Cambiare, si deve cambiare. Per uscire dalla crisi che ha colpito il mondo, si deve passare per un profondo rinnovamento di tutto, dalle tecnologie usate all'organizzazione. Questo è quanto dice la teoria economica dei “cicli lunghi” e noi siamo proprio sul punto minimo di uno di questi cicli, quello che è iniziato nel dopo guerra e che è chiamato “ciclo del petrolio” perché l'uso di questa materia prima, per produrre energia e per la petrolchimica, ha dato la spinta per lo sviluppo economico per mezzo secolo.
Ora si deve cambiare. La macchia nera che sta coprendo il Golfo del Messico sembra aver convinto gli americani che è ora di abbandonare il petrolio per fonti di energia pulite (e forse rinnovabili!) Nel discorso del 15 giugno scorso, dalla sala ovale, da dove i presidenti danno agli americani i messaggi gravi, Obama è stato chiaro: “sarà una transizione costosa e qualcuno pensa che non potremo permettercelo; io credo che non possiamo permetterci di non cambiare il modo in cui produciamo energia, perché il peso di lungo termine sull'economia, sulla sicurezza nazionale e sull'ambiente sono molto maggiori.”
Per Obama l'incidente avvenuto al pozzo della BP mostra chiaramente e in modo drammatico “ che ora è il momento di scegliere l’energia pulita” Ricorda che questa è una sfida da vincere come quella della recessione e del terrorismo; chiede agli americani di rispondere a questo dramma dando l'appoggio alla riforma energetica per “mettere fine alla dipendenza dai combustibili fossili”.
Possiamo dire che il disastro del golfo del Messico ha aperto la via per abbandonare il petrolio e passare alle energie pulite. Sia gli USA che la Cina, i principali consumatori di energia, già hanno una ricerca avanzata sulle energie pulite. Molti dei brevetti sono in mano agli stessi petrolieri e questo darà una spinta formidabile al passaggio, che sarà meno doloroso di quanto si pensi. Infatti i costi al kw/h, oggi ancora non completamente competitivi, avranno una diminuzione drastica con la diffusione delle tecnologie diverranno rapidamente inferiori al costo dell'energia da petrolio e metteranno “fuori mercato” anche il nucleare, che resta costoso.
Questa potrebbe essere l'innovazione tecnologica pervasiva, in grado di far ripartire il nuovo ciclo lungo dell'economia. Se quanto prevedo avverrà, paradossalmente l'Italia è avvantaggiata perché non ha il nucleare e invece ha una buona produzione di energia idroelettrica e un esperienza di energia geotermica. L'importante è che venga immediatamente abbandonato il progetto folle di riaprire centrali nucleari con tecnologie già obsolete.
Ma questo non basta, per far ripartire “lo stare bene” si devono prendere anche altri provvedimenti. Sicuramente raddrizzare la finanza: per ben due volte in un secolo è stata la speculazione selvaggia a bruciare i capitali di persone ed aziende sottraendoli agli investimenti veri e bruciando il risparmio di tante famiglie. L'Europa sta prendendo provvedimenti e le lobby, di chi ci marcia in questo andazzo disastroso per l'economia, osteggiano ovviamente.
Si deve anche riorganizzare il sistema, che in mezzo secolo ha consolidato tante storture, tante improduttività, ma qualunque provvedimento venga preso per modificare questi assetti va a toccare interessi consolidati, e così, come gli scommettitori del mercato finanziario, anche chi è coinvolto da queste modifiche si oppone ad esse. I dipendenti pubblici, i lavoratori, i commercianti, i piccoli imprenditori, cioè tutti, scioperano, si agitano, manifestano.
L'Italia si sta muovendo in un modo strano. Pur avendo ben chiaro che si deve tagliare drasticamente la spesa pubblica, ci si dimentica che contemporaneamente si deve aumentare l'efficienza. Per aumentare l'efficienza si devono eliminare enti con relativi presidenti e direttori, e spese di gestione inutili. Non serve probabilmente ridurre di molto i dipendenti. È vero che una fetta notevole di spesa pubblica sono gli stipendi, ma che una fetta non certo piccola di spese sono le spese inutili, o peggio, gonfiate dalle “cricche” grazie ai regali fatti ai politici e ai funzionari. Il Governo in Italia sembra proprio che non voglia (n.d.r. o non possa) incidere sugli enormi sprechi della pubblica amministrazione.
Il privato invece agisce volontariamente, chiudendo reparti, stabilimenti, o fallendo. La ristrutturazione passa anche attraverso la cessazione di attività che non dispongono di risorse per stare in piedi o che non si sono aggiornate.
Tra le ristrutturazioni volute dalle imprese oggi occupa la prima pagina quella di Pomigliano d'Arco. È un caso complesso che apre molte questioni. Vediamo di cosa si parla.
Pomigliano d'Arco, come Arese, sono stabilimenti che la Fiat ha acquisito comprando la fallimentare Alfa Romeo. In questi stabilimenti era presente un sindacato “forte” che era abituato, sotto la gestione pubblica, a fare il bello e il cattivo tempo, senza tenere minimamente conto che, se il lavoro è un diritto, il lavorare è un obbligo e si deve lavorare al meglio. Arese ha chiuso da tempo nella realtà produttuva, perché insostenibile da un punto di vista industriale.
Oggi la Fiat sta procedendo ad una ristrutturazione completa della sua attività in Italia. Termini Imerese in Sicilia chiude definitivamente, mentre a Pomigliano d'Arco, lo stabilimento famoso per l'assenteismo e l'elevata sindacalizzazione, viene proposto un grosso investimento ed un rilancio. “Ma se l'è mat?” direbbe Jannacci a Marchionne. No non è matto, usa una situazione estrema per raggiungere uno scopo. Sa che i dipendenti di quello stabilimento non possono dire di no al piano alla proposta Fiat: nessuno oggi può correre il rischio di restare senza lavoro. Quale è la moneta di scambio che mette sul piatto la Fiat? L'investimento si può fare se si riduce l'assenteismo ai livelli fisiologici. Basta con gli scioperi quando ci sono le partite di calcio, basta con troppi rappresentanti di lista per le elezioni; cioè pone sul piatto il rilancio di un grande stabilimento in un'area che ha difficoltà di occupazione in cambio di un modifica del comportamento del sindacato e dei dipendenti.
Tutti i sindacati firmano, meno la FIOM, ma l'accordo sarà sottoposto a referendum e nessuno dirà “voglio perdere il lavoro”, quindi passerà con un gran margine di “si”. La FIOM protesta, urla allo scandalo, all'incostituzionalità, ma anche questa è “ristrutturazione”: questo potente sindacato paga l'abuso fatto del diritto di sciopero.
Anche i sindacati devono “ristrutturarsi” e ristrutturarsi non vuol dire necessariamente essere accondiscendenti, ma capire i grandi errori fatti negli ultimi trent'anni, uscire dai tanti servizi a pagamento, pagati dallo Stato, con i nostri soldi, come i CAF, per prestazioni quasi in regime di monopolio, che si possono evitare, come le varie cooperative di lavoro temporaneo che al Sud è svolto privatamente si chiama “caporalato” e che non portano certo vantaggio ai lavoratori, ma sono un modo legale per sfruttarli.
Tutto deve cambiare, si devono superare i diritti non controbilanciati adeguatamente da doveri, se non desideriamo regredire verso un paese del terzo mondo: un piede già ce l'abbiamo in questo limbo.
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