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La situazione italiana

L'economia langue e la Politica se ne frega

Difficile pensare ad una ripresa dell'economia; l'esempio di Marchionne dovrebbe essere ben analizzato: chi vuole produrre deve risolvere i problemi della scarsa produttività. Una via è fuggire dall'Italia

Di Giovanni Gelmini

Da parecchi mesi ho smesso di scrivere sulla situazione economica. Il motivo è semplice: non c'è nulla da dire di positivo, il trend è quello già delineato precedentemente, cioè una ripresa lenta, a singhiozzo, da cui usciremo con le ossa rotte. Fare le Cassandre non è simpatico e quindi è meglio, se non c'è nulla di nuovo, tacere.

Avevamo già detto fin dall'inizio che questa non era una crisi semplice, di facile superamento con qualche piccola operazione di maquillage: questa è una crisi di sistema, che impiega parecchi anni ad essere riassorbita, che genera squilibri e tensioni forti, fino alle sommosse e non bastano misure palliative, necessitano interventi pesanti di reindirizzo dell'economia.

I dati pubblicati dall'Istat, che si fermano a novembre, sembravano indicare una debole ripresa, ma personalmente non ne ero convinto; la mia lettura era di un “rimbalzo” dovuto all'assestamento dopo il crollo e un poco d’esportazioni, grazie alla crescita continua dei mercati della Cina e dei paesi asiatici.

Il mio scetticismo è legato ad elementi precisi:
  • la precarietà del lavoro, che impedisce la ripresa dei consumi interni, l'unica vera molla per garantire la ripresa;
  • la mancanza di un’innovazione diffusa nelle infrastrutture, nella burocrazia e nelle tecnologie applicate, che permetta di riportare la competitività delle nostre imprese in linea con la concorrenza mondiale;
  • la completa assenza di una politica economica del Governo in grado di ridare slancio all'economia.

Lo scetticismo che ho sempre nutrito è oggi confermato dalla Banca d'Italia che nel “Supplemento al Bollettino Statistico” di Dicembre n°4, Anno XXI - 17 Gennaio 2011 nelle “Valutazioni sulla situazione economica generale” scrive:

    Nel quarto trimestre del 2010 non hanno trovato conferma i progressi nelle valutazioni sul quadro congiunturale corrente registrati nell’inchiesta di settembre. La percentuale delle aziende che segnalano una condizione economica invariata rispetto al periodo precedente è rimasta ampiamente maggioritaria e pressoché costante (65,3 per cento contro il 66,1 di settembre); il saldo tra la quota d’imprese che hanno riportato giudizi di miglioramento delle condizioni economiche generali e quelle che ne hanno segnalato un peggioramento è tornato negativo (-16,1 punti percentuali; era positivo per 6,4 punti nell’inchiesta precedente). I saldi, negativi, appaiono più modesti nell’industria e nel Nord Est, più ampi per le imprese operanti nel settore dei servizi e per quelle aventi sede nel Centro e al Sud.
    Anche i giudizi sulle prospettive a breve termine appaiono meno favorevoli rispetto alla rilevazione precedente: la percentuale d’imprese che attribuiscono al miglioramento della situazione economica nel prossimo trimestre una probabilità superiore ad un quarto è pari al 18,6 per cento, 1,7 punti percentuali in meno di quanto rilevato a settembre; un maggiore ottimismo si registra tra le aziende con almeno 1.000 addetti.

Il dramma tutto italiano è che, per uscire decentemente da questa crisi, è assolutamente necessario che la politica faccia la sua parte. Nelle crisi precedenti, ad esempio quella del 1974 che comunque era solo in parte di sistema, l'Italia è uscita meglio degli altri stati perché esistevano ampi margini di manovra per le imprese: l'innovazione correva ancora, la tassazione non era eccessiva, il costo del lavoro era basso e, cosa non da poco, il sistema economico non era ingessato da troppi lacci e laccioli e la politica si occupava dei problemi degli italiani.

Oggi non è più così! Il costo del lavoro è elevato, anche se nelle buste paga, dopo le trattenute dell'IRPEF e dell'INPS, resta ben poco ai lavoratori, la politica non ha le capacità di ridurre le sue spese e, grazie al fatto di dover dare posto agli amici e sostenere i “clienti”, il fabbisogno pubblico, malgrado tutti gli sforzi di Tremonti e l'assurdo “Patto di stabilità”, che impedisce ai Comuni virtuosi, di usare i capitali disponibili, risulta incomprimibile. Il super ministro del Tesoro non è in grado di fare una politica di rilancio e con gran difficoltà riesce a mantenere il bilancio statale nei limiti richiesti dall'UE.

Le imprese sono sempre più in difficoltà e sempre di più tendono a spostare la loro attività in altri stati, dove questi problemi hanno minore peso: le ex colonie russe sono le privilegiate.
Un evidente esempio di quello che sta succedendo è quanto abbiamo visto con la Fiat. Marchionne pone le sue condizioni, che si possono riassumere in questo: governabilità dell’attività, riduzione dell'assenteismo a pioggia (N.d.R. non quello lungo dovuto a malattie), evitare lo “sciopero continuo”. Di fronte all'evidente, anche se ben comprensibile, ricatto: o così o vado in Serbia, i sindacati non hanno potuto trattare; i moderati hanno firmato, l’ideologica FIOM si è opposta senza però ottenere nulla se non la sua messa nell'angolo.

L'opposizione della FIOM è stata solo ideologica; i punti sempre ripetuti sono stati: “il comportamento di Marchionne è antidemocratico e antisindacale e questo la dice lunga. Credo che a Landini non abbia dato tanto fastidio le riduzioni dell'intervallo e le altre richieste di flessibilità, ma il fatto che il sindacato non poteva più dichiarare autonomamente lo sciopero e che chi non firma non ha più diritto di rappresentanza. Quest'ultima cosa però è stata inventata dai sindacati nei tempi d'oro per mantenere il monopolio della rappresentanza sindacale e non dalla FIAT.

In questa situazione, come in tante altre, un ruolo decisivo lo avrebbe potuto avere la politica, ponendo sul piatto alternative e mettendosi all'opera finalmente per regolamentare l'attività dei sindacati e le modalità con cui possono rappresentare i lavoratori, come prevede la Costituzione, ma che nessuno ha mai voluto fare.

La politica non ha fatto né questo né altro di quanto fosse necessario. Si occupa esclusivamente di problemi e riforme che interessano solo il Premier e qualcun altro e l'opposizione fa tanto fumo ma senza arrosto. Il PD, punto di riferimento del centro-sinistra ,litiga su tutto e oscilla tra l'idea d’avere amplessi canonici con Casini o laici con Vendola, ma nessuna, dico nessuna, proposta di una possibile politica di Governo.

Senza una politica che sostenga l'innovazione è impensabile uscire bene dalla crisi. Con questi politicanti, che hanno in testa solo il loro interesse, che parlano parlano, ma non mostrano d’avere idee utili, sarà difficile che qualcosa cambi, anche se si va alle elezioni.

Argomenti:   #crisi ,        #crisi economica ,        #crisi finanziaria ,        #economia ,        #italia ,        #opinione ,        #politica



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