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 Anno VI n° 9 SETTEMBRE 2010    -   TERZA PAGINA


Ricordo
Nonno Ezio

Di Adriana Libretti


Era nato a Livorno alla fine dell'ottocento, nonno Ezio. Mi piaceva chiamarlo nonno poeta, perché componeva versi in rima. Era anche stato motociclista, uno dei primi in Italia, tanto che compare tra i fondatori dell'Auto Moto Club di Pisa nel lontano 1922, in qualità di socio corridore. Al suo primo nome di battesimo se ne accompagnavano un secondo e un terzo alquanto improbabili, e un quarto addirittura: come in una sorta di leggenda, in famiglia si tramanda che si chiamasse (la fantasia di una volta è strepitosa) “Glisante”.

Occhi verdi, un poco appannati dall’avanzare dell’età, quasi maculati; capelli canuti, ondulati e folti, sempre ben pettinati, odorava di acqua di colonia, nonno Ezio, e teneva molto al suo aspetto: da giovane era stato un uomo assai piacente. Rimasto vedovo con due figli maschi ancora bambini (la nonna morì di tisi nel fiore degli anni), si era risposato nel giro di poco con una toscana colta, intraprendente, coraggiosa ed autonoma, un’intellettuale dal piglio autoritario, una pedagogista d’avanguardia sfasata rispetto ai tempi, che i due ragazzini accettarono solo tardivamente, dopo un lungo, dolorosissimo distacco. Dicevano che lei trattava male il loro genitore, approfittando della debolezza del carattere di lui; di sicuro tra i due ci fu qualche violento litigio, anche se con me questa nonna acquisita fu sempre dolce e affabile, e appena poté mi portò in viaggio con sé per il mondo. Insieme a lei partii, ad esempio, per il Libano nel 1975 ed ebbi il privilegio di visitare Beirut poco prima che la città venisse devastata dalla guerra, in occasione del Convegno mondiale dei propugnatori dei Metodi dell’Educazione Attiva, metodo che grazie a lei fu introdotto in alcune scuole milanesi. Della “nonna vera” (da cui ho ereditato il nome) conservo solo una fotografia color seppia: i suoi lineamenti mi sono divenuti familiari così.

Mi capitò una volta di svegliare il nonno dal sonnellino pomeridiano azionando il mio piccolo carillon, e lui si commosse al suono di quella melodia: si commuoveva spesso, come sempre capita agli anziani. "Sei la mì bimba!" – mi ripeté anche in quell’occasione con gli occhi lustri- e come al solito a quella frase io mi gongolai soddisfatta, forse persino un po’ tronfia, in una parola: felice.

Desidero ricordarlo qui, nel numero di Magazine di settembre, mese in cui nonno Ezio era nato, con una poesia che egli scrisse appena dopo il suo ottantesimo Natale e che bene mi sembra rappresentare un’epoca, una cultura ormai da noi lontana anni luce.


UNA VITA
(I miei vent’anni a Livorno)
di Ezio Libretti


Quel giovanotto che conobbi un dì
pensatelo vestito in bordatino
mantello arabescato o giù di lì
in capo uno splendente Borsalino.

Benestante parea quel giovincello
con guanti gialli e aspetto scanzonato
invece, tasche vuote nel mantello
tanta miseria nell'arabescato.


A vederlo così, niente cervello
in quel bel tipo assai superficiale
ma una ricchezza avea oltre il mantello
fede nutria nel Bene Universale.

Questa ricchezza fu la sua bandiera lavorando con zelo e con amore,
la sua fede premiata fu ogni sera
ché ogni giorno il lavoro avea sapore.

Visse con fede la sua vita vera in anni di dolore e faticosi;
fu capace perfin di far carriera
malgrado eventi e conoscenti esosi.

Or che al lavoro ha dato un lieto addio ricorda i giorni della primavera
-giorni fioriti ancora dall'oblio-
mentre si china al vento della sera.



(La foto non ritrae Nonno Ezio, ma Tazio Nuvolari, che era il suo mito)



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