REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno VI n° 6 GIUGNO 2010 FATTI & OPINIONI


Ragioniamo sul documento
100° Assemblea di Confindustria: Marcegaglia contro Berlusconi
Il feeling degli industriali con Berlusconi è terminato da un pezzo. Il discorso del Presidente di Confindustria mostra un disaccordo profondo e sostanziale con le politiche oggi attuate dal Governo
Di Giovanni Gelmini


Molti, che hanno scritto sul discordo di Emma Marcegaglia alla 100° Assemblea di Confindustria, hanno posto l’accento sul “Pieno sostegno alla manovra”, detto dal Presidente di Confindustria nel suo intervento, come se l'approvazione sull'operato del governo fosse ampia e indiscussa. Questi forse non hanno notato un “ma” che seguiva l'affermazione e si sono “dimenticati” di leggere l'intervento nel suo complesso.
Oggi non so come faranno a giustificare lo sbotto di Berlusconi a "Mattino Cinque", nello spazio di Maurizio Belpietro, con cui il nostro premier ha rivolto un invito ai “confindustriali”: “Suggerisco di leggere con maggiore attenzione i 54 articoli della manovra”. Sicuramente troveranno l'appiglio, tanto sono abituati a “forzare” le notizie, oppure semplicemente che dimenticheranno, anche se da tempo vi è un disaccordo Confindustria – Governo. Tale disaccordo era già chiaro nella relazione presentata lo scorso anno (vedi Spaziodi Magazine GIUGNO 2009 “L’Italia in crisi vista dalla Marcegaglia”); ora il disaccordo è più esplicito, l'unico punto di convergenza è la necessità di una manovra.

Nel leggere la relazione è opportuno tener conto che un Presidente di Confindustria non fa interventi a muso duro, ma è parte del suo mandato avere comportamenti soft con il Governo, da cui gli industriali si attendono sempre una “attenzione particolare” e per questo non ritengono mai utile uno scontro duro e diretto.

Eppure nella relazione della Marcegaglia vi sono passi durissimi e anche Berlusconi, forse in ritardo, se n’è accorto.

La sintesi di tutto lo scontro è in questa frase, che si trova all'inizio della seconda pagina della relazione: “La manovra varata dal Governo contiene misure che Confindustria chiede da tempo. Perciò diamo pieno sostegno alla linea di rigore del Ministro dell’Economia e approvata martedì dall’Esecutivo. Mancano, però, interventi strutturali per incidere sui meccanismi di formazione della spesa pubblica. Servono riforme per rilanciare lo sviluppo. In sintesi è quello che dice anche l'opposizione.

Le lagnanze della Marcegaglia sono molteplici e non nuove. Parte da alcune considerazioni. L’ultimo anno e mezzo è stato durissimo. - dice la Presidente - A marzo 2009 avevamo perso 26 punti di produzione industriale rispetto ai massimi pre-crisi. A marzo 2010 eravamo ancora sotto di oltre 20 punti Ma non basta, più avanti: “La ripresa dell’economia mondiale procede meglio del previsto, oltre il quattro per cento. Nei Paesi emergenti asiatici si attende una crescita dell’8,7% quest’anno. Negli Stati Uniti sopra il 3%. In Europa, invece, sarà attorno all’1%.- e successivamente sulla situazione dell'Italia -Per l’Italia il bilancio della crisi è pesantissimo. Rispetto ai picchi del primo trimestre 2008, abbiamo perso quasi sette punti di PIL e oltre 700mila posti di lavoro. Il ricorso alla cassa integrazione guadagni è aumentato di sei volte. La produzione industriale è crollata del 25%, tornando ai livelli di fine 1985: cento trimestri bruciati.
In alcuni settori l’attività produttiva si è dimezzata... La produzione industriale sta aumentando del 7% annuo e accelera il passo. Ma su questo recupero gravano le incognite della crisi europea in atto. Comunque, non si tratterà di un duraturo innalzamento del nostro ritmo di sviluppo. Queste dinamiche si sono, infatti, innestate su una tendenza ormai endemica del Paese a crescere lentamente. Tra il 1997 e il 2007 il PIL è aumentato dell’1,4% l’anno contro il 2,5% del resto dell’eurozona, il 3,0% degli Stati Uniti.
Il reddito per abitante è arretrato di sette punti rispetto alla media dell’area euro. Uno scenario davvero poco incoraggiante.


