Roma, 3 giugno 2010
Nell’ambito dell’iniziativa «Un mese di sociale», quest’anno il Censis si è concentrato su una visione di medio periodo per l’Italia, individuando come fattori cruciali l’evoluzione del capitale umano e la progressiva liberazione dal debito pubblico.
Saremo ancora un grande Paese, ma si allargherà il divario tra Nord e Sud. Nel 2030 la popolazione residente in Italia sarà di 62 milioni 129 mila persone, il 3,2% in più rispetto al 2010. Mentre gli abitanti delle regioni del Sud diminuiranno (-4,3%), saranno i residenti nel Centro-Nord ad aumentare in modo consistente (+7,1%) soprattutto per effetto dell’immigrazione. Nel medio periodo crescerà quindi l’Italia più ricca (2,8 milioni di persone in più nel Centro-Nord nei prossimi vent’anni), mentre il Mezzogiorno, in assenza di interventi significativi, continuerà a perdere attrattività (890 mila abitanti in meno). L’emorragia di risorse umane nel Sud è indicata anche da un tasso migratorio (saldo tra iscrizioni e cancellazioni anagrafiche) negativo (-1,0 per mille abitanti nel 2020) rispetto a quello positivo del Centro-Nord (+5,2). Il trend di impoverimento del capitale umano al Sud comporterà un allargamento del divario rispetto al Nord sia come mercato di consumatori, sia come bacino di lavoratori, intaccando così i principali fattori di generazione della ricchezza.
Più di un milione di giovani in meno fra vent’anni. In base alle previsioni demografiche, i giovani di 18-34 anni diminuiranno, con un forte calo nel prossimo decennio (passeranno dai 12 milioni 26 mila del 2010 ai 10 milioni 836 mila del 2020, segnando un -9,9%), che tenderà ad attenuarsi successivamente, fino ai 10 milioni 791 mila del 2030 (-10,3% nell’intero periodo 2010-2030, cioè 1 milione 235 mila in meno). I giovani passeranno quindi da una quota del 20% della popolazione complessiva al 17,4% e i bambini di 0-14 anni passeranno dal 14% di oggi al 12,9% fra vent’anni. Contemporaneamente gli over 65 anni aumenteranno dagli attuali 12 milioni 216 mila a 16 milioni 441 mila nel 2030 (+34,6%), rappresentando così il 26,5% della popolazione italiana (il 20,3% nel 2010). E gli over 80 anni aumenteranno di 1 milione 940 mila (+55,2% nel periodo 2010-2030) arrivando a 5 milioni 452 mila, ovvero l’8,8% della popolazione complessiva (il 5,8% nel 2010).
Si allungherà ancora la vita: 87,5 anni per le donne. Anche la vita media continuerà ad allungarsi, di quasi due mesi in più all’anno per i prossimi vent’anni, fino a 82,2 anni per gli uomini e 87,5 anni per le donne nel 2030 (la speranza di vita era pari rispettivamente a 76,5 anni per gli uomini e 82,3 anni per le donne nel 2000). Al punto che l’età media di un italiano sarà passata da 40,9 anni nel 2000 a 47 anni nel 2030. L’età media della madre al parto continuerà a innalzarsi: 30,4 anni nel 2000, 31,3 anni nel 2010, 32,1 anni nel 2020, 32,6 anni nel 2030. Al Sud le donne continueranno a mettere al mondo i figli a una età leggermente più giovane (31,1 anni) rispetto a quelle residenti nelle regioni del Centro-Nord (33,4 anni).
