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I professionisti dello sport cosa fanno?

Hanno ucciso il fair play

Dalle “bombe” inventate dai ciclisti al doping, passando per “calciopoli” e gli enormi interessi economici legati a quello che dovrebbe essere un divertimento. I manager però si oppongono a provvedimenti che potrebbero migliorare le cose

Di Silvano Filippini

Lo sport professionistico è ormai degenerato a tal punto che non si riescono più a riconoscere i principi fondanti che hanno dato vita allo sport moderno (nato in Gran Bretagna più d uni secolo fa) e cioè lealtà, rispetto dell’avversario e delle regole.
Le cause che hanno contribuito allo stravolgimento dei valori sono da ricercare nella progressiva perdita di qualità morali, intellettuali e professionali dell’attuale società, sostituiti dal “dio denaro” per cui lo sport non pare più il mezzo atto a raggiungere il benessere psico-fisico di chi lo pratica (scopo per cui è stato “inventato”) bensì il mezzo per far soldi a palate, a costo di sotterfugi, utilizzati per aggirare le regole e per sopraffare l’avversario o, peggio, annientarlo sul piano fisico.

I primi a distruggere la lealtà sportiva (e il proprio corpo) sono stati i ciclisti che, già dagli anni cinquanta, hanno ricercato il successo utilizzando “bombe” chimiche del tutto empiriche, che hanno dato il via all’escalation del doping. Doping che oggi ha raggiunto livelli di sofisticazione tali da rendere l’antidoping in eterno ritardo nel tentativo di smascherare i furbacchioni. Che poi furbi non sono per niente in quanto, per qualche dollaro in più, si “autodistruggono” senza comprendere che, se tutti si dopassero, vincerebbe comunque l’atleta che ha ricevuto qualcosa in più da madre natura. Esattamente ciò che avverrebbe se nessuno si dopasse!
Da allora, progressivamente, anche le altre discipline sportive di resistenza e di potenza si sono adattate all’assurdo sistema, dimenticando che la macchina umana ha comunque dei limiti che, se vengono superati attraverso la chimica, generano spaventosi effetti collaterali, che possono portare persino alla morte. Come del resto si è già verificato più volte.

Dalla realtà di Calciopoli ai comportamenti dei personaggi

Calciopoli uno (affidata alla giustizia sportiva che ha emesso le ben note sentenze in breve tempo) e calciopoli due, cioè quella attuale in mano alla giustizia ordinaria che, purtroppo, non ha mai tempi certi, hanno dimostrato lo “schifo” dilagante, ormai radicato tra i cosi detti professionisti del calcio. Insomma questo mondo strapagato ha offerto un’immagine di immoralità diffusa, oltre a catastrofici bilanci. Persino il tanto osannato calcio inglese sta mostrando la corda: nonostante il diffusissimo marketing e gli stadi (appartenenti alle società), che producono reddito grazie ad eventi al di fuori dello sport, si trova in grave crisi finanziaria.

L’ultimo episodio, dei tanti che domenicalmente si verificano sui campi di calcio, riguarda la finale di Coppa Italia quando, più che a calcio, si è giocato a calci; anziché assistere ad un confronto abbiamo visto uno scontro, dove ognuno ha cercato di imporsi con la forza e la cattiveria che è culminata nel fallaccio di Totti ai danni di Balotelli. Del resto il capitano della Roma non è nuovo ad atti inconsulti, tra cui quello deprecabile in occasione dei mondiali quando ha sputato in faccia ad un giocatore danese. Per non parlare delle 108 ammonizioni e 13 espulsioni collezionate durante la sua carriera. Ma, sicuramente, il mondo del pallone chissà quanti altri ce ne propinerà. Si tratta di falli odiosi perché premeditati; non mi si venga a dire che sono dovuti a un raptus di reazione generato da situazioni precedenti.

