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Settembre andiamo è ora di studiare

Riapre la scuola ma i problemi sembrano peggiori dell’anno scorso

Di Silvano Filippini

Che la riforma Tremonti-Gelmini fosse a svantaggio di molti, l’avevano capito tutti. Ma che i numerosi tagli attuati negli ultimi due anni portassero già alla formazione di classi con 35 alunni e all’abolizione di tutte quelle specializzazioni che non raggiungevano il numero minimo di iscritti, non ce l’aspettavamo. Le specializzazioni di tessitura e tintoria, ad esempio, sono scomparse in tutta Italia.

Del resto non si poteva pretendere di meglio da una nazione che investe nella scuola pubblica meno di tutti i paesi europei (solo la Slovacchia spende meno del nostro 4,5% del Pil). Certo, con gli attuali disastrosi conti pubblici, non pretendiamo che si raggiungano i livelli eccelsi dell’Islanda (7,5%), anche se il governo si è affrettato a chiarire che la percentuale non comprende gli aiuti alle famiglie e i sussidi per gli studenti che ci porterebbero al 9% del Pil, comunque sempre inferiore alla media OCSE (13,3%) che comprende tali sussidi.

Ma quello che più indigna maggiormente è il fatto che, nonostante gli esigui investimenti, più dell’80% della spesa viene assorbito dagli stipendi al personale contro il 70% della media europea. A dire il vero la Gelmini parla addirittura del 97%, pari a 43 miliardi di euro. Chi avrà ragione?
Evidentemente qualcosa non funziona nel sistema che, tra l’altro, non consente di far fronte alle spese correnti delle scuole (compresi i supplenti) e agli enormi investimenti che sarebbero indispensabili per ristrutturare istituti fatiscenti e per mettere a norma quelli meno disastrati. Fatto sta che la nostra spesa media annua pro capite relativa agli studenti di scuola primaria e secondaria non arriva a 8.000 dollari contro gli 8.300 della media Ocse. Se poi si analizzano i conti dell’università, il piatto piange ulteriormente, facendoci precipitare in classifica: 8.600 contro i 13.000. E dopo il recente taglio di un miliardo e seicento milioni sarà ancora peggio.

Il risultato di questi investimenti risicati porta ad una conseguenza fin troppo ovvia: nei test risultiamo piuttosto “asini”, nonostante i nostri alunni restino a scuola per un numero di ore decisamente superiore alla media europea.
Oltre tutto non si sa ancora con quale clima inizierà l’anno scolastico, dato che le diffuse lamentele hanno generato malcontento e lo sciopero della fame dei numerosissimi precari rimasti senza posto, nonostante i cospicui pensionamenti registrati negli ultimi due anni.
Il ministro Gelmini ora dice di voler assorbire i 220.000 precari entro sette anni. Ammesso e non concesso che ciò sia possibile (i sindacati parlano di 12 anni affinché ciò si verifichi), come è possibile che un individuo avanti negli anni debba attendere tutto questo tempo limitandosi a qualche supplenza temporanea?

Solo su un punto il ministero ha ragione: gli attuali 220.000 precari sono il frutto di decenni di politica in cui si sono distribuiti posti di lavoro che la scuola non era in grado di assorbire. A cominciare dai tempi della Democrazia Cristiana per finire con la sinistra al governo. Infatti, per aumentare il serbatoio clientelare, inventarono il modulo dei tre maestri nella scuola primaria e le numerosissime sperimentazioni nella scuola secondaria.

Ma veniamo alle note positive della “riforma”.

Dal 1999, data dell’ultimo concorso per il passaggio in ruolo, finalmente è stato deciso un nuovo concorso in base ai pochi posti ancora disponibili (3.000). I precari senza cattedra avranno un percorso privilegiato per ottenere le supplenze annuali e temporanee e si sfrutteranno alcuni fondi europei per assumere, a vario titolo, un certo numero di precari.

Sono state ridotte le eccessive frammentazioni degli indirizzi dei licei che rendevano difficile la scelta e non consentivano sbocchi sul mercato del lavoro: da 396 a 6. Anche gli istituti tecnici sono stati riformati riducendoli a due settori (Economico e tecnologico) con 11 indirizzi, mentre i Professionali si occuperanno di industria e artigianato o di servizi. Pare che aumentino le classi a tempo pieno nella scuola primaria, anche se non sempre le richieste dei genitori sono favorevoli a tale scelta.

Continua la linea di rigore iniziata due anni fa. Infatti da quest’anno non si potranno superare i 50 giorni di assenza complessivi, pena la bocciatura.

Si è decisa una generale riduzione di orario e il ripristino delle ore di 60 minuti, dato che nell’istruzione secondaria si era instaurata la consuetudine di ore di 50’.

Vengono potenziati gli insegnamenti di Matematica e Fisica (il vero scoglio degli studenti, confermato anche quest’anno dal numero elevato di “rimandati” a settembre) e Scienze per irrobustire la componente scientifica dell’insegnamento.

Pure le lingue straniere vengono aumentate: obbligatoria almeno una lingua per tutti e cinque gli anni, mentre nel quinto anno una delle materie verrà insegnata in inglese. A questo punto una domanda sorge spontanea: dove si troveranno insegnanti specifici in grado di farlo?

Nascono tre nuovi licei: il coreutico, il musicale e quello delle scienze umane.

Si introduce l’anagrafe degli studenti che contiene informazioni sul percorso formativo dell’allievo a partire dalla scuola primaria. Consente pure di monitorare l’evasione dell’obbligo scolastico, le irregolarità nella frequenza, gli orari scolastici e quelli relativi al ricevimento degli insegnanti, i voti e i giudizi.

A parte il fatto che non saranno molti gli istituti in grado di metterla in atto a causa della riduzione del personale amministrativo o per mancanza di qualificati sul piano informatico o, peggio, per assenza di tecnologia adeguata. Tuttavia già da ora gli studenti sono in agitazione per opporsi a questa forma di controllo. Esattamente come gli ultras dello stadio che si oppongono ad ogni forma di limitazione. L’istinto che porta gli adolescenti ad evitare ogni controllo da parte dei genitori è sempre più diffuso. Ma da sradicare!

Argomenti:   #attualità ,        #gelmini ,        #opinione ,        #riforma ,        #scuola



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