione. Sono piccole stanze dalle pareti grigie, ridipinte dopo la chiusura del carcere. Sono sparite le scritte disperate dei detenuti, i poster delle donnine nude, i santini dei devoti. Ora ci sono ritratti di famiglia, palme pasquali, pupazzi regalati dai bambini. Una branda, un piccolo armadio di legno, un lavandino da cui non scende una goccia d'acqua potabile.

La domenica, giorno di visita, le celle assumono l'aspetto ordinato di una camera d'albergo. Non una coperta fuori posto, non una piega nelle lenzuola, le pantofole allineate accanto al letto. Per mogli e figli ci s'improvvisa ottimi casalinghi.

Non ci sono abbastanza brande per tutti. La precedenza viene data a chi è qua da più di due mesi, nonostante i chiodi ortopedici conficcati nella schiena e altri problemi fisici rilevanti. Non un lamento, da chi sente ogni molla della branda come una corona di spine.

Antonello, con i suoi ferri nella colonna vertebrale, ogni notte 'taglia la legna' producendo suoni roboanti. Ha un serbatoio capiente: russa fino all'alba. Emanuele ha trovato la soluzione al problema: tenerlo sveglio, ad oltranza. Il caffè non basta: provano a fargliene ingurgitare ettolitri, ma dopo una giornata intera passata tra i fornelli, la stanchezza prende il sopravvento sul cambusiere dell'isola. Dopo cena, Emanuele lascia che Antonello si corichi. Gli dà il tempo di addormentarsi e poi fa irruzione nella sua cella, gli punta la pila in faccia e lo sveglia.
"Antonè, sei sveglio?", gli chiede.
"Sì", risponde l'altro, allarmato. "Cos'è successo?".
"Niente, era solo per vedere se eri sveglio".

Così facendo, i ragazzi guadagnano dieci minuti di silenzio per cercare di addormentarsi senza rumori di fondo.

Nel frattempo, Roberto cerca di farsi un posto letto nel corridoio. Con due poltroncine sgangherate a disposizione, costruisce la cuccia che lo ospiterà stanotte. Le allinea verticalmente e fa le prove: il busto su una e il resto del corpo sull'altra.
I piedi in su, sulla spalliera. La schiena curva. Il suo corpo prende le sembianze di una V ammosciata e scomoda. V come vendetta. V come Vinyls. V come vaffanculo a chi ci ha ridotto così.
"Sto benissimo", dice, "alla grande".
Il vento chiude violentemente le porte delle celle e cala il silenzio nel corridoio grigio e freddo.
Di tanto in tanto, dall'alcova di Roberto provengono lamenti.
"Oja", sospira.
"Robè, sei comodo?" gli chiede qualcuno, intenerito.
"Benissimo", risponde, "Oja".

Poco più tardi, Peppino rientra da un giro di perlustrazione attorno al carcere. E' il capo impianto e nonostante la cassaintegrazione, non ha perso il vizio di tenere tutto sotto controllo.
Mentre si avvia verso la sua cella, al buio, s'imbatte in due gambe penzolanti. Sussulta per lo spavento, accende una torcia e scopre che il proprietario degli arti è Roberto, addormentato nel suo catafalco. Peppino gli tocca un piede, si fa il segno della croce e procede. "L'abbiamo perso", dice chi tiene il conto dei feriti sul campo.

L'ultima cella del corridoio è la cosiddetta "cella dell'uxoricida", dallo status di chi l'ha occupata fino alla chiusura del carcere.
Dopo essere uscito di prigione per un permesso premio, l'uomo ha trovato sua moglie curiosamente gonfia. L'ha perdonata, accettando, con indulgenza, il frutto del peccato. A fine permesso è rientrato in carcere.
Ottima condotta, altro permesso premio. Rientra a casa e ritrova di nuovo la moglie stranamente appesantita. Questa volta, però, è molto più difficile perdonare. L'uomo torna in prigione da vedovo e occupa la cella n° 7.
La cella dell'uxoricida in cui ora dorme Pietro Marongiu, che ogni mattina manda un messaggio d'amore alla sua Margherita. Lui, questa storia ai suoi famigliari non l'ha mai raccontata. Li ha portati a vedere il bugigattolo in cui passa le sue notti lontane da casa, ma ha omesso i particolari più racappriccianti.
"Qua dorme babbo", ha spiegato ad Anna Lucia, Angelo e Davide.
Quando qualcuno gli ha proposto di dormire in una struttura più nuova e meno fredda, fuori dal carcere, Pietro ha rifiutato.
"I miei figli sanno che dormo qua e io qua ci rimango fino all'ultimo giorno".

Il buio avvolge il corridoio e le celle: anche la luna ha abbandonato i ragazzi. Spesso manca la corrente elettrica, in questa fredda galera. Il casco usato sul lavoro, quando ancora l'impianto era in funzione, ora torna utile per le letture notturne, con il suo bagliore pallido.

Fanno tenerezza, questi uomini grandi e grossi che sotto le coperte, con un raggio di luce che sbuca dalla fronte, leggono le letterine dei loro figli.
E piangono.


Si ringrazia Il Maestrale, casa editrice nuorese, per il permesso di pubblicare questo toccate brano.


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I “Cassaintegrati”: dalla Torre Aragonese al carcere dell'Asinara di Giovanni Gelmini
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Lavoro, Governo e Sindacati di Giacomo Nigro
Il motto del nostro Governo dovrebbe essere “occupazione”! di Il Nibbio
I dati Istat su Occupati e disoccupati

in numeri precedenti:
nel numero di Febbraio 2010: Il problema delle “cattedrali nel deserto” resta di Giovanni Gelmini
nel numero di Gennaio 2010:
Operai della Vinyls sulla torre! di Giovanni Gelmini
Le cattedrali nel deserto e la crisi
di Giovanni Gelmini


Argomenti:   #asinara ,        #disoccupazione ,        #occupazione ,        #racconto ,        #vinyls



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