Due sono gli aspetti che la rendono scettica: “ Il primo è che questa maggiore disciplina non è stata il frutto di una scelta politica maturata con lungimiranza e senso di responsabilità. Ma è stata imposta dall’andamento dei mercati... È finito per sempre il tempo in cui il bilancio pubblico era una stanza di compensazione delle tensioni sociali. Un uso improprio aggravato in Italia da favoritismi e clientelismi, da sprechi e appropriazione di risorse dei contribuenti, da corruzione.
Il secondo aspetto è che mettere in ordine i conti pubblici non basta e non è neppure duraturo senza profonde riforme strutturali.

Marcegaglia indica cosa si deve fare e richiama il documento “Italia 2015”, predisposto da Confindustria, in cui sono affrontate tutte le “questioni cruciali: dall’energia al credito e finanza, dal fisco alla giustizia, dalle infrastrutture all’istruzione, dal lavoro alle liberalizzazioni, dalla pubblica amministrazione alla ricerca e innovazione.” Tutti punti dolenti che il governo, malgrado sia in continuazione stimolato, non prende in esame (N.D. è sicuramente troppo impegnato a salvare la faccia da indagini e processi in corso, dalla corruzione dilagante che spolpa anche le ossa di un’economia morente).

Le Infrastrutture solo il primo punto affrontato. Alle richieste classiche, ferrovie, strade, porti si aggiunge oggi anche la “banda larga” che inspiegabilmente si è arenata. In sintesi “Per recuperare l’enorme gap, è necessario elevare stabilmente al 2,5% del PIL gli investimenti in opere pubbliche.” Oggi siamo ben lontani dal 2,5%.

Il “costo dell'energia” è il secondo punto. Al Terzo la “ricerca” e di conseguenza la struttura baronale delle università. Il problema università, e più in generale la formazione, lo ritroviamo anche nel quarto punto “le risorse umane”. Qui la Marcegaglia fa una precisa considerazione “La risorsa più preziosa per lo sviluppo da noi viene formata troppo poco e male - -Lo conferma la gestione di tante università, piene di personale docente senza qualità e povere di ricerca. Noi perciò chiediamo che... Si premino gli insegnanti migliori, competenti e appassionati. Si raddoppino le borse di studio per gli studenti meritevoli. Si finanzino gli atenei in base alla qualità e non ai costi storici. La riforma in discussione, seppur timida, va nella giusta direzione. È essenziale che in Parlamento non venga smontata.” Il presidente non ricorda purtroppo che da noi oltretutto gli studi durano eccessivamente. Chi non entra nel mondo della ricerca, in tutto il mondo, inizia a lavorare attorno ai venti ventidue anni al massimo ed è prevalente la “formazione continua”, per permettere di mantenere la risorsa umana aggiornata e flessibile alle esigenze che in continuazione cambiano.

Vi sono ancora due punti: la “riforma fiscale” e la Giustizia. Su quest'ultimo è bene, anche se forse inutile, chiarire che le esigenze presentate dalla Marcegaglia sono molto diverse da quelle di Berlusconi. Riporto le parole precise dette dal Presidente di Confindustria: “Nell’ambito del disboscamento degli ostacoli normativi e amministrativi all’attività d’impresa, un ruolo centrale ha il funzionamento della giustizia.

Bisogna abbatterne i tempi, che in Italia sono due, tre, perfino quattro volte più lunghi che negli altri Paesi europei. È una situazione inaccettabile per un paese civile. Mina la certezza del diritto, impedisce l’attuazione dei contratti, intacca la fiducia dei cittadini, scoraggia la voglia di investire delle imprese. Occorre rendere costose e non più convenienti, come oggi, le tattiche di allungamento dei processi. Vanno incentivate le soluzioni stragiudiziali e gli arbitrati. Vanno accorpati i tribunali più piccoli, diffuse le sezioni specializzate e l’informatizzazione.


Occorre una crescita almeno del 2% annuo e questo apparentemente è anche negli obiettivi del governo, ma, secondo la Marcegaglia è necessario che “sia coerente e metta in atto i grandi interventi che sono necessari per raggiungerlo.” Così, garbatamente, il Presidente di Confindustria sottolinea come l'azione di Governo sia “incoerente” con quanto si è posto come programma e con quanto tutti, imprenditori, sindacati e opposizione chiedono.
Più avanti, dopo aver messo in rilievo le difficoltà a competere a livello mondiale a causa delle piccole dimensioni delle imprese, analizza un altro punto dolente della capacità del Governo di gestire la cosa pubblica e dice:
Veniamo allo Stato.
La sua presenza continua a crescere. Dall’ingresso nell’euro all’anno prima della crisi la spesa pubblica corrente al netto degli interessi è cresciuta di quasi due punti di PIL. Mentre tra il 2003 e il 2007 la Germania l’ha abbassata di quattro punti.
Dal 2000 al 2008 le retribuzioni nel pubblico impiego sono aumentate del 16,1% più dell’inflazione, contro il 3,9% di quelle private. Gli incrementi maggiori si sono avuti negli enti locali. La spesa pubblica è scappata di mano.
Dal 1997 al 2008 l’attenzione si è concentrata sul contenimento della spesa corrente primaria centrale, che è salita “solo” del 38%. Nel frattempo, quella delle Regioni e delle Autonomie aumentava dell’80%. È chiaro che si tratta di dinamiche esplosive, che soffocano l’economia e la società, che impediscono di ridurre le imposte.
Nella sanità si calcola che il debito pubblico occulto sia attualmente nell’ordine dei 50 miliardi di euro. E, in più, proprio le aziende sanitarie perpetuano quello scandalo nazionale del ritardato pagamento delle imprese. Ritardi che non sono più solo di mesi, ma di anni.
Confermo qui la richiesta che abbiamo avanzato a Parma: la spesa pubblica italiana deve diminuire di almeno un punto di PIL all’anno per i prossimi tre anni.


Più avanti riconosce: “La manovra varata dal Governo fa propri alcuni di questi principi. Traccia il sentiero di ridimensionamento della spesa pubblica, che però va reso strutturale. - e più avanti - La sforbiciata data con la Finanziaria agli enti e ai costi della politica è sacrosanta ma è solo un buon inizio. - quindi - La diminuzione del 10% delle indennità dei membri del Governo, guardata da un’ottica internazionale, è un timido esordio - e poi ancora - Non c’è stata crisi per il numero di consorzi e società controllate o partecipate da enti pubblici locali: +5,2% nel 2009, a quota 7.100.Erano cinquemila pochi anni fa.
Non è soltanto una questione di inefficienza, concorrenza sleale, occupazione di segmenti meglio gestiti dal mercato. È soprattutto una questione di potere, distribuzione di cariche, elargizione di compensi, clientelismo e, a lungo andare, di vera e propria corruzione.
Le poltrone nelle società pubbliche locali sfiorano quota venticinquemila
” e con questo ha risposto all'accusa di Berlusconi, prima che venisse lanciata.

Una relazione che, anche se non in tutti i risvolti di indirizzo, come ad esempio sul nucleare, la possono condividere tutti e rappresenta un documento chiaro di quale sia lo stato dell'Italia, quale possa essere il metodo da usare per affrontare i gravi problemi che venti anni di dissennata politica hanno prodotto e come questo Governo non raccolga più il consenso della principale associazione di imprenditori italiana.

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