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 Anno VI n° 10 OTTOBRE 2010    -   TERZA PAGINA



Un amore precario

Di Annamaria Francese


Un ottobre così bello invita ad uscire. E Luciana non si fa pregare per farlo. Scarpe comode pantaloni casual e una piccola tracolla che le lascia le mani libere. Il sole accarezza i larghi prati ed è caldo come alla fine di agosto. Meglio goderselo tutto prima che il freddo avanzi. Ha sentito le previsioni del tempo e non promettono niente di buono per i prossimi giorni.

La scuola è iniziata da un pezzo, ma oggi è chiusa per una disinfestazione. Lei è felice di questa insperata vacanza perché quest’anno fatica ad ingranare. Le classi che le hanno assegnato non sono delle migliori, a giudicare a prima vista. D’altra parte lei è l’ultima arrivata e si sa bene come vanno queste cose.
Il paese però le piace. Molto verde e strade larghe con vecchie case tenute bene. E’ un piacere camminare. Non ci sono negozi particolarmente eleganti, ma il centro commerciale più vicino non è distante da casa sua ed è enorme, ci si perde. La vita ormai per lei è questa, un paese e una scuola sempre diversi, centri commerciali che si susseguono, anche i ricordi cominciano a diventare confusi dopo sette anni.

Piero continua a fare il pendolare tra Roma e i posti dove lei vive e si vedono una volta ogni 20 giorni, con grande disagio per la loro relazione e per le loro non floride finanze. Avevano pensato di sposarsi perché sembrava che quest’anno lei avrebbe avuto una nomina più vicina, ma era stata un’illusione. Quattro ore di treno e mezz’ora di autobus non sono l’ideale per fare il pendolare giornaliero e così…Ancora un anno faticoso.

