Abbiamo visto come troppe delle difficoltà per una ripresa economica siano addebitate alla Politica.
Negli anni '80 si è ipotizzato un ruolo più decisionale della politica, con maggiori poteri al Governo, ma i risultati di quest'ultimi 15 anni di politica sembrano avere sovvertito l'opinione della gente.
Secondo il Censis quasi il 71% degli italiani ritiene che nell’attuale situazione socio-economica la scelta di dare più poteri al governo e/o al capo del Governo non sia adeguata per risolvere i problemi del Paese. E commenta questo: “Leaderismo e carisma – gran parte del lessico politico di questi anni – non seducono più: il distacco è più marcato tra i giovani (75%), le donne (76,9%), le persone con titolo di studio elevato (quasi il 74% dei diplomati e oltre il 73% dei laureati) e tra i residenti del Nord-Ovest (73,6%) e del Nord-Est (73,7%). ”
La motivazione principale della contrarietà (55,4%) ritiene che occorra far pesare di più il punto di vista dei cittadini rispetto a quello dei politici e il 15% di intervistati ritiene che nessuno può oggi dire di essere in grado di risolvere da solo i problemi.
Il Censis osserva anche che l’accelerazione dei processi decisionali della politica non si è mai verificata, così come stenta ad avere concretezza e visibilità la messa al passo di quei fattori favorevoli alla competizione che dipendono in gran parte da essa, a cominciare dal funzionamento della Pubblica Amministrazione.”
A questo proposito, segnala il Censis, secondo le indagini dell’Eurobarometro (l’osservatorio d’opinione ufficiale della Ue), nel 2010 il 74% degli italiani giudica negativamente il modo in cui opera la Pubblica Amministrazione nel nostro Paese: un dato nettamente superiore al valore medio europeo, che risulta pari al 52% (tab. 29); inoltre il 47% degli italiani rileva un peggioramento nel modo in cui funziona la PA rispetto a cinque anni fa.
I mancati effetti del decisionismo.
Il dibattito politico oggi è molto lontano dai problemi della gente. I politici parlano solo di se stessi e delle leggi che servono a loro, come il lodo Alfano e l'enorme bega tra Fini e Berlusconi, che ha congelato il parlamento per un semestre intero, quando invece ci sarebbe da rimboccarsi le mani per uscire alla crisi economica riformando veramente quella PA che non funziona, ridurre il costo della politica eliminando tutti i “piaceri clientelari e famigliari” che sono alla base dell'enorme spreco della Cosa Pubblica.
Ecco che un’indagine del Censis fotografa puntualmente questa situazione con una recente indagine del Censis (luglio 2010), in cui alla domanda sui principali problemi per la ripresa economica italiana, la maggioranza relativa degli intervistati (il 34,4%) ha indicato la classe politica litigiosa, poco focalizzata sul tentativo di risolvere i problemi strutturali del Paese (fig. 21).
Sicuramente questa opinione trae origine dai risultati di tanti provvedimenti presi dal Governo, sbandierati come soluzioni a problemi che in effetti anno dato risultati modestissimi.
Un esempio di questo è certamente la Carta acquisti (la cosiddetta social card) da 40 euro al mese introdotta alla fine del 2008 per aiutare le famiglie più povere di fronte alla crisi.
Nelle intenzioni dichiarate, la platea di riferimento era costituita da circa 1,3 milioni di beneficiari. Secondo i dati ufficiali forniti dallo stesso Ministero del Tesoro, le richieste ricevute sono state circa 830.000 e gli attuali beneficiari della carta sono 450.000: un numero rilevante, ma certo certamente lontano dalle prime stime. E il meccanismo messo in atto è costose e farraginoso, specialmente non avendo affidato ai comuni, che sono già organizzati per l'assistenza sociale, la gestione di questo.
Grande flop è quello registrato dal “Piano casa”, che puntava ha promesso il rilancio dell'edilizia attraverso incentivi volumetrici in deroga a piani e regolamenti edilizi, per spingere le famiglie italiane ad ampliare il proprio immobile o addirittura a demolirlo e ricostruirlo, se obsoleto.
Le stime effettuate all’epoca della discussione del provvedimento parlavano di investimenti di 60 o 70 miliardi di euro. In realtà il piano non ha generato l’effetto anticiclico atteso (o temuto, a seconda dei punti di vista). Secondo una ricerca effettuata da Il Sole 24 Ore, che ha preso in esame oltre 60 Comuni capoluogo di provincia, a più di un anno di distanza sono state presentate poco meno di 2.700 istanze: 42 istanze in media, che scendono a 20 se si escludono i Comuni di Veneto e della Sardegna. Il flop non può essere, come fa il Censis, imputato all'ostruzionismo delle Regioni, che hanno la competenza sul tema urbanistico, ma al Governo che non ha tenuto conto in tempo della loro competenza legislativa, delle difficoltà oggettive a effettuare quel tipo di interventi che non sono semplici come per il governo fare promesse che poi non saranno mantenute.
Il Censis segnala come “caso più paradossale” quello della sicurezza; infatti, in questo ambito sono stati ottenuti importanti risultati nella repressione della criminalità organizzata, con l’arresto di numerosi boss mafiosi e camorristi, ma questi risultati forse sono stati oscurati dall’enfasi posta su altre iniziative a forte impatto comunicativo, sempre in tema di ordine pubblico come :i censimenti nei campi nomadi (in Lombardia, Campania e Lazio), all’introduzione del reato di immigrazione clandestina o alla possibilità di dar vita alle cosiddette “ronde” (“attività di volontariato con finalità di solidarietà sociale nell’ambito della sicurezza urbana”), novità che hanno diviso per settimane l’opinione pubblica, creato grandi discussioni e anche dei problemi reali nella loro applicazione, ma hanno avuto uno scarso impatto reale.
Resta poi il problema delle infrastrutture, sempre enfaticamente annunciate, a volte persino inaugurate anche se ancora non realizzate. L'opinione pubblica ormai non ci crede più perché è assuefatta a tempi lunghissimi e a scadenze mancate. È lo stesso Ministero dello Sviluppo Economico, che in un suo studio rileva che per realizzare un’opera pubblica di valore superiore a
50 milioni di euro nel settore dei trasporti ci vogliono in Italia mediamente 3.942 giorni, quasi 11 anni.
Il caso dell’ammodernamento dell’autostrada Salerno - Reggio Calabria è diventato emblematico della distanza tra previsioni e tempi effettivi di realizzazione: basti ricordare che i lavori sono stati avviati nel 1997, dal ministro di Pietro e il loro completamento, fissato al 2003, è stato posticipato prima al 2008 e poi al 2013. Come la famosa Variante di Valico (i 60 chilometri di autostrada del sole tra Barberino del Mugello e Sasso Marconi), che, avviata sempre Da di Pietro con la Salerno - Reggio Calabria, si pensava potesse essere completata addirittura nel 2006, la data è stata poi slittata al 2011 e ora si parla della fine del 2013.
Federalismo fiscale: la sfida delle responsabilità diffuse
Il federalismo fiscale, terza tappa del processo di trasferimento di competenze e risorse dal centro alla periferia, dopo il decentramento amministrativo delle Leggi Bassanini (1997) e il federalismo legislativo della riforma del Titolo V della Costituzione (2001), è giunto in questi mesi alla sua fase di attuazione.
Stato incassa quasi 400 miliardi di euro di entrate, e di questi la componente più evidente è rappresentata dalle imposte dirette e indirette (336 miliardi di euro); spende circa 460 miliardi di euro, ma di questi una parte importante è rappresentata dai trasferimenti correnti a enti pubblici (prevalentemente territoriali) per circa 200 miliardi di euro. Le amministrazioni locali (Regioni ed enti locali) raccolgono 250 miliardi di euro di entrate, ma di questi meno della metà proviene dall’azione tributaria, mentre il grosso della partita (112 miliardi) è rappresentato da trasferimenti ricevuti dalle amministrazioni centrali.
I trasferimenti dallo Stato alle Regioni ammontano a circa 7,5 miliardi di euro e quella ai Comuni il Censis lo stima intorno ai 14 miliardi di euro, mentre per ciò che riguarda le Province l’entità ammonterebbe a circa 1,2 miliardi di euro. L’impianto della riforma verrà a modificare positivamente il rapporto fra i diversi livelli di governo e di avvicinare maggiormente l’azione pubblica al controllo diretto dei cittadini. Il Censis rileva che il problema grave è che anche in questo caso l’approccio di base, rafforzato del resto dallo strumento della delega al Governo, risulta ancora una volta congenitamente fondato sulla volontà centrale e che tale capacità di iniziativa non trova nello stesso tempo un’efficace interlocuzione da parte del sistema delle amministrazioni locali, intrinsecamente debole e costretto, anche in questo caso, a subire e non a guidare il processo di riforma.
L'escursus sulle gravi carenze della politica italiana è tale da giustificare la crisi delle forme di delega al “leader che tutto risolve”, e giustifica il disamore e l'impegno dei cittadini verso una politica che appare inconcludente e troppo spesso corrotta, aspetto quest'ultimo trascurato dal Censis.
Tutte le tabelle e i gafici esposti sono tratte dal 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/ 2010
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