C’era una volta un pescatore molto povero che aveva un campo di fave lungo il fiume, vicino al mare.
La pesca non andava bene, i pesci sembravano spariti completamente e da giorni pativa la fame.
Inoltre, quando arrivò il momento di raccogliere le fave dal campo, si accorse che sparivano, dalla notte al giorno. Così una notte rimase nascosto per scoprire che cosa succedeva, e si sorprese nel vedere una ragazza molto bella, con i capelli lunghi neri e ondulati, che rubava le fave. Si avvicinò lentamente per vederla meglio, ma la bella ragazza era già scomparsa nel buio.
Il giorno seguente, lungo il mare, il pescatore era in preda allo sconforto: non sapeva più dove gettare la rete da pesca. Nell’uscire con la sua piccola barca vide solo un mare tranquillo, una immensità di color cenere e senza ombre, dove non si riusciva a pescare nessun pesce.
Ma dal mezzo del mare immenso si alzò una voce soave che cantava d’amore. L’uomo restò incantato: “
Sarà il canto di una sirena?”.
Remò tutto il giorno da un posto all’altro, cercando il canto della sirena nel mare, sulle pietre della spiaggia e alla foce del fiume. Ma non trovò nulla. All’improvviso apparvero nuovamente i pesci, e in poco tempo divennero tanti, colorati: così tanti che saltavano dentro la barca. Che pescata! Quanta abbondanza!
Passati alcuni giorni nei quali si susseguivano canti e pesche abbondanti, in una notte di luna piena il pescatore vide su una pietra, lungo la costa, quella stessa ragazza mora e bellissima che aveva visto nel campo. Era lei che cantava dolcemente e che giocava nell’acqua. Quando si tuffava si trasformava in pesce. Quando usciva dall’acqua era una donna. Un incanto ancora maggiore avvolse il cuore dell’uomo che si innamorò di lei.
Sotto l’argento della luna, si avvicinò alla pietra e la chiamò dicendo: “Sirena, donna dalla voce incantata, sposami”.
Ma lei non voleva sposarsi, non voleva vivere lontano dai suoi amati parenti, gli animali del mare: i pesci, le aragoste, le conchiglie, i ricci di mare, i polipi, le balene, le barche, i relitti, i coralli, erano questi i suoi amori, i suoi tesori.
Finché il pescatore, una notte, uscì di casa sua seguendo quel canto misterioso, e la vide nuovamente che rubava le fave nel suo campo. Si avvicinò con molta astuzia e la prese con grande velocità: “Adesso tu vieni con me! Sei già nel mio campo: adesso verrai in casa mia e mi sposerai!”.
“Lasciami andare! Lasciami andare! Non ruberò più le tue fave!” supplicò la sirena trasformata in una bella ragazza.
L’uomo però non la lasciava, non era disposto a perderla un’altra volta. Dopo averlo supplicato a lungo perché la lasciasse libera, vinta dall’insistenza del pescatore e dalla stanchezza, la ragazza disse: “Va bene mi sposo con te. Ma attento, io sono del popolo dell’acqua: non ti capiti mai di parlare male della mia gente che vive nel mare”.
L’uomo fu d’accordo. Nella sua nuova vita con lei, tutto cambiò.
La casetta povera di paglia si trasformò in una villetta con terrazze e amache per dormire, giardini e orti. Tutto quello che possedeva aumentò come per miracolo: piantagioni, pascoli, allevamenti di animali. Trovò oro nel fiume e perle nel mare. Di tutto ciò che crebbe, piantò e vendette, fece molti soldi e alla fine divenne ricco.
E la presenza della ragazza dava bellezza e delizia a tutto questo. Ma lei non era felice. Passava le ore con i cuore colmo di nostalgia per la sua gente, davanti alla finestra con gli occhi persi nel mare.
Se qualcuno parlava, lei nemmeno rispondeva. Si sentiva estranea al mondo attorno a lei, e cantava i suoi canti di acque e nostalgie, nella più grande malinconia.
All’inizio il pescatore provò compassione per lei, ma qualsiasi cosa facesse non riusciva a cacciare la nostalgia da quella donna. Le portò regali, tessuti nuovi, collane, specchi. Ma non riusciva ad risolvere niente. Lei passava i giorni dormendo. E di notte, ah, di notte, cantava senza fermarsi, cantilene colme di nostalgia, da far intristire il cuore a chiunque la ascoltasse.
Un giorno, intontito di quei canti tristi, l’uomo perse la pazienza: “Non ce la faccio più! Non sopporto questa gente di mare così lamentosa!”.
In quello stesso istante, la bella ragazza che aveva vissuto aspettando quel momento, uscì dalla porta di casa cantando a squarciagola che lei era la Madre d’Acqua, correva che sembrava impazzita dalla gioia di essere libera e di poter tornare nel suo mare. Uscì senza nemmeno voltarsi, e dietro a lei uscirono i buoi, i cavalli, le pecore, le oche, le galline, i maiali, i tacchini, le colombe, i pappagalli, gli uccellini, i cani, il gatto, e tutto ciò che aveva allevato. Il povero uomo con le mani tra i capelli gridava: “Non andar via moglie mia. La tua casa è questa!”.
Ma lei continuava ad allontanarsi cantando.
“Ti avevo avvisato. Ritorno nel mio mare” e dopo gli animali uscirono dalla casa i mobili, i piatti, i bauli con i vestiti, l’argenteria, le posate, i tessuti e i pizzi, e poi i roseti e gli aranci, le piante di mango, le palme e gli alberi da frutta e da fiore, tutto se ne andò e addirittura la casa tutta, il pollaio, i recinti e i porcili, se ne andò la veranda e le amache, e di là venne l’uomo che incespicava vestito con i poveri pantaloni di una volta: “Non andare via moglie mia, non andare”.
E dove il fiume si gettava nel mare, la bella ragazza con tutti gli animali e le cose che l’accompagnavano si tuffarono nell’acqua e sparirono, rotolando nel fondo del mare.
Rimase solo il silenzio nella notte scura. Niente più.
L’uomo tornò al suo campo e visse povero come un tempo e la Madre d’Acqua non si fece vedere mai più.