La popolazione crescerà più in Europa che in Italia. Resteremo un grande Paese, ma le differenze sul piano demografico con i principali Paesi europei tenderanno in molti casi ad accentuarsi. Se nel 2010 vive in Francia un numero di abitanti maggiore del 4,3% di quelli che vivono in Italia e la differenza con il Regno Unito è del 3,3%, nel 2030 il divario aumenterà rispettivamente al 9,9% e all’11,9%, cioè i francesi saranno 6,1 milioni in più degli italiani (attualmente sono solo 2,5 milioni in più) e gli inglesi 7,3 milioni in più (attualmente sono solo 1,9 milioni in più). Gli spagnoli, che oggi sono il 22,2% in meno degli italiani (cioè 13,3 milioni in meno), nel 2030 avranno accorciato le distanze, riducendo la differenza a 14,9 punti percentuali (gli spagnoli saranno solo 9,2 milioni in meno degli italiani). Rispetto alla Germania, invece, la differenza di popolazione (oggi i tedeschi sono il 36,9% in più degli italiani) diminuirà al 29,6% a causa di una tendenziale riduzione della popolazione tedesca. Nel confronto europeo, gli italiani continueranno a essere i più vecchi: nel 2030 la quota di anziani (65 anni e oltre) nel Regno Unito sarà limitata al 20,5%, al 22,1% in Spagna, al 23,2% in Francia. Mentre in Europa la quota dei giovani (18-34 anni) sarà superiore a quella italiana di diversi punti percentuali: 20,8% nel Regno Unito, 20,3% in Francia, 19% in Spagna.
Serviranno 480 mila nuovi posti di lavoro all’anno per i prossimi dieci anni. Questi scenari demografici modificheranno profondamente il modo in cui lavoriamo e produciamo. Per conservare gli attuali standard di vita, dovrà certamente aumentare il tasso di occupazione. Se ipotizziamo di mantenere costante l’attuale numero di persone che lavorano (poco più di 23 milioni, con un tasso di occupazione riferito alla popolazione di 15-64 anni del 57,5%), in base alle tendenze demografiche, che prevedono una riduzione della popolazione in età attiva di 263 mila persone nel 2020, e di 1 milione 727 mila nel 2030, il tasso di occupazione dovrà necessariamente salire al 57,9% nel 2020 e al 60,1% nel 2030. Invece, il raggiungimento dell’obiettivo della strategia di Lisbona (una quota di occupati del 70% tra la popolazione di 15-64 anni) implicherebbe un aumento del numero di occupati di 4 milioni 828 mila nel 2020 (per arrivare a 27 milioni 853 mila occupati in totale), ovvero comporterebbe la creazione di 480 mila nuovi posti di lavoro all’anno per i prossimi dieci anni.
La parabola crescente del debito pubblico. Dal punto di vista della finanza pubblica, in Italia il rapporto tra il debito pubblico e il Pil è aumentato vertiginosamente negli ultimi anni: era il 95,2% nel 1990, già passato al 109,2% nel 2000, per poi salire ancora prevedibilmente al 118,2% alla fine del 2010, dopo una transitoria fase di lenta diminuzione nel periodo 1995-2005. Nonostante il biennio di crisi, che ha comportato ovunque un forte innalzamento del debito pubblico, gli altri principali Paesi europei hanno mantenuto il rapporto al di sotto del valore del Pil: 64,9% la Spagna, 78,8% la Germania, 79,1% il Regno Unito, 83,6% la Francia, con un rapporto medio riferito all’Unione europea nell’insieme pari al 79,6%.
12 miliardi di euro l’anno per dieci anni per riportare il debito pubblico sotto il 100% del Pil. Un esercizio di visione di futuro per l’Italia ci impone di considerare ineludibile l’obiettivo della riduzione del debito pubblico nei prossimi anni. Se si ipotizza una crescita annua del Pil dell’1% costante per i prossimi dieci anni e si fissa un obiettivo di riduzione del rapporto debito pubblico/Pil sotto la soglia psicologica del 100%, cioè al 99%, occorre perseguire una diminuzione del debito dello 0,7% l’anno, corrispondente a un accantonamento di risorse per circa 12 miliardi di euro l’anno (tendenzialmente decrescenti in virtù della riduzione progressiva dello stock di debito pubblico e degli interessi), recuperabili almeno in parte attraverso la lotta all’evasione fiscale.
Sono intervenuti alla tavola rotonda, tra gli altri, il Presidente del Censis Giuseppe De Rita e il Direttore Generale Giuseppe Roma, il Presidente dell’Ispi Boris Biancheri, il Presidente del Cnel Antonio Marzano e il Direttore Generale del Comune di Torino Cesare Vaciago.
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