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Placca d’oro, Mitré, oro, VI-V sec. a.C. Serbia Novi Pazar
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Quando nel 2005 misi mano, insieme agli amici della direzione scientifica del Museo Nazionale di Belgrado, ad elaborare una prima ipotesi espositiva riguardante le collezioni archeologiche di quella istituzione, avevo già negli occhi e nel cuore la Serbia, la sua gente, i suoi paesaggi, la sua storia.
La sorte volle che mi fossi avvicinato a Belgrado sulle tracce di preziosi “fondi d’oro” Trecenteschi, capolavori della pittura veneziana, finiti nelle collezioni dei dipinti del museo serbo in seguito al risarcimento per danni di guerra effettuato dall’Italia al termine del secondo conflitto mondiale.
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Cinturone del tipo “Mramorac" , argento, VI-V sec. a.C. Mramorac Serbia
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Fu, quella, la prima e felice occasione d’incontro con un gruppo di studiosi, per lo più gentilissime, vivaci e giovani signore, da me riuniti intorno a un tavolo di lavoro cui sedevano anche colleghi di Croazia e Slovenia. Si andò ricomponendo così culturalmente – attorno ad un progetto espositivo
serious, come ebbe a definirlo “The Burlington Magazine”, ovverosia la mostra “Il Trecento Adriatico. Paolo Veneziano e la pittura tra Oriente e Occidente”, Rimini 2002 –, attraverso la comune passione per la storia degli uomini e dell’arte, un’unità di intenti ed un sentire comune, forieri di successivi progetti di lavoro, dentro una reciproca stima sfociata ben presto in schietta amicizia. Tra le collaborazioni effettuate in seguito, devo ricordare la decisiva incidenza dell’apporto serbo alla mostra “Costantino il Grande”, sempre a Rimini nel 2005, quindi l’esposizione di Como del 2007, dedicata alla Collezione di Pittura Moderna del museo belgradese.
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Pendente- statuetta, Novi Pazar, ambra VI-V sec. a.C.
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Impegno privilegiato fu la realizzazione dell’esposizione “Balkani. Antiche civiltà tra l’Adriatico e il Danubio”, tenutasi al Museo Archeologico Nazionale di Adria nel 2007. Un’idea nata quasi per caso, mentre visitavo i depositi del museo serbo, chiuso al pubblico già da alcuni anni per importanti lavori di restauro. Quanto ebbi modo di ammirare - sinceramente stupefatto dalla qualità e dall’abbondanza dei reperti lì raccolti e spesso ancora sconosciuti agli specialisti -, mi suggerì l’intento di poter realizzare un grande evento espositivo, intorno alle antiche civiltà sviluppatesi in area medio balcanica nel corso dell’età del ferro e fino alla conquista romana.
L’idea, condivisa con entusiasmo dalla direzione del museo, trovò l’appoggio del nostro Ministero competente, grazie al generoso interessamento di Anna Maria Reggiani, allora direttore generale per il settore archeologico. Insieme si individuò nel Museo Archeologico di Adria la sede più conveniente per l’esposizione, stante le numerose assonanze storiche e anche naturalistiche con l’orizzonte culturale balcanico oggetto del nostro lavoro. La “Mesopotamia d’Italia” - come è stata definita, forse con una certa enfasi, l’area polesana – fu quindi scelta come sede della mostra, all’interno della sua istituzione culturale più signifciativa oggetto, proprio in quegli anni, di radicali interventi di restauro, prossimi ad essere ultimati. La Fondazione della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, sponsor degli impegnativi lavori di ammodernamento della struttura adrese, si disse interessata all’iniziativa ed insieme ai suoi rappresentanti organizzammo una missione esplorativa a Belgrado.
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Coppia di orecchini di tipo Mramorac Belgrado, Museo Nazionale Reg. n. 705I
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Fu in quella occasione che si decise, in via eccezionale, l’inserimento del “Magnifico Cratere” nella lista delle opere concesse in prestito. L’eccezionalità era davvero tale: il grande recipiente bronzeo non aveva mai lasciato l’Istituzione culturale serba prima di allora, nonostante richieste pervenute da importantissimi musei stranieri. Le condizioni generali di conservazione del prezioso manufatto – se pur restaurato con cura e buoni ma ormai obsoleti materiali, dopo il suo rinvenimento nella celebre necropoli di Trebenište nei pressi del lago di Ocrida - rendevano necessario e urgente un primo intervento di manutenzione. Cosa che si fece, con un accordo stipulato tra la direzione del museo e la Fondazione bancaria, sotto l’egida della Direzione Generale per i Beni Archeologici del nostro Ministero. Quest’ultima incaricava gli esperti della Soprintendenza Speciale romana delle operazioni necessarie di una prima, momentanea sistemazione del cratere, adeguata all’esposizione dello stesso e, al temine della mostra adrese, del suo completo restauro, sostenuto economicamente dall’ente patavino; quest’ultimo, a sua volta affidava allo scrivente, in qualità di co-curatore dell’esposizione polesana, il compito di coordinare i rapporti tra l’équipe tecnico-scientifica incaricata delle operazioni di studio e restauro del manufatto, la direzione del museo di Belgrado e la stessa Fondazione.
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Idria, Novi Pazar Serbia - bronzo VI-V sec.a.C.
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L’eco successa all’apertura della mostra ad Adria fu grande e, per certi versi, insperata. Vero è che ben poca fantasia era concessa, in questo caso, all’usata, spesso iperbolica terminologia con cui solitamente si annunciano eventi culturali a volte poco “sostanziosi”. Qui lo stupore e l’ammirazione dei visitatori furono davvero tali e persino la ricercata e un po’ accattivante denominazione di “Magnifico Cratere” concessa al nostro bronzo per l’occasione, calzò invece a pennello. Di fatto, ad Adria fu possibile riunire tutti i capolavori delle collezioni greca e romana del Museo Nazionale di Belgrado: a partire dalla piccola scultura geometrica greca raffigurante un fabbro al lavoro sull’incudine, ritrovata nei pressi di Bela Palanka nel sud del Paese; fino alla celebre testa ritratto in bronzo di “Traianus Pater”, proveniente dall’ornamentazione monumentale del ponte sul Danubio fatto costruire da Traiano. Nel mezzo, lungo il percorso espositivo, altri 230 manufatti di varia tipologia e materiali erano testimoni eloquenti, nella loro bellezza e rarità scientifica, di un lungo, incessante peregrinare di genti per lo più anonime, che si erano spinte, nel corso dei secoli dell’Età del ferro, lungo il corso dei fiumi che traversano e arricchiscono, oggi come allora, i territori balcanici centrali.
Alcuni tra i più preziosi reperti allora esposti vengono riproposti qui, nella bella mostra celebrativa dell’importante lavoro di restauro del “Magnifico Cratere” e quindi delle feconde relazioni culturali attive in più ambiti tra Italia e Serbia. Né poteva essere altrimenti. Occorreva infatti ricostruire, per suggestioni visive di straordinaria qualità, il contesto storico, sociale ed ambientale cui il grande vaso bronzeo pertiene. Acquistato verosimilmente da un capo tribù, o “principe” che dir si voglia, ad uso della mensa vinaria del medesimo e quindi deposto nella sua sepoltura quale elemento di spicco del ricchissimo corredo funebre, il cratere è non solo documento artistico di prim’ordine: esso è indice dell’acculturazione in senso “greco” - almeno in certi settori - della nobiltà guerriera indigena. Denotano tale direzione altri manufatti provenienti dal medesimo rinvenimento: l’elmo, ad esempio, arricchito da decorazioni in oro grecizzanti, il corno potorio e i tre bicchieri d’argento, anch’essi realizzati in un’officina straniera. Di contro, quasi a sottolineare l’identità culturale e la genìa tribale del defunto, sono i sandali e i guanti propri del rituale funerario indigeno: lamine d’oro ritagliate e sagomate, decorate a sbalzo con una fitta serie di cornici e meandri geometrici entro i quali trovano spazio, a fatica, le faccie delle gorgoni; una sorta di tributo, quest’ultima raffigurazione, ad una cultura non più lontana.
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Elmo, bronzo parzialmente dorato, VI-V sec. a.C
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Se anche la maschera in oro, proveniente dalla tomba 9 della medesima necropoli d’area macedone, è straordinario documento della stessa temperie culturale generatrice di manufatti come i sandali appena citati e rimanda inevitabilmente, di primo acchito, alle molto più antiche, notissime maschere micenee: è lo stradordinario corredo rinvenuto a Novi Pazar, a sud della Serbia, a sottolineare l’altissima dignità riconosciuta al “principe” tribale dalle sue genti, celebrata sia attraverso oggetti di produzione indigena che straniera, attraverso gli scambi interculturali che caratterizzano il momento di passaggio tra VI e V secolo a.C. Documentano magnificamente tali nuovi apporti l’hydria bronzea e la
phiale d’argento rinvenute nel tumulo, ad esempio; mentre l’originale e ancora misteriosa cultura cui apparteneva il defunto è clamorosamente espressa nelle superbe oreficerie che costituivano, insieme ad oltre 8.000 vaghi d’ambra d’importazione, la maggior parte del corredo. Basterà osservare la formidabile coppia di cinturoni in oro, prossimi nella fattura e nella datazione a quelli argentei provenienti da Mramorac presenti in mostra, per apprezzare appieno l’altissima abilità tecnica raggiunta dai maestri orafi locali, presso le cui officine non è escluso fossero attivi artigiani di altra matrice culturale, lì impiegati anche in una produzione dai marcati caratteri estetici tradizionali.
Quanto è oggi visibile presso il Palazzo del Quirinale è anch’esso frutto di una fervida stagione di collaborazioni culturali attive su più fronti tra Italia e Serbia – mi sia permesso ricordare la recente mostra dedicata a “Andrea Mantegna e gli affreschi della Cappella Ovetari. Un tesoro ritrovato”, curata da Anna Maria Spiazzi e da chi scrive per l’Istituto Italiano di Cultura a Belgrado, organizzata nel 2009 dalla nostra ambasciata in Serbia unitamente alla Soprintendenza PSAE del Veneto e alla benemerita Fondazione bancaria patavina -, significativo “momento" di un comune sentire e di unità di intenti lungo le umane vie della storia e dell’arte, all’interno del condiviso orizzonte culturale europeo.