Correre è l'imperativo d’oggi. Sembra che nessuno pensi di poter vivere e fare le cose se non di corsa. Mi ricordo un fatto che mi è capitato tanti anni fa che mi ha cambiato la vita; forse qualcuno lo ha già sentito; eccolo.
Tanti anni fa, facevo il pendolare tra Bergamo e Milano, sempre di corsa per non perdere un minuto, i treni erano sempre in ritardo. Allora, appena il treno entrava in Stazione Centrale, di corsa nel corridoio per arrivare allo sportello tra i primi, e poi giù, sempre di corsa, dalla carrozza, prima che il treno fermasse, e via correndo lungo il marciapiede, le scale, verso la metropolitana, per non perdere un secondo.
Un giorno mentre stavo correndo, mi sono detto: "Scemo, ma chi se ne frega se arrivo dopo! Tanto non sono pagato ad ore". Improvvisamente mi sono bloccato, ho smesso di correre; ho lasciato fluire gli altri; le scale le ho fatte con tranquillità guardandomi intorno e cercando di leggere nel volto degli altri le cose. Beh non ci crederete sono arrivato sul lavoro solo tre minuti dopo, ma ho iniziato la giornata con il sorriso.
Da quel momento ho dato i giusti spazi a quanto dovevo fare e ho smesso di correre per ogni cosa. Qualche volta capita di dover “correre”, ma deve essere l'eccezione.
Ora, leggendo “Avarizia” di Stefano Zamagni, un libro di cui trovate la recensione nel numero di aprile 2010 di Spaziodi Magazine, mi è balzata nella mente una possibile spiegazione di questa corsa infinita, spesso inutile: corriamo perché siamo avari.
Quando pensiamo all'avaro crede che a tutti venga in mente Paperon De' Paperoni, ma la sua è solo una delle forme di avarizia.
Avarizia vuol dire accumulare oltre il necessario di qualunque cosa, non solo denaro. Un avaro può accumulare di tutto, perfino onorificenze.
Ecco che chi è sempre impegnato “fin sopra i capelli” e non ha mai tempo libero è perché vuole accumulare “cose realizzate” oltre il dovuto, oltre al limite del possibile e a volte anche oltre il possibile: quindi è avaro.
Vogliamo la riprova?
Zamagni scrive: “L’avaro di oggi è posseduto dalle cose, accumula e conserva ma non usa, possiede ma non condivide. La sua infelicità è un fallimento della volontà o della ragione...Però questo dipende da cosa s’intende per felicità: se si accoglie la definizione aristotelica che concepisce la felicità come fioritura umana: la ben nota eudaimonia... 1'eudaimonia comprende le emozioni piacevoli, quelle che danno piacere, ma non solo. Occorre infatti aggiungervi sia le attività dotate di valore intrinseco, cioè le opere, sia le attività relazionali da cui scaturiscono i beni relazionali.
La felicità - insegnava Aristotele - non può ridursi a un istante, non può dipendere da un evento, ma deve durare nel tempo. Ecco perché la felicità presuppone la virtù intesa come opera che rende possibile la vita buona e che la rende felice.”
L'avaro quindi è infelice e chi corre sempre molto spesso è infelice, cioè è avaro del suo tempo.
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