Se un atleta aspira al ruolo di campione, non lo deve essere soltanto per le sue prodezze balistiche o le pennellate d’alta classe ma, soprattutto, per il suo comportamento in campo e fuori dal campo: insomma un fulgido esempio di moralità. Se la sua corteccia cerebrale non è in grado di tenere a bada quella parte di cervello ben più antica (sede delle emozioni) che abbiamo in comune con il mondo animale, vuol dire che non possiede quella capacità di autocontrollo che contraddistingue i veri campioni.

Così, anziché dare buon esempio dal campo a quegli ultrà che hanno perso da tempo immemorabile la capacità di raziocinio e si comportano da animali assetati di violenza e di sopraffazione, gli atleti sono scaduti al loro stesso livello. Se poi ci si mettono anche gli allenatori sul tipo di Mourinho ad istigare alla violenza! Quelle “manette” e le allusioni al Siena che avrebbe comprato la partita (premio a vincere) non sono di certo degne di un allenatore onesto, bensì di un essere antipatico e votato ad inseguire ogni mezzo pur di ottenere vantaggi. Alla faccia della sportività!

Non voglio spalancare la porta del tifo ultrà in quanto richiederebbe una puntata solo per tentare di narrarlo, tanti sono gli episodi che si verificano negli stadi italiani, nonostante l’inasprimento delle norme. Evidentemente l’unico modo per evitare scontri è quello di disputare le partite a porte chiuse, come si è verificato di recente a Genova o applicare il metodo inglese che ha reso del tutto innocui gli hooligans.

Anche se tale soluzione non può evitare episodi di violenza nei confronti dei giocatori e dei presidenti. Non ultimo quello per il quale Balotelli ha rischiato di schiantarsi in auto per via del sabotaggio (hanno svitato i bulloni delle ruote).
Certo, la cultura che aleggia nelle altre discipline sportive è ben diversa. Ad esempio le recenti finali di Volley (maschile e femminile) che hanno stipato i palazzetti sino all’inverosimile, non hanno generato alcun episodio di intolleranza, ma si è trattato di autentiche feste all’insegna dello sport.

Il problema del “denaro TV”

Anche sul piano prettamente tecnico e organizzativo la ricerca spasmodica del denaro, che le TV elargiscono, ha stravolto il campionato, ormai divenuto uno spezzatino trasmesso a tutte l’ore e spalmato sull’intera settimana, a scapito della regolarità del torneo stesso.

Almeno nelle ultime cinque giornate tutte le partite dovrebbero venire giocate nello stesso giorno e alla medesima ora, onde evitare di concedere vantaggi (non solo psicologici) a chi gioca dopo e conosce già il risultato delle altre squadre coinvolte nella lotta per lo scudetto, per la salvezza o per l’ingresso nelle coppe europee dell’anno successivo.

Con questa semplice regola, che ha caratterizzato tutti i campionati del secolo scorso, il caso di Inter- Lazio di alcune domeniche or sono non si sarebbe verificato; forse anche perché anni addietro gli ultrà non erano ancora così “fuori di testa” da tifare per gli avversari, pur di non favorire gli odiati rivali della Roma.

Siccome sono le TV a tenere in mano le redini del gioco attraverso il munifico portafoglio, il mondo del calcio ha voluto inchinarsi e cancellare ogni forma di obiettività e sportività. Il tutto nel tentativo di avere più denaro a disposizione per potenziare la rosa, senza rendersi conto che, con il contratto collettivo del prossimo anno, tutte le compagini riceveranno soldi in ugual misura, per cui appare evidente che soltanto le società che possono contare su “presidenti mecenati” (le solite) potranno aspirare alle vette della classifica, mentre le altre dovranno accontentarsi di partecipare. Esattamente ciò che si verificava regolarmente anche prima dell’avvento della TV e dei suoi milioni.

