REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno VII n° 2 FEBBRAIO 2011 PRIMA PAGINA


Non è stata una rivoluzione, ma Mubarak ha lasciato
Cairo: la rivolta “strana”
Che succede al Cairo? Quale è il ruolo dei militari? E degli USA? C'è la possibilità di un effetto domino? Quale il ruolo dell'estremismo islamico?
Di Giacomo Nigro


Leggendo i giornali e seguendo le altre fonti d'informazione non si comprendono i motivi per cui in Egitto il popolo ha abbracciato i soldati mandati in piazza per fermare la rivolta. Ma non è un militare Mubarak? E non sono stati tutti militari i "comandanti" di quella nazione così ligia al gendarme americano? Come mai quei militari non dicono chiaramente che sono contro il loro gran capo?

Mohamed El Baradei, ex presidente dell'agenzia atomica internazionale e contemporaneamente premio Nobel per la pace, tornato in patria per l'occasione, si è unito senza grande successo ai manifestanti in piazza, mentre Mubarak avrebbe incoronato il capo degli spioni locali. Il premio Nobel desidererebbe contattare al più presto l'esercito, che è la parte effettivamente dominante in Egitto; non se ne esce, i militari continueranno a governare ed affamare l'Egitto. “Le forze armate non useranno la violenza contro i cittadini, ma mettono in guardia contro atti che possano minacciare la sicurezza dello stato”. Questo l'intento comunicato dalla tv di stato egiziana. Sembrerebbe quindi che le forze armate giudichino "legittime" le rivendicazioni del popolo egiziano che protesta contro il governo.

El Baradei ha fatto appello anche ad una revisione della politica di Wasghinton: “E' necessario che inizi a costruire la fiducia con la gente, non con chi opprime la gente”, ha detto il premio Nobel ed ex direttore generale Aiea rivolgendosi al presidente Usa Barack Obama in un'intervista alla Cnn. Una “transizione ordinata” in Egitto per la Casa Bianca significa “un cambiamento” rispetto alla situazione attuale nel segno di “una accresciuta liberta” del popolo egiziano. “Ma non spetta agli Stati Uniti determinare la leadership in Egitto” ha precisato il portavoce, Robert Gibbs. Ma l'America è vista con molto sospetto dai manifestanti che in Obama non vedono un salvatore, bensì un leader di cui non ci si può fidare completamente. Non bruciano bandiere americane, né israeliane.

Ma chi sono coloro che protestano? Il cuore della protesta è formato dai giovani, con età compresa tra i 20 e i 35 anni. Studenti universitari, ma anche semplici lavoratori, disoccupati, poveri che vivono di espedienti. Attorno a questi giovani ci sono giornalisti e professionisti a cui si sono uniti medici, magistrati, insegnanti e, in parte, operai delle industrie. L'età di queste persone è molto varia e va dai 30 ai 65 anni. Nel cuore del movimento giovanile ci sono numerose donne, per lo più trentenni, laiche, non intrappolate nelle ideologie e credenze religiose delle loro madri. Inoltre tra i Fratelli musulmani la sezione femminile è molto attiva e lo si è visto anche a piazza Tahrir. Ci sono poi moltissime donne mobilitate tra i liberi professionisti, ma anche nelle classi medio-basse.

Da quando la piazza è stata conquistata si sono uniti in maniera massiccia i sostenitori dei Fratelli musulmani, uomini e donne, lavoratori di classi medie e medio-basse. Vince il modello nazionalista. Marginale finora il discorso islamista. Il loro modello è essenzialmente quello nazionalista. Il collante della loro mobilitazione è l'essere egiziani, “al di là delle differenze sociali, confessionali e geografiche”. Se ciò è ora la loro forza, sembra anche il loro limite, perché dietro lo slogan dell'essere “tutti egiziani” non emerge ancora un progetto chiaro per il dopo-Mubarak.

A Tahrir ci si augura un effetto domino nel resto del mondo arabo, ma la loro lotta è solo egiziana. La situazione egiziana non può essere cioè connessa con quanto è accaduto in Tunisia, anche se i manifestanti dichiarano di aver preso vigore da quella rivolta.

Finora la mobilitazione sembra aver annullato i localismi e gli attriti tra sunniti e copti. Emblematico il fatto che in piazza Tahrir i copti proteggessero i musulmani durante la preghiera islamica e i musulmani proteggessero i copti durante le preghiere cristiane.

Intanto in Iran si tenta di approfittare della situazione; infatti il rovesciamento dei regimi attualmente al potere in diversi Paesi arabi, tra cui l'Egitto, porterebbe a un miglioramento dei loro rapporti con l'Iran e alla creazione di un Medio Oriente islamico e potente; capace di opporsi a Israele.

I grandi movimenti di popolo mirano, secondo gli iraniani, a mettere fine alla dipendenza dalle grandi potenze. Teheran ha rotto le relazioni diplomatiche con Il Cairo oltre 30 anni fa, dopo la rivoluzione islamica iraniana, per protesta contro i trattati di pace di Camp David, firmati dal presidente egiziano Anwar Sadat con Israele.

Mubarak ha ceduto probabilmente più alle pressioni dell'Amministrazione USA e al mancato appoggio dell'Europa che a quelle della piazza, eppure le aveva tentate tutte, anche con aperture alle opposizioni. In effetti i ministri degli Esteri della Ue hanno lanciato un appello alle autorità egiziane affinché si tengano libere elezioni. Il consiglio dei ministri degli Esteri della UE ha chiesto alle autorità egiziane di ''intraprendere un'ordinata transizione attraverso un governo di largo consenso che porti ad un processo genuino di sostanziale riforma democratica, nel pieno rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani e delle libertà fondamentali, spianando la strada allo svolgimento di libere e giuste elezioni". Il futuro è naturalmente nelle mai degli USA che non possono assolutamente perdere un'alleanza così strategica in quella zona nevralgica per la geopolitica.

Gli eventi delle ultime settimane in Tunisia e Egitto e di queste ore in Iran, Algeria e Libia, sono stati accostati da alcuni al vento rivoluzionario che portò nel 1989 alla caduta dei regimi comunisti dell'Est europeo. In realtà quanto sta accadendo nel Nord Africa è qualcosa che sembra suggerire un clima di vera e propria sfida e rivoluzione contro i regimi autoritari che hanno guidato i loro Paesi per decenni, lasciando la popolazione in condizioni di miseria e privi delle libertà fondamentali, ma i movimenti appaiono privi di una inequivocabile spinta verso la democrazia.

Tutto l'Occidente guarda con preoccupazione ai fatti magrebini, specialmente l'Italia, che è già interessata da un fenomeno migratorio di rilevanza umanitaria. I prossimi giorni ci diranno se le rivolte avranno prodotto reali mutamenti nello scacchiere nordafricano.

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