Welfare, il benessere sociale è sicuramente quello che più deve interessarci, ma, oltre alla formazione della coscienza personale, è legato a tanti parametri esogeni. Il primo è certamente l'andamento dell'economia e la sua ricaduta sulla popolazione attraverso la ripartizione del valore aggiunto. Vediamo cosa ha trovato il Censis quest'anno.
La prima analisi che ci propone il Censis è quella dei consumi; la domanda che si pone è: “Siamo di fronte alla fine di un ciclo o semplice pausa di riflessione?"
Infatti, dal secondo trimestre del 2008 risparmio delle famiglie e consumi hanno visto una drastica riduzione, che ha toccato il suo minimo nel primo trimestre del 2009; poi un breve recupero e oggi i consumi sono fermi senza segno di ripresa. Questo è un segno grave.
L'analisi del Censis mette in rilievo che nella maggioranza dei casi (il 51%) le famiglie si sono limitate a ridurre gli sprechi, non pochi, ma coloro che si dichiarano costretti a rinunciare a prodotti o servizi giudicati essenziali sono il 24%.
Nell’ultimo anno si sono messi in atto comportamenti più parsimoniosi, riducendo pranzi e cene fuori casa (il 60,4% delle famiglie), comprimendo le spese per lo svago (56,9%) e perfino modificando le abitudini alimentari (38,1%) e per gli acquisti più impegnativi si assiste a una tendenza a temporeggiare.
Ciò ha portato alla fine del ciclo espansivo legato all’utilizzo degli strumenti di credito al consumo, che nel primo semestre del 2010 subiscono una contrazione in valore del 4,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si assiste a un calo del 2,4% nel numero di prestiti personali erogati, del 2,1% nei prestiti finalizzati all’acquisto di determinati beni e del 6,3% nelle operazioni di cessione del quinto dello stipendio.
La tendenza trova conferma anche nell’ambito delle piccole spese, come quelle effettuate mediante le carte di credito. Rispetto agli inizi del 2009, l’importo complessivo delle operazioni ha subito una flessione del 3,7%. La percentuale di famiglie che utilizzano il credito al consumo si è ridotta dal 17,8% di inizio 2009 al 14,8% di inizio 2010, per poi aumentare leggermente nel corso dell’anno, attestandosi al 16,9%.
Il rapporto Censis conclude questa analisi affermando “Le dinamiche di consumo delle famiglie rappresentano il principale volano dell’economia nazionale. Dalla spesa per consumi nel 2009 dipende il 61% del Pil. Un loro rilancio costituisce quindi un elemento determinante per garantire una complessiva ripresa del sistema produttivo. In tal senso, è incoraggiante osservare un progressivo e diffuso miglioramento della situazione nel corso dell’anno. In particolare, è il 23,8% delle famiglie che prevede un aumento dei propri consumi per il secondo semestre del 2010, mentre soltanto il 7,7% ritiene che subiranno un’ulteriore contrazione. All’inizio del 2009 emergeva uno scenario meno incoraggiante, con appena il 19,1% delle famiglie che dichiarava prospettive di spesa crescenti contro il 13,6% che immaginava una contrazione degli acquisti.”
È evidente che su questi comportamenti giocano elementi di attesa del futuro, ma anche la crescente disoccupazione e la crisi che ha messo in grande difficoltà il sistema imprenditoriale.
Il Censis rileva che dall’inizio della crisi, l’Italia ha perso 574.000 occupati (giugno 2008-giugno 2010) e le imprese manifatturiere si sono ridotte di oltre 93.000 unità. La riduzione del valore aggiunto ha colpito tutti i comparti produttivi ad eccezione di quello dell’intermediazione immobiliare.
Se in media la riduzione delle imprese nel Paese è stata del 5,5%, si sono raggiunti a fine 2009 (rispetto all’anno precedente) livelli molto preoccupanti nel manifatturiero (-14,5%) e nel commercio (-9,5%).
Oggi gran parte del terziario appare in recupero (i servizi alle imprese sono cresciuti del 2,2% nell’ultimo anno e le attività professionali del 3,1%), ma l’industria tradizionale (-1,9%), il comparto agricolo (-2,6%) e l’autotrasporto (-1,7%) continuano a registrare ancora nel 2010 un’emorragia di unità produttive.
La fenomenologia emergente non è il declino del manifatturiero tradizionale- dice il Censis - ma una più complessa deindustrializzazione competitiva, ovvero un riposizionamento dell’industria in cui il terziario gioca una parte rilevante. La crisi sembra avere accentuato la fase espansiva del terziario alle imprese, con comparti come quelli della consulenza, della logistica, della ricerca, dei servizi Ict in cui il numero di imprese ha registrato a metà del 2010 incrementi intorno al 5% rispetto all’anno precedente.
Ma il Censis si chiede però quanto il sistema-Paese stia puntando sulla componente più avanzata del terziario. Sebbene il peso del valore aggiunto dei servizi alle imprese (logistica, magazzinaggio, servizi Ict, servizi di ricerca, noleggio macchine, attività di consulenza e professionali) sia costantemente cresciuto negli ultimi anni, l’Italia resta abbastanza lontana dai principali Paesi europei che continuano ad investire in tal senso.
La logistica intermodale può essere un’opportunità per far crescere il Paese. L’Italia, infatti, è uno dei Paesi europei in cui negli anni pre-crisi il trasporto di merci su rotaia è aumentato maggiormente, con una crescita media annua nel periodo 2004-2008 del 3,5%, inferiore soltanto a quella di Germania e Austria. I traffici intermodali raggiungono un’incidenza sul trasporto ferroviario complessivo pari al 45,1% (la più alta d’Europa), grazie a una rete di strutture interportuali e di terminal intermodali in espansione.
Tuttavia, a causa dei mancati investimenti a favore dello sviluppo dei traffici intermodali nei porti italiani, l’Italia è anche il Paese europeo che è riuscito a intercettare di meno l’importante incremento del traffico di container verificatosi tra il 2004 e il 2008.
Ciò ha portato a una perdita in termini di fatturato compresa tra 700 milioni di euro (nel caso in cui i container fossero soltanto in transito) e 5,5 miliardi di euro (nel caso in cui i container fossero anche «lavorati» in Italia) e a una mancata occupazione compresa tra 11.000 e 99.000 unità.
Il ruolo della politica per lo sviluppo del sistema produttivo è importante e il Censis segnala come sia tornato d’attualità il dibattito sulla necessità di rivedere il sistema complessivo degli incentivi alle imprese, sia nella forma diretta degli automatismi che, soprattutto, in quelli che hanno come base la concertazione tra le forze locali, come gli interventi della programmazione negoziata.
Le politiche di incentivo attuate negli ultimi anni si sono, ancora una volta, molto focalizzate sul sostegno all’acquisto di capitale tecnico (macchinari, attrezzature o finanziamento di progetti di fattibilità), piuttosto che sul riequilibrio di punti assai deboli, come l’acquisizione e il trasferimento di innovazioni di processo, il rafforzamento della struttura logistica dell’impresa, la propensione a incorporare nel processo produttivo maggiori livelli di servizi avanzati. Eppure, le risorse destinate Eppure, le risorse destinate negli ultimi anni per le politiche a sostegno delle imprese appaiono consistenti. Per avere un ordine di grandezza, è opportuno ricordare che tra il 2000 e il 2008 le agevolazioni alle imprese concesse dallo Stato e dalle amministrazioni regionali hanno superato gli 88 miliardi di euro, con una spesa media annua, in termini di agevolazioni concesse, di 11 miliardi di euro.
Tutte i grafici esposti sono tratte dal 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/ 2010