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Politica estera

Barack Obama: è l’ora della pace in Medio Oriente?

Pace a Gerusalemme un sogno che Obama cerca nuovamente di realizzare

Di Giacomo Nigro

Per Barack Obama pare giunta l'ora di guadagnarsi ex post il premio nobel per la pace; infatti egli ha compiuto un primo passo incontrando alla Casa Bianca il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente della Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Abu Mazen: Israeliani e Palestinesi si incontreranno ogni due settimane. La prossima tornata è prevista per il 14 e 15 settembre e si dovrebbe tenere in Medio Oriente e ci parteciperanno anche il segretario di stato Usa, Hillary Clinton e l'inviato speciale per il Medio Oriente, George Mitchell: colloqui di pace si, ma sotto tutela naturalmente.

Sembrerebbe quindi tutto a posto e ben avviato per questa iniziativa dell'Amministrazione USA verso una ripresa delle trattative di pace più desiderate dal mondo Occidentale, ma molto meno dai paladini dell'Islam allineati con l'Iran di Ahmadinejad: "Colpiremo in ogni luogo" questa è la reazione all'indomani dell'avvio dei colloqui di pace a Washington di 13 gruppi di estremisti palestinesi che continuano a minacciare Israele. Sono quindi straordinarie le difficoltà a cui andranno incontro i negoziatori israeliani e palestinesi: ben 13 diversi gruppi estremistici, una galassia di interessi contradditori e testardi sulle proprie posizioni, mentre gli israeliani continuano a sventolare coloni.

Le principali organizzazioni dei due tronconi palestinesi continuano a contrapporsi; durante una conferenza stampa a Gaza il portavoce delle Brigate Ezzedin al Qassam, braccio armato di Hamas, ha proclamato che "il nemico sionista sarà colpito in qualsiasi momento"; il portavoce degli estremisti non ha escluso il lancio di razzi contro Tel Aviv, aggiungendo che l'ANP deve "cessare gli arresti di simpatizzanti di Hamas in Cisgiordania".

Si tratta purtroppo di una storia già vista di accordi rimasti sulla carta e di speranze deluse una serie di fallimenti alla quale il Presidente Obama vorrebbe porre fine con un piano di pace il cui obiettivo è ambizioso: un accordo definitivo sui due Stati entro un tempo definito e una normalizzazione dei rapporti fra Israele e l'insieme dei Paesi arabi. Egli ha dichiarato: "Possiamo arrivare alla pace in Medio Oriente in un anno. Israeliani e palestinesi non devono lasciarsi sfuggire questa opportunità".

Obama ha incontrato anche il Re di Giordania Abdullah II e il presidente egiziano Hosni Mubarak, convinto di fare progressi nel suo intento di pace, "bisogna difendere la pace dai suoi nemici occorre ricordare che sui negoziati è sospesa la Spada di Damocle degli insediamenti israeliani nei territori occupati, la moratoria annunciata dieci mesi fa da Tel Aviv scadrà infatti il 26 settembre. I palestinesi hanno ribadito che una ripresa degli insediamenti israeliani nei territori occupati metterà fine al processo di pace.

Intanto poco dopo l'inizio dei negoziati il ministro della difesa (e leader del partito laburista) Ehud Barak ha affrontato in maniera indipendente una delle questioni più spinose: il futuro assetto di Gerusalemme est, nel contesto di un accordo definitivo di pace fra Israele e i palestinesi. Secondo Barak Gerusalemme ovest deve restare ebraica, mentre Gerusalemme est dovrà essere divisa su base demografica: 12 rioni ebraici, dove oggi abitano 200 mila israeliani, dovranno essere inclusi in Israele, in via definitiva, mentre i rioni arabi di Gerusalemme est (dove abitano 250 mila persone) passerebbero allo Stato palestinese. Per la Città Vecchia, dove si trovano anche i luoghi santi cristiani e islamici, dovrebbe essere messo a punto un "regime particolare, con accorgimenti concordatiPer il premier Benyamin Netanyahu invece: "Gerusalemme resterà la capitale indivisibile di Israele". In realtà, a quanto risulta, Israele ha già intavolato con l'Autorità Nazionale Palestinese trattative dettagliate sulla spartizione della Città santa. Dunque, al tavolo dei negoziati, il tabù della spartizione di Gerusalemme pare saltato anche se non viene ammesso ufficialmente.

Secondo il presidente egiziano Hosni Mubarak "in molti sostengono che questo nuovo round sia destinato a fallire come i precedenti, il più grande ostacolo al successo è psicologico”. Anni di violenza e l'espansione degli insediamenti israeliani hanno portato a una crisi di fiducia da entrambe le parti. Perché i colloqui abbiano successo, occorre ristabilire la fiducia e il senso di sicurezza. A questo scopo bisogna risolvere la questione di Gaza e l'Egitto è pronto a mediare per uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas per la fine del blocco israeliano imposto al territorio e la riconciliazione tra Hamas e Fatah.

Di tutt'altro segno la posizione del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che osserva a distanza l'andamento dei colloqui: "Decine di negoziati sono stati organizzati in questi ultimi trent'anni e decine di piani di pace sono stati proposti, ma tutti hanno fallito. Se non vengono esaminati i principali problemi della Palestina, il fatto che due persone si riuniscano allo stesso tavolo e parlino non cambierà niente. I negoziati, e anche la ratifica di trattati di riconciliazione, non possono rendere legittimo il regime sionista, né risolvere la questione palestinese".

L'auspicio che la ripresa dei contatti diretti tra israeliani e palestinesi "aiuti a raggiungere un accordo rispettoso delle legittime aspirazioni dei due popoli" è stato espresso durante l'incontro tra papa Benedetto XVI e il presidente israeliano Shimon Peres. Lo si afferma in un ovvio comunicato diffuso dalla sala stampa vaticana.

Non resta che aspettare gli incontri di metà settembre per verificare se effettivamente si tratta della volta buona; nel frattempo si spera che gli estremisti di entrambe le parti non compromettano questo sogno di Barack Obama e nostro.


Vedere anche:
Che succede a Gerusalemme?  Marzo 2010 di Giacomo Nigro
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