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 Anno VII n° 3 MARZO 2011    -   TERZA PAGINA


Presentazione dell’artista
Antonio Nunziante

Di Cristina Acidini


  Antonio Nunziante: Attesa
Mi avevano incuriosito, non lo nascondo, certi aspetti del lavoro di Antonio Nunziante dedicato al Caravaggio nella recentissima mostra di Castel Sismondo a Rimini: la concentrazione su un solo dipinto del maestro lombardo, il “San Francesco che riceve le stimmate” del Wadsworth Atheneum di Hartford, Connecticut; il rapporto complesso tra l’artista e il capolavoro ispiratore, fatto di brani di copia «fedele» - che fedele poi non è - ma anche e soprattutto di estrazioni, reinvenzioni, alterazioni, esaltazioni in un instancabile esercizio combinatorio dentro e fuori dal quadro, smontando e rimontando, ingrandendo e trasformando i protagonisti e i connotati ambientali della lirica estasi notturna.
Al virtuosismo che il Caravaggio aveva mutuato dal grande Raffaello, di convocare in uno stesso quadro tre fonti di luce- naturale (il riflesso lunare), artificiale (la fiamma), soprannaturale (il chiarore eburneo della figura angelica) - Nunziante ne aggiungeva del suo nelle tante varianti, ora inventando una stella cadente ad animare l’oscurità indistinta del cielo, ora suscitando un riflesso sanguigno di tramonto in alto a destra, a far da fondale a un albero di cui sorprende lo sviluppo scheletrico e gesticolante. Un avvicinamento, quello di Nunziante al Caravaggio, colmo di trepida intelligenza e di rispettosa inventiva: eppure anche sottilmente animoso, nel ripercorrere il medesimo soggetto attraverso il filtro della propria espressività e della propria tecnica, vale a dire senza rinunciare al disegno (e quindi in questo prendendo le distanze dal modello secentesco) e anzi rivelando di tela in tela la sua sapienza grafica, base della pittura tornita e cerebrale che gli conosciamo.

Con tanto maggior aspettativa ho accolto la notizia di questa mostra fiesolana, in cui Nunziante fa sua l’ulteriore sfida di esporre accanto a due sommi artisti, che a modo loro hanno segnato la pittura dell’Ottocento e del Novecento: Arnold Böcklin e Giorgio de Chirico, l’uno visionario nume tutelare di Fiesole, l’altro padre della Metafisica (che proprio a Firenze fu da lui concepita e generata un secolo fa), entrambi predecessori ideali di Nunziante che ha inteso, grazie al raffinato progetto espositivo di Giovanni Faccenda, importarne il magistero all’interno del proprio universo artistico e lì svilupparlo e continuarlo in una sorta di coltura in serra di un’essenza esotica ma adattabile.

Che l’arte dei nostri predecessori sprigioni la sua potenza ispiratrice nelle creazioni degli artisti d’oggi, è per me convinzione salda e consolatrice. Se così non fosse, troverei meno senso nell’aprire le porte dei musei, nell’organizzare le mostre, nel moltiplicare gli studi e le pubblicazioni: poiché la conoscenza, l’ammirazione, la stessa salvaguardia del retaggio del passato non sono fini a se stesse, bensì traggono la motivazione più alta e nobile dalla pur fragile promessa di futuro che esse in tal modo racchiudono e proteggono, come si racchiude e si protegge nel cavo della mano la fiammella d’una candela quando il vento notturno cerca brutalmente di spengerla.
I quadri che Nunziante ha dipinto ripensando a Böcklin e rielaborandolo nei codici figurativi della metafisica dechirichiana sono rassicuranti in questo senso: quel messaggio colto ed arcano non si è perduto, ma, sussurrato da una voce diversa, sopravvive manifestandosi in stupefacenti metamorfosi.

Della sua pittura più nota, Nunziante serba il talento per gli interni nitidamente stereometrici, profilati di luci e ispessiti di ombre, dove ogni oggetto - un panno, un libro, una conchiglia, un quadro impacchettato visto da tergo - spande lente risonanze simboliche paragonabili ai silenziosi cerchi suscitati nell’acqua da un sasso. Qui la sua pittura esatta coniuga la Metafisica con l’Iperrealismo, caricandosi dell’antico potenziale illusionistico del trompe-l’oeil. Al tempo stesso, nelle vedute di mari e campagne s’addensa ora una pittura sfrangiata, corrusca, terrosa nei paesaggi e torbida nelle nubi, con sbattimenti di luce che s’illividiscono o si affocano: una pittura in cui le memorie del Seicento, caravaggesco ma non soltanto, impreziosiscono le inquadