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Fiabe dal Brasile: Guaranì – Amazzonia orientale

Il flauto di Jabutì


Di Luigi Dal Cin

Molto tempo fa, Jabutì la tartaruga trovò nella foresta un tapiro morto. “Parenti miei, venite, presto! – cominciò a gridare – C’è da mangiare!”. In quel momento passò il giaguaro: “Cos’hai Jabutì da gridare così tanto?”. “Amico, vedi questo tapiro? – disse la tartaruga con tono bonario – Sto invitando i miei parenti a sfamarsi con me!”. “Tanto per cominciare – ruggì il giaguaro – tagliamone un pezzo per me e uno per te. Vai per cortesia a raccogliere un po’ di legna così possiamo cucinarlo insieme”. Ma al suo ritorno Jabutì non trovò più nessuno: “Giaguaro, dove ti sei nascosto? Ah, traditore, mi hai rubato il cibo! Ma ti ritroverò, e allora faremo i conti!”. Zampettando per la foresta si imbatté in una famiglia di scimmie che stavano mangiando dei frutti su un albero. “Amiche, mi buttate un po’ di cibo?”. “Perché non sali tu? O forse non ne sei capace?” risposero. “Ne sono capace, eccome! È solo che al momento sono un po’ stanco, e non ho voglia di arrampicarmi proprio adesso” disse Jabutì che non aveva mai scalato un albero in vita sua. “Oh, se è per questo veniamo a prenderti noi: vedrai che starai comodo quassù!”. Issarono Jabutì sull’albero e, quando se ne andarono, lo lasciarono lì che non sapeva come scendere. Dopo tre giorni che mangiava gli stessi frutti, non ne poteva proprio più. Ed ecco il giaguaro passare sotto l’albero. “Cosa ci fai lassù, Jabutì?” chiese stupito. “Pranzo, non vedi?” rispose la tartaruga fingendo di mangiare un altro frutto. “Ma come sei riuscito ad arrampicarti?”. “Sono salito lungo il tronco”. “Allora adesso scendi. Tu hai già mangiato, ma io ho una certa fame...”. La tartaruga non aveva alcuna intenzione di finire nella pancia del giaguaro: “Scenderò solo quando non ci saranno più frutti! Ma se vuoi, te ne posso buttare giù qualcuno... chiudi gli occhi e spalanca la bocca: penserò io a sfamarti!”. Il giaguaro chiuse gli occhi e Jabutì si lasciò cadere dall’albero, piombandogli sulla testa. Il giaguaro svenne sul colpo, e così la tartaruga gli tolse un osso da una zampa per farsene un flauto. E cantando e suonando se ne andava in giro per la foresta: “Con l’osso del giaguaro mi sono fatto un flauto, fri fri! Con l’osso del giaguaro eccomi qui!”. Il giaguaro intanto era rinvenuto e aveva seguito quella melodia: “Che cosa stai cantando, tartaruga?”. “Guarda chi si vede! Ma, sbaglio, o sei un po’ zoppo?”. “Non cambiare discorso – ruggì – che cosa stavi cantando?”. “Cantavo: Con l’osso del cervo mi sono fatto un flauto, fri fri! Con l’osso del cervo eccomi qui!”. Il giaguaro era perplesso: “Non mi pareva tu cantassi così... ma forse non ho sentito bene...”. “È perché eri troppo vicino! Fatti più in là: non lo sai che da lontano si distinguono meglio le parole?”. “Questa mi è nuova, ma voglio provare”. E così, mentre il giaguaro si allontanava, la tartaruga si infilò in una buca del terreno e cominciò a cantare: “Con l’osso del giaguaro mi sono fatto un flauto, fri fri! Con l’osso del giaguaro eccomi qui!”. Il giaguaro divenne furibondo, e cominciò a frugare frenetico nella buca: “Stavolta non mi scappi, imbroglione, ecco: ti ho preso!”. “Che sciocco! – rise la tartaruga – Credi di aver afferrato la mia gamba, e invece stringi una radice!”. Il giaguaro lasciò la presa mortificato: “Be’, ci si può sbagliare...”. “Ah, ah! E invece era proprio la mia gamba!”. “Riderai poco! – ringhiò furioso il giaguaro – Non mi muoverò di qui finché non uscirai! Ehi, tu, rospo, vieni qui che devi farmi un favore!”. Il rospo che si trovava casualmente a passare di lì si affrettò ad ubbidire. “Jabutì si è infilato in questo buco. Resta di guardia e non lasciarlo scappare mentre io vado a cercare un bastone per stanarlo”. “Io di qui non mi muovo!” assicurò il rospo sistemandosi accanto alla buca. “Hei, rospo! – disse la tartaruga appena il giaguaro fu lontano – Ti do un consiglio: per fare la guardia devi tenere gli occhi più aperti!”. “Come, così?”. “Di più! Li devi spalancare! Fai vedere... ecco, così va meglio” e gli lanciò una manciata di terra negli occhi per poi svignarsela, lasciandolo lì sconcertato a ripulirsi e a far la guardia ad una buca ormai vuota. “Dov’è Jabutì” gli chiese il giaguaro di ritorno con un ramo robusto. “È sempre qui, rintanato nella buca” rispose il rospo in buona fede. “Non per molto – disse il giaguaro iniziando a scavare – Ma perché continui a sfregarti gli occhi?”. “Si è alzato il vento all’improvviso e me li ha riempiti di terra”. Il giaguaro è ancora lì che scava mentre da lontano, ogni tanto, il vento porta il suono di un flauto.

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