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Le incisioni di Roberto Stelluti

Per Roberto Stelluti Visioni di natura e città - Monforte d’Alba, Fondazione Bottari Lattes, 25 settembre – 14 novembre 2010

Di Federico Zeri

 
Studio per autoritratto; 2006; disegno a matita; cm 35 x 25
Non intendo discutere né giudicare (anche perché non ne sarei in grado) le incisioni di Roberto Stelluti sotto 1′aspetto tecnico: tuttavia, mi spinge a parlane la fortissima attrazione che esse (sebbene per via di una lettura da dilettante in questo campo delta grafica) hanno esercitato sul mio occhio, sin da quando certe fotografie, di tutt’altro genere (riguardavano gli affreschi del Trecento nelle Chiese di Fabriano) mi posero in contatto con il loro autore.

Sono passati da allora molti anni, e spesso mi sono chiesto a cosa fosse dovuto il fascino di queste immagini fissate sulla lastra metallica e poi trasposte a stampa: la risposta non è facile a dire, ma sono ugualmente tentato di spiegarla.
Ci sono due modi di percepire e descrivere il mondo che ci circonda; per alcuni di noi la realtà oggettiva costituisce qualcosa di estraneo, di staccato dalla nostra persona, o meglio, dalla nostra mente, la cui spiritualità ospitata in un corpo caduco non ha nulla a che vedere con la materia inerte e inanimata dei regni inferiori, animato, vegetate e minerale.
Per altri (sono un’esigua minoranza) la mente dell’uomo è soltanto la forma più alta e più complessa di un’intelligenza che, allo stato latente, anima tutta la materia, e che per gradi, secondo un processo associativo ed evolutivo sempre più complesso, ricco, articolato, perviene infine a riconoscere se stessa, ad un livello cioè di autocoscienza. Per chi la pensa in questo secondo modo, tutto è legato a tutto; noi stessi non siamo che una parte di quell’immenso, infinito essere, di cosmica ampiezza, che soltanto noi siamo in grado, per la nostra intelligenza autocosciente, di percepire nella sua infinita dimensione spazio-temporale.

Io sono tra coloro the credono in questa seconda alternativa, e penso anche che qualcosa di essa si rifletta (forse senza che il fautore se ne renda nemmeno conto) nelle incisioni di Roberto Stelluti. Lo suggerisce la rosa dei soggetti di questi fogli (che a me, dilettante, paiono sorretti da un non comune dominio del mezzo tecnico, ai limiti del virtuosismo), il brulicante, disordinato fermento delle discariche si alterna al sussurro frusciante, misterioso e oscuro, dei sottoboschi.

In altre immagini è la natura vegetate che, agonizzante, attende la propria fine per l’avanzare implacabile di una tecnologia forse orrida nelle apparenze, ma che riflette una più alta forma di intelligenza e di razionalità.

Altro tema di queste incisioni: gli stabilimenti industriali abbandonati (la cosiddetta archeologia industriale) che, si direbbe, hanno il significato della chiusura di un periodo, di una fase evolutiva, in attesa di venire assorbite e trasformate in una forma più alta di quella incessante vita dalla quale nulla sfugge.
Nulla può sottrarsi, per quella universale legge di perenne mutamento che conduce la materia ad interrogarsi su se stessa.

Anche le strutture lignee del bellissimo Omaggio a Piranesi, nel loro infinito, innumerevole innesto prospettico sono, è vero, i cadaveri di alberi tagliati, ma esse si ricompongono in una trama di assoluta razionalità che li innalza ad un livello dal quale, a sua volta, prenderà avvio un’ulteriore fase dell’incessante, infinita vicenda. Sotto questo aspetto, molto significativi sono dall’Omaggio: sono l’”Opificio abbandonato” e il 2Convento di Castel d’Emilio”.
In ambedue, la vitalità della natura riprende possesso degli spazi delimitati dagli agonizzanti, fatiscenti scheletri della fabbrica e della chiesa barocca; una vita, nuova e antica allo stesso tempo, si espande intrecciandosi ai prodotti della mente dell’uomo, si alterna ad essa come due facce di una medesima, misteriosa realtà.

E’ raro che in queste immagini si presenti la figura umana; essa è piuttosto implicita nei sedimenti, nelle stratificazioni lasciate, come un taglio geologico in quelle splendide testimonianze del tempo passato che sono “L’armadio realista” (1978), “Omaggio a Giorgio Moranti” e “Oggetti nello studio”, ambedue del 1980.
“Sfasciacarrozze e barattoli vuoti”, “farfalle notturne e rose canine”, “girasoli e gamberi”, vivi o morti the siano, appaiono legati da un unico, incessante filo, che è quello dell’universale spiritualità che anima la materia, che ne costituisce anzi l’essenza vitale, non immessa ma innata, e che solo noi uomini siamo in grado di percepire e di comprendere.

Lascio ad altri il commento tecnico e formale dell’opera di Roberto Stelluti, che per me costituisce un’esperienza di rara profondità, di sottile, poetica suggestione.


Dal catalogo della Personale alla Galleria d’Arte Pananti di Firenze, Edizioni Pananti, Firenze 1988

Per
Roberto Stelluti Visioni di natura e città - Monforte d’Alba, Fondazione Bottari Lattes, 25 settembre – 14 novembre 2010

Argomenti:   #alba ,        #art déco ,        #arte moderna ,        #grafica ,        #mostra ,        #stelluti



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