Luciana attraversa un piccolo campo giochi e si sofferma a guardare i bambini che sgambettano nei viali o dormono nei passeggini. Molte nonne in giro, qualche tata e poche mamme. Tutte al lavoro? E che lavoro? Precarie anche loro o oberate di fatica per quattro soldi? Luciana si pone spesso queste domande e man mano che gli anni passano (lei ne ha ormai trentasei) teme che la sua naturale aspirazione a diventare madre possa allontanarsi in maniera definitiva. Quando sua madre viene a trovarla ed escono insieme, i colleghi che le incontrano le scambiano per sorelle. E certo, sua madre l’ha avuta a vent’anni ed è ancora una bella donna. Anche lei ha insegnato, ma allora erano altri tempi. Dopo un paio di anni in giro in provincia, subito la cattedra definitiva quasi a casa ed ora è in pensione da un anno. Si è offerta di seguirla nel suo vagabondare, di darle una mano se volesse avere un figlio (probabilmente la sua voglia di diventare nonna), ma onestamente una maternità del genere Luciana non si sente di affrontarla. Senza una vera casa, con un padre suo malgrado assente… Qualcuno, compresa sua madre, dice che se si aspetta che le cose si sistemino al meglio, si resta fermi, che è meglio rischiare. Il dubbio spesso la prende e i suoi occhi diventano pieni di ombre. Un campanile da qualche parte suona le undici. E’ ancora presto, l’aria è gradevole e lei non ha niente di pressante da fare. Si ferma presso il chiosco del piccolo parco e ordina un cappuccino. Seduta al tavolino sorseggia piano e si guarda intorno. Osserva quelli che corrono o camminano sulla pista ciclabile. In tuta o in pantaloncini, fa veramente caldo. Le donne hanno tutte gli auricolari altrimenti parlano ai telefonini. Come se il silenzio non fosse gradito. Luciana ha spesso la sensazione che la gente preferisca un suono qualsiasi al rumore dei propri pensieri. Tira un sospiro di sollievo e fa per alzarsi. In quel momento qualcuno urta la sua sedia e un giornale scivola ai suoi piedi. Lei si china a raccoglierlo e si volta per vedere a chi appartiene, ma anche l’uomo si è chinato contemporaneamente così le loro teste si urtano non proprio leggermente. Luciana si porta una mano alla fronte, l’uomo si profonde in scuse, poi si riconoscono. Lui è l’insegnante di fisica e lei lo ha notato perché è scuro in viso, ma ha occhi azzurrissimi. Sa che tutte le sue colleghe single lo tengono d’occhio e capisce bene il perché. Quel tipo è veramente bellissimo. Sorridono e prendono a camminare affiancati. Parlano un po’ della scuola e dei programmi futuri. Anche per lui è il primo anno lì (d’altra parte in quella scuola circa la metà viene da fuori ). Massimo Di Martino, così si chiama il collega, viene dal profondo sud, dalla Basilicata per l’esattezza, e parla sempre di Maratea e della sua bellissima costa. Tutti e due commentano il clima della scuola, quello specifico e quello nazionale e si confidano un certo sconforto. Lui sta pensando di mollare e tornare a casa alla azienda vinicola del cugino. Dopo tutto oggi il vino è più che mai cultura, quando non addirittura arte. Ed è certo un lavoro meno frustrante e più redditizio dell’insegnamento odierno. Lei è d’accordo. Gli confida che è da un pezzo che ha perso l’entusiasmo e che se avesse un’alternativa immediata, mollerebbe anche lei. E gli parla del suo lungo fidanzamento e del suo desiderio di maternità. Il tempo passa e loro due camminano. “C’è qualcuno che ti aspetta per pranzo?” chiede lui. Al suo diniego propone di prendere la macchina e andarsene al mare che non è troppo distante. Mangeranno qualcosa là. L’idea l’attira. Il mare…ne ha visto così poco quest’anno. E poi, il mare di qua lo conosce poco, non sarà come quello di Maratea o come quello delle sue parti, ma il mare d’inverno è bello dappertutto… Sabato pomeriggio. Sono passati solo due giorni dalla gita al mare di Luciana e Massimo, ma il tempo è improvvisamente cambiato. Nuvole nere si accavallano in cielo sospinte da un vento impetuoso che fa ondeggiare gli alberi e rotolare le foglie cadute. Un cancello cigola e sbatte ogni tanto e anche la persiana di casa si agita pericolosamente. La ragazza si affaccia a fermarla bene e si ritrae in fretta stringendosi al collo il bavero della camicetta. Folate di vento fanno tintinnare i vetri e il breve residuo d’estate sembra del tutto accantonato. Voglia di un caffè… Il pomeriggio è lungo e vuoto con l’unica consolazione dell’appuntamento su Skype con Piero. Mentre sorseggia il suo caffè, la sua mente va al pomeriggio del giovedì precedente, al mare con il nuovo collega. Il posto, senza ombrelloni e con un mare limpido, sembrava bellissimo. Loro due si erano divertiti molto, scambiandosi confidenze, mangiando un panino reperito a fatica in un piccolo bar ancora aperto sul litorale e avevano anche percorso la battigia a piedi nudi come nella più tradizionale delle oleografie. Mancava solo una corsa e qualche gridolino di gioia per rappresentare una scenetta adolescenziale da commediola cinematografica. Però lei si era divertita. Per un momento aveva dimenticato la sua costante solitudine e la sua lontananza dagli affetti e si era sentita un po’ più integrata e meno straniera. Ma oggi è sabato e questo giorno si sa è più triste per chi è lontano da casa. Guarda il pacco di compiti sul piccolo scrittoio ricavato su una mensola a muro. Si ripropone di dar subito loro un’occhiata, vuole vedere se da essi le riesce di capire meglio questi suoi nuovi alunni, i loro pensieri e anche la loro preparazione.. Uno sguardo in giro nel piccolo locale seminterrato che costituisce la sua abitazione. 35 metri quadri tra stanza e angolo cottura con un bagnetto d’angolo che contiene a stento una doccia e che le costa la metà del suo non ricco stipendio. Ma tant’è, le dicono tutti che è stata fortunata a trovarlo, che i mobili sono nuovi, c’è il riscaldamento autonomo e il posto macchina nel cortile. Alcuni dei suoi colleghi pagano anche dai 70 ai 100 euro per un posto in garage…E tuttavia è sperabile che l’inverno non sia troppo rigido, che nevichi poco. Il pensiero della neve un po’ la diverte e un po’ la spaventa. Ricorda quella volta, una eccezionale nevicata nell’alto Lazio e la sua difficoltà a raggiungere la scuola della piccola frazione del paese dove l’avevano spedita allora. Meno male che qui la scuola è abbastanza vicina (anche questa una fortuna a detta di tutti) e volendo può andarci anche a piedi, svegliandosi un po’ prima al mattino ovviamente ) Non c’è che dire è proprio una ragazza fortunata, anche se, chissà perché, non riesce a rendersene conto del tutto. Skype fa sentire la sua voce e Luciana risponde accendendo la cam. Piero la saluta affettuosamente e le chiede subito notizie, della casa, della scuola. Ha il viso un po’ stanco, la fronte leggermente corrugata, ma forse è colpa del computer, le immagini non sono delle migliori. Luciana gli chiede che programmi abbia per la serata e lui risponde che andrà a casa di Vito a guardare insieme la partita. Con Andrea e Fabio. Solito sabato da tifosi, con birra e panini. La sua voce però sembra stanca, come priva di vero interesse e di entusiasmo. “Quando vieni?”-chiede lei con prudenza. Lui fa spallucce “Non so. Non potresti venire tu questa settimana?” Lei? E come? Partire il sabato pomeriggio e ritornare la notte di domenica per poi presentarsi la mattina dopo a scuola con gli occhi gonfi e la testa pesante. “Ma, non so…”prova a rispondere pensierosa “ No dai,-interrompe lui- non preoccuparti. Verrò io venerdì prossimo, come sempre. E’ solo che questa storia comincia ad essere più pesante ogni giorno che passa” “Hai ragione”-dice lei e tace. Come dargli torto? E’ ciò a cui lei sta pensando ormai da giorni e sente una nostalgia feroce dei primi tempi quando anche lo stare lontani era un preludio ad incontri meravigliosi, ad ore di completo abbandono e gioia e le loro fresche energie erano tutte impiegate a far trascorrere il più in fretta possibile i giorni che li separavano. Ora il tempo morde alle spalle. Nessun programma, nessuna stabilità, desideri frustrati e stanchezza. Anche il loro amore, benché ancora intenso, comincia a mostrare i segni… Si salutano un po’ tristi,con la prospettiva di un’altra domenica di solitudine davanti. Lei, ancora più di lui. “Buona serata, amore” e il computer sembra gracchiare distorcendo ad arte la voce. “Buona serata anche a te”. Il collegamento si chiude, il contatto finisce, la sera è scesa. E non soltanto sul paese. Il telefonino squilla. Piero avrà dimenticato di dirle qualcosa… E’ Massimo, invece. “Ti andrebbe un cinema? Tanto per far qualcosa” Giusto, tanto per far qualcosa. Risponde di si e incomincia a prepararsi. Un ultimo sguardo fuori della finestra. Il davanzale è pieno di foglie cadute.



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