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Prosegue il nostro viaggio nella “cultura” Quale cultura? Umanistica o Scientifica? Ma forse sono più di due, credo almeno quattro! Di Giovanni Gelmini
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C'è da sempre una discussione accesa, quasi una guerra, tra chi sostiene la cultura umanistica come “Unica Vera Cultura” e chi sostiene quella scientifica come unica utile. Mi permetto di far notare come gli “scienziati”, in genere, apprezzino la cultura umanistica e spesso siano anche, a tempo perso, artisti, pianisti, pittori, scultori, scrittori, ecc... ma con gli “umanisti” non si verifica il contrario in genere gli umanisti non capiscono una mazza di scienza. Questo fatto dovrebbe già dare un'indicazione sul primato di una o l'altra cultura: una cultura che limita il campo dello scibile umano non può essere prioritaria.
Credo poi che una certa parte, non minima, dei sostenitori della cultura umanistica riduce questa solo alla cultura classica, come se il mondo si fosse fermato a un secolo fa. Forse loro si sentono sicuri solo di quanto faceva parte dei programmi del Liceo Classico (per carità solo quel liceo dà la cultura) di quando loro erano studenti. Insomma si può parlare a ben ragione di “razzismo culturale”. È con grande meraviglia, lo devo ammettere, che ho trovato posizioni in linea con le mie nei primi due capitoli di un libriccino sul tema dell'insegnamento dell'italiano (“L'ora di italiano”, Editori Laterza, luglio 2010), scritto da un importante linguista Luca Serianni, docente di Storia della lingua italiana all'università “La Sapienza” di Roma, accademico dei Lincei e della Crusca e autore di una nota “Grammatica Italiana”; insomma uno che, secondo i cultori del “classico”, dovrebbe sostenere che la cultura umanistica è l'unica vera e importante, le scienze sono solo un sottoprodotto. Una sua indicazione è che all'interno della cultura classica “occorre tenere ben distinti … il creatore di cultura umanistica (il poeta, lo scultore, il musicista ... ) e lo studioso delle relative manifestazioni e implicazioni. Inutile soffermarsi sullo stereotipo riguardante il primo; ma non si può non notare che il secondo opererà con metodi i quali - per la tecnica di raccolta dei dati da censire, per le procedure di analisi, per la falsificabilità di tutte le fasi del processo - rispondono alle stesse esigenze poste alla base di una ricerca di farmacologia o di statistica demografica.” Quindi tra gli “umanisti” vi sono due élite: i “creativi” e gli “studiosi” oltre ovviamente ai “fruitori”, cioè le persone “normali”, la maggioranza, che non sono né letterati, né studiosi, ma che si sentono portati per le scienze umane e rifuggono dalla scienza matematica e fisica. Per questa ultima parte numericamente consistente, anzi che corrisponde alla stragrande maggioranza delle persone, cosa ci dice Serianni? Ecco il suo pensiero: “È sicuramente vero - e in Italia in modo particolare - che la cultura scientifica media continua a essere scarsa e dotata di minore prestigio sociale. Per intenderci: una persona istruita saprebbe dire che le proteine sono sostanze che si trovano soprattutto nella carne, nelle uova, nel latte e che sono indispensabili nella nutrizione umana. Tutto bene, purché si sia consapevoli che una formulazione così sommaria equivale a dire che Alessandro Manzoni è un grande scrittore morto molto tempo fa, e basta. Ci aspettiamo che si debba andare un po' oltre nel caso dell'autore dei Promessi Sposi, ma non che si sia tenuti a sapere che le proteine sono sequenze di amminoacidi né soprattutto che cosa questo voglia dire. ” Sono un poco perplesso, ma mi sta bene questo ragionamento. Voglio però andare oltre: il conoscere “I promessi sposi” sta allo scrivere una lettera corretta e leggibile, come il conoscere le proteine, nelle loro formulazioni più dettagliate, sta nell'affrontare un problema di casa, per esempio un flacone di acido muriatico che si è sparso sul pavimento. Mi sapete dire quanti, che hanno studiato chimica in un corso annuale alle superiori, saprebbero risolvere il problema? È evidente che le prime, conoscere “I promessi sposi” o conoscere bene cosa siano le proteine, sono conoscenze teoriche, da sole poco utili nel vivere, le seconde sono conoscenze opportune per sapersi sbrigare. Quindi abbiamo ancora due diverse classificazioni di cultura: quella torica, che svolazza tra le nuvole del sapere, e quella pratica, che ci serve per vivere. Non basta conoscere è importante è che le conoscenze acquisite si tramutino in capacità di azione. Ad esempio, la chimica che viene insegnata nelle scuole non specialistiche è solo nozionismo, un nozionismo difficile da riutilizzare se non per fare il saccente. Mi chiedo a cosa serve insistere sui simboli chimici: H= idrogeno, O= ossigeno, H2O = acqua, quando questi servono per rendere facile e semplice la descrizione delle reazioni. Chi mai tra quella massa di non chimici dovrà leggere o descrivere reazioni nel suo futuro. Nel caso della chimica, è importante, perché ci si può trovare di fronte alla necessità di intervenire, invece capire alcuni concetti di base come: acido, base, sale. Se possiedo questi concetti saprò che, per fermare l'acido muriatico rovesciatosi e renderlo inoffensivo, dovrò tamponarlo con un sale debole (bicarbonato di sodio per esempio) o con una base (ammoniaca), prima di armarmi di straccio e spezzatone per raccoglierlo. Così dovrebbe essere impostato l'insegnamento di quelle materie “conoscitive” che portano via tante ore nelle scuole superiori e che vengono immediatamente dimenticate, perché prive di un passaggio pratico- utile. Questo passaggio genera anche un esercizio di applicazione della logica, che sta alla base della capacità di raziocinio. La cultura deve andare oltre l'insegnamento del “sapersi arrangiare”, sia nello scrivere una lettera, sia nel risolvere un piccolo problema “scientifico”; deve portare a modi di ragionamento, capacità di analizzare e sintetizzare quanto ci circonda. Vi sono due tipi di approccio: quello scientifico, formalizzato da Galileo Galilei, e quello umanistico. Credo che entrambi dovrebbero essere resi disponibili a tutti, poi qualcuno diventerà specialista in uno o nell'altro, ma entrambi sono utili. Conosco bene quello scientifico, che si basa sull'osservazione di quanto avviene e che non ha bisogno di conoscere la storia del pensiero, chimico, fisico o altro, occorre invece ben sapere quello che già è noto su quel fenomeno che stiamo osservando. Poi il “metodo scientifico” ci permetterà, attraverso la sperimentazione, di convalidare o cassare le nostre ipotesi. Non mi era noto il metodo di ricerca umanistica in modo esplicito, anche se la mia conoscenza del metodo scientifico mi ha sempre sorretto ad affrontare correttamente i problemi “umanistici” che non sono solo di letteratura, ma anche di sociologia, storia, economia, ecc. Gli studi umanistici, anche quando sono orientati al mondo contemporaneo, si svolgono all'insegna della storia, in due sensi. Serianni ricorda: “È impossibile affrontare un qualsiasi argomento senza percepirne lo spessore storico: non si può studiare il pensiero di san Tommaso prescindendo da Aristotele, ma nemmeno la pittura di Giovanni Bellini ignorando la raffigurazione dei soggetti sacri tramandata a Venezia dai Bizantini.” Quindi è necessario sapere i contesti socio economici e culturali in cui i fenomeni avvengono, confrontarli con altri già analizzati; per questo i richiami bibliografici sono necessari. Questo per non cadere in analisi estemporanei e personali, che comunque possono avere un valore. La conoscenza approfondita del metodo fa la differenza tra chi ha una cultura di tipo “sapersi arrangiare” e chi sa interpretare le cose e trarne conclusioni. E così ragionando a ruota libera sullo scritto di Serianni ho suddiviso la nostra “cultura” in 4 settori verticalmente Umanistica o Scientifica, orizzontalmente Saper Fare e Saper Capire. L'uomo “colto” dovrebbe sapersi muovere bene in tutti e quattro questi settori, ovviamente con la prevalenza i alcuni, ma nessuno di questi può essere considerato superiore agli altri. Gli articoli precedenti: OTTOBRE 2010 Il valore della cultura oggi Una riflessione attraverso l’intervista al videomaker Pietro Annicchiarico di Giacomo Nigro AGOSTO 2010 Quale cultura? Spesso mi capita di sentire frasi come questa: “non c'è più cultura, una volta... “, ma è vero che la cultura si è degradata? di Cricio Argomenti: #applicazioni , #chimica , #cultura , #metodo , #ricerca , #sapere , #saperfare , #scienza , #scuola , #studio , #umanesimo Leggi tutti gli articoli di Giovanni Gelmini (n° articoli 506) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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