Sempre che la prossima udienza del Tar, relativa al ricorso di Conto TV affinché venga sospeso il contratto Lega-SKY (1149 milioni di euro), non crei un cataclisma sul campionato di serie A. Allora si che molte società dovrebero chiudere per bancarotta o ridimensionare drasticamente le proprie rose.

Non c’è piu il fair play come modello

A fare le spese di questo clima infuocato è stato anche il fair play, divenuto ormai un emerito sconosciuto sui campi di calcio: reti realizzate con le mani, falli simulati pur di ottenere il rigore o l’espulsione dell’avversario, gomitate in faccia, magliette strapazzate e allungate all’inverosimile, falli volontari e pericolosi per l’incolumità di chi li subisce (e non solo), gioco non interrotto nonostante la presenza sul campo di un infortunato, tempo perso volontariamente attraverso numerosi stratagemmi, quando si è in vantaggio e via discorrendo. Ma ciò che appare più preoccupante è la convinzione che tutti i numerosi comportamenti antisportivi a cui assistiamo sui campi di gioco siano confusi con la furbizia. Ci si è ormai dimenticati che il furbo è colui che trova espedienti intelligenti all’interno delle regole di gioco e non sfruttando l’illegalità.

Regole superate e tecnologia rifiutata

Anche le regole attuali, ampiamente superate dall’avvento della tecnologia che il mondo del calcio insiste a rifiutare, non funzionano da deterrente. Infatti sono facilmente aggirabili anche per la presenza di un solo arbitro (che la cariatide Blatter ha recentemente confermato) e due assistenti: troppo pochi per un terreno così vasto e per il costante aumento di velocità del gioco.

Ad esempio, le squalifiche a “giornate” appaiono del tutto inadeguate per atleti che giocano contemporaneamente su più fronti. Sarebbe sufficiente adottare le squalifiche a tempo (già utilizzate in altri sport) che vietano ad un giocatore di scendere in campo in qualsiasi competizione per il tempo stabilito.

L’ultima squalifica, inflitta a Totti giustamente, sarebbe stata più efficace se, invece di concsitere nel divieto di giocare per quattro settimane nella prossima Coppa Italia, si fosse risolta nella sospensione di un mese da qualunque partita

Se, oltre alle squalifiche, che in pratica avvantaggiano solo le squadre che devono incontrare la società orfana di quell’atleta, si stabilissero anche sostanziose decurtazioni di stipendio (come si verifica nei campionati professionistici statunitensi), la deterrenza ai comportamenti scorretti funzionerebbe meglio.

Di questo passo il calcio non può avere futuro, anche perchè la mancanza di educazione sportiva ha coinvolto pure i campionati minori e quelli giovanili, dilagando nell’ambito degli altri sport di squadra. E’ sufficiente recarsi sugli spalti dei campetti di periferia per assistere a scene da far west che nulla hanno da spartire con lo sport: parolacce e bestemmie indirizzate ai giocatori sia dagli spalti che dalla panchina, incitamenti a “buttar giù” l’avversario lanciato a rete o, ancor peggio, istigazioni a “segargli le gambe”.

Per non parlare dei consigli antisportivi suggeriti dagli allenatori, che puntano esclusivamente a vincere con ogni mezzo, dimenticando che, prima di essere allenatori, debbono comportarsi da educatori e costruire una mentalità sportiva corretta che abitui alla lealtà e al rispetto dell’avversario. Cioè gli obiettivi basilari in un settore giovanile.
Per non parlare dei genitori che hanno dimenticato da tempo immemorabile la loro missione di educatori e assitono alle partite scaricando le proprie frustrazioni sugli avversari. Al punto che, in più di un’occasione, sono stati i loro figli a dimostrare maggior saggezza ed hanno interrotto la partita rifiutandosi di giocare in quelle condizioni di odio palese e imbarazzante, instauratosi tra le due fazioni.

In tale clima infuocato, dove l’unico obiettivo è vincere, persino Macchiavelli avrebbe fatto la figura dell’educando!

Argomenti:   #opinione ,        #sport



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