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In Brasile, la gente ha solo una paura: quella di un giorno in cui non si possa più fantasticare


Di Gina de Azevedo Marques

 

  Illustrazione di Elena Odriozola
Brasile. Ecco che la sua natura fertile concepisce l’immaginario, genera le strane creature e, tanto golosa, le deglutisce trasformandole nelle fiabe. Per alcuni può sembrare crudele, ma la paura dell’oscuro esercita la seduzione intrinseca dell’inspiegabile.

La maturazione dei racconti tramandati nel tempo, nelle parole, nei canti, negli odori, nei sapori, nei disegni e colori, è rappresentata nella saggezza popolare come la semplicità di un ciclo che rimane. Fa parte della vita.

Le fiabe brasiliane rispecchiano l’ambiente circostante. Gli indigeni raccontano la foresta, fate, gnomi e fantasmi. Mentre per gli schiavi africani, la fata simboleggia la libertà tanto sognata, lo gnomo è rappresentato da un nano zoppo, ed i fantasmi della memoria parlano della rivincita del bene sul male della cruenta schiavitù.

La singolarità brasiliana è essere plurale, il paese con la massima mescolanza di razze e culture, in cui i colonizzatori sono stati colonizzati. Nella morale della favola c’è anche il sincretismo religioso, che amalgama credenze e tante volte incute il timore. Perché in Brasile la gente ha solo una paura: quella di un giorno non fantasticare più.

Andiamo nella foresta. Appare il Curupira. Un fischio assordante ferma l’aria. Si sente un repentino silenzio. Gli uccelli partono subito in volo, perché tra gli animali l’allerta è di scappare. Gli alberi ballano, si trasformano in vari colori, con forme coreografiche.

Eccolo il Curupira, nano con capelli rossi, denti e occhi verdi, con i suoi piedi rivolti all’indietro. Curupira è diversamente abile – e che abilità!! - perché le impronte dei suoi piedi all’indietro servono per confondere i cacciatori che uccidono solo per il piacere della morte altrui, senza rispettare le regole della foresta. Curupira è il guardiano. Tra le sue diverse abilità, provoca allucinazioni in tutti quelli che distruggono la natura. Nessuno finora è riuscito a catturarlo.

Incatturabile è anche un altro soggetto. Nome: Saci. Cognome: Perere. Caratteristiche fisiche: Nano, pelle nera, con una sola gamba – diversamente abile anche lui! – porta il berretto rosso e fuma la pipa. Si aggira per tutto il Brasile, specialmente dove sono arrivati gli schiavi. Lui è incaricato di nascondere gli oggetti. Secondo testimoni, il Saci Perere lo fa per scherzo. Ma per trovare gli oggetti scomparsi, si deve trattare con lui, allacciando un filo al piede di un mobile. Così il Saci si ricorderà che gli manca una gamba, ma che non è immobile, e ci aiuta a trovare le cose scomparse nella nostra memoria.

Nella memoria c’è anche l’orrore e la tortura. Nelle fattorie brasiliane c’è chi giura anche di aver visto accanto ad un formicaio un bel bambino nero montato su un grande cavallo bianco. Lui è il piccolo pastore nero (Negrinho do Pastoreio), un fanciullo schiavo che lavorava nel latifondo sorvegliando i cavalli. Un giorno il figlio malvagio del patrone fa scappare un cavallo e dice al padre che la colpa è del giovane schiavo. La punizione è la pena di morte. Il neretto viene legato ad un formicaio per essere divorato dalle formiche. Dopo tre giorni, padre e figlio tornano per certificarsi della morte dello schiavo. Per la loro sorpresa, il fanciullo cavalca il cavallo scomparso in direzione della Madonna. Lui è diventato il protettore degli animali e delle persone scomparse nelle campagne del Brasile.

Per alcuni è una credenza, ma molti affermano che esista davvero un mulo senza testa che si aggira nei paesini brasiliani intorno alla chiesa. Dicono che il mulo è stato una donna che ha avuto una relazione con un prete. Per maledizione l’hanno trasformata in un equino sterile. Al posto della testa ha una palla di fuoco. Si deve fare molta attenzione, perché questa creatura è capace di mangiare gli occhi e le dita delle sue vittime. Perciò, a chi vede il mulo senza testa si consiglia di buttarsi a terra con la pancia in giù e chiudere gli occhi.

Già il Boto Rosa propone un altro tipo di rapporto. Durante il giorno è il delfino rosa del fiume degli Amazzoni. La sera si trasforma in un bell’uomo e frequenta le feste nei paesini. È elegante, seduttore, di solito si veste di bianco e indossa un capello per nascondere il buco che i delfini portano in testa. Le ragazze si innamorano di lui che la mattina dopo scompare nell’acqua. Le fanciulle innamorate rimangono a sognare quell’uomo per il resto della loro vita. Dicono che il Boto è il padre dei bambini con paternità sconosciuta.

Di amore parla anche la Ninfea. In una tribù dell’Amazzonia, si dice che quando alla luna piace una giovane, la trasforma in stella per averla vicino. Naia, figlia del capo tribù, volendo diventare una stella, non smette di guardare la luna che però la ignora. Una sera sale su un albero per vederla ancora più da vicino, ma continua ad essere trascurata. Naia inizia a piangere e disperata si getta nelle acque del fiume. Scompare per sempre. La luna si commuove per il sacrificio della giovane e decide di trasformarla nella stella delle acque. Cosi è nata la Ninfea, la più bella pianta delle acque, il cui fiore sboccia la notte, come una vera stella che brilla.

Ecco una pennellata del Brasile, raccontato attraverso le fiabe. Una costellazione di personaggi, di storie e ritmi variopinti.
Nel paese in cui fantasticare è la radice primordiale.



*Gina de Azevedo Marques è giornalista e collabora per l’emittente brasiliana Globo News e per il quotidiano Folha de S. Paulo

Argomenti:   #brasile ,        #cultura ,        #fiaba ,        #tradizione



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