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Metodo classico o metodo Charmat, italiano o francese Il re delle feste è lo spumante Le bollicine, portatrici di gioia ma complicate nel loro essere, ottime come aperitivo e perfette in molti abbinamenti, hanno una lunga storia ancora oggi discussa. Vediamo le loro caratteristiche Di Luana Scanu
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A Natale, si sa, non si bada alla linea e gli strappi alla regola sono tanti: panettone e pandoro di tutti i tipi, piccoli o grandi, farciti con una crema al cioccolato, o magari di liquore, oppure un po' più semplici con un velo di zucchero o una glassa alle mandorle; di tutte le forme e di tutti i colori, tradizionalmente sono accompagnati da uno spumante dolce oppure brut.
E' ormai assodato che durante una festa o un momento di gioia lo spumante non manca mai: un matrimonio, un battesimo, una laurea, un compleanno e, naturalmente, il Natale e la notte di San Silvestro, per tradizione si festeggiano “con il botto”. Le bollicine, portatrici di gioia ma complicate nel loro essere, ottime come aperitivo e perfette in molti abbinamenti, hanno una lunga storia ancora oggi discussa. Una delle leggende che narrano la nascita degli spumanti vede come protagonista Don Pierre Pérignon, economo dell'abbazia francese di Hautvillers. Infatti, secondo questa leggenda, sarebbe stato proprio il monaco ad inventare il cosiddetto “metodo Champenoise” (per intenderci, il metodo di produzione dello Champagne), quello che oggi in Italia viene definito “metodo Classico”. Ma le leggende spesso servono solo a farcire la storia, così come quella che invece riporta le origini delle nobili bollicine in Italia e che vede come protagonista il medico marchigiano Francesco Scacchi, autore del trattato “De salubri potu dissertatio”. Il trattato seicentesco disquisisce sugli effetti del vino sulla salute e descrive il metodo di produzione utilizzato dai contadini per i vini frizzanti, comunemente chiamati “piccanti”. Il problema è che questi metodi differivano non poco da quelli utilizzati attualmente! Ma il ventaglio delle leggende non era abbastanza ampio; allora ecco gli inglesi che vanno a ripescare nella storia i produttori britannici di sidro, che avrebbero conosciuto e utilizzato, inconsapevolmente, il metodo di spumantizzazione addirittura decenni prima di Don Pérignon. Un merito però gli inglesi ce l'hanno veramente: l'affermazione del gusto secco. Sino alla metà dell'ottocento infatti lo Champagne era un vino molto dolce, perché compiaceva i compratori più fedeli: i russi. Gli inglesi allora chiesero alle maison francesi di puntare a un prodotto meno dolce, secco, in modo da soddisfare anche gli acquirenti inglesi, e furono accontentati. Nacque così lo spumante secco. Ma che cosa è uno spumante? Lo spumante è un prodotto ottenuto dalla prima o dalla seconda fermentazione di uve fresche, mosto, vino da tavola o vino di qualità, prodotto in regioni determinate, caratterizzato al momento della stappatura del recipiente da uno sviluppo di anidride carbonica proveniente esclusivamente dalla fermentazione. Tengo a precisare “esclusivamente” perché gli spumanti possono essere sia naturali, nei quali le bollicine si sono formate in seguito a una rifermentazione, sia artificiali, dove invece l'anidride carbonica viene insufflata nel vino base. La differenza tra i due prodotti è evidente soprattutto alla vista, infatti i vini artificiali hanno un perlage (bollicine) più grossolano e meno persistente. I metodi di produzione dello spumante sono vari ma i più conosciuti e utilizzati sono due: metodo Champenoise o metodo Classico e metodo Charmat o metodo Martinotti. Il metodo Classico (N.d.R. per dirla all'italiana, la parola Champenoise può essere abbinata solo agli spumanti francesi, ma la sostanza non cambia) prevede una seconda fermentazione in bottiglia, dove il vino riposa per molti mesi a contatto con i lieviti. Il primo passo naturalmente è la vendemmia, che per lo spumante viene anticipata, perché il vino base deve avere un'elevata acidità e un contenuto zuccherino modesto. La prima fermentazione, quella che porta al vino base, si fa normalmente in tini d'acciaio a temperatura controllata; dopo alcuni mesi di affinamento i vini base sono pronti per la fase successiva. A questo punto si deve formare la cuvée che prevede la miscelazione di vini che possono essere o di annate diverse oppure della stessa annata; in quest'ultimo caso lo spumante riporterà in etichetta la dicitura “millesimato” e la data della vendemmia. Ancora, le uve che compongono la cuvée generalmente sono sia bianche che nere; se invece vengono utilizzate solo le prime, in etichetta verrà riportata la dicitura “blanc de blancs”, mentre se vengono utilizzate solo le seconde allora si riporterà “blanc de noirs”. Ottenuto il vino base, bisogna far sviluppare le bollicine: queste sono il risultato di una seconda fermentazione, uguale in tutto e per tutto alla prima, con la differenza che l'anidride carbonica che si sviluppa, quando i lieviti convertono lo zucchero in alcol, non viene dispersa, ma rimane disciolta nel vino perché chiuso in bottiglia. Al vino base viene quindi aggiunta la liqueur de tirage, un composto di vino, zucchero di canna, lieviti selezionati e sali minerali. I protagonisti dello spumante sono quindi i lieviti che, una volta compiuto il compito di demolire lo zucchero e di produrre alcol e anidride carbonica, muoiono e precipitano sul fondo della bottiglia. Il contatto del vino con i lieviti è fondamentale per lo sviluppo di un bouquet complesso che spesso ricorda prodotti di pasticceria o di panetteria. Per quanto possano sprigionare profumi interessanti, però se lasciati all'interno della bottiglia i lieviti intorbidirebbero il vino, allora è stato studiato un metodo per eliminare le fecce senza però disperdere troppa anidride carbonica. Il metodo, detto remuage, che dopo anni di ricerche viene utilizzato ancora oggi, si deve alla vedova Clicquot e al suo cantiniere, che hanno messo a punto le pupitre, cavalletti a 45 gradi con dei fori, dove vanno inserite le bottiglie nella fase dell'affinamento. Nelle pupitre le bottiglie vengono ruotate periodicamente di un quarto di giro per volta, mentre progressivamente aumenta anche l'inclinazione, sino a quando la bottiglia si ritrova in posizione verticale rovesciata. In questo modo i lieviti si raccolgono sul tappo, così quando il cantiniere decide di passare alla fase successiva, la sboccatura ( il collo della bottiglia viene ghiacciato immergendolo nell'azoto liquido) riesce ad eliminare tutti i lieviti, evitando di disperdere troppa anidride carbonica. Successivamente si aggiunge la liqueur d'expédition, preparata sulla base di una ricetta segreta per ogni cantina. E' fondamentale perché è ciò che dà allo spumate le caratteristiche principali, come ad esempio dolcezza o meno, a seconda della quantità di zuccheri presenti nella liqueur. Accanto a questo metodo, abbiamo detto, ce n'è un altro, il metodo Martinotti o Charmat; la differenza basilare tra i due è che in questo caso la seconda fermentazione non avviene in bottiglia ma in grandi tini d'acciaio (autoclavi) a tenuta di pressione. L'idea di fermentare in autoclave venne all'enologo piemontese Federico Martinotti nel 1895, che però non andò mai oltre la progettazione; dobbiamo a Eugène Charmat, ingegnere di Bordeaux, lo sviluppo dell'idea di Martinotti e la produzione dei primi impianti. Ecco perché il doppio nome del metodo. Paternità a parte, non bisogna cadere nell'inganno che il metodo Martinotti sia un'alternativa a quello Classico, perché decisamente meno costoso. In realtà i due procedimenti danno al vino caratteristiche diverse: nel metodo Classico sono più evidenti i sentori dei lieviti, mentre in un vino spumantizzato con il metodo Martinotti vengono esaltati i profumi primari, ossia le note olfattive che derivano direttamente dalle sostanze presenti negli acini dell'uva, riducendo al minimo le alterazioni derivate dai lieviti. Questo perché il vino è raccolto in una grande vasca e ciò rende possibile un adeguato livello di pressione con una minore quantità di lieviti; inoltre lo spumante è pronto nel giro di qualche settimana, quindi prima che si possa innescare il fenomeno dell'autolisi, cioè quando le cellule dei lieviti cominciano a cedere al vino le sostanze contenute al loro interno. Proprio per questo motivo, le uve che si utilizzano per la spumantizzazione metodo Martinotti sono generalmente aromatiche: moscato bianco, malvasia, bracchetto, oppure i semiaromatici glera (l'uva con cui si spumantizza il Prosecco) e Müller Thurgau. Mentre le uve che si prestano meglio alla spumantizzazione secondo il metodo Classico sono chardonnay, pinot nero, pinot bianco, pinot grigio, pinot meunier (ma solo in Champagne), riesling. Il procedimento del metodo Martinotti è meno elaborato del metodo precedente. La presa di spuma comincia nel momento in cui si mescolano i lieviti selezionati in una vasca che contiene una piccola quantità di vino base, nel quale è disciolto una gran quantità di zucchero, proprio per innescare la fermentazione. Appena questa ha inizio, “l' intruglio” ribollente di vino, zucchero e lieviti, viene aggiunto al vino base, contenuto in una autoclave di medie dimensioni. Il tutto verrà in seguito distribuito nelle vasche più grandi dove si avvia la presa di spuma definitiva che, come abbiamo già detto, dura poche settimane. Oltre questi, esistono altri metodi per spumantizzare un vino, ma sono sicuramente meno utilizzati, per lo meno in Italia. Per citarne alcuni: metodo Marone-Cinzano (ibrido tra il Classico e il Martinotti), oppure il metodo “Ancestrale”, basato su una fermentazione bloccata e ripresa in seguito, come spesso accadeva, accidentalmente con il sopraggiungere del freddo improvviso e poi del caldo. Questo metodo è stato ripreso sull'onda del rinnovato interesse per i prodotti naturali e tradizionali. Vedi anche Spumati e champagne: Alcuni consigli per l'acquisto Argomenti: #champagne , #spumante , #vino Leggi tutti gli articoli di Luana Scanu (n° articoli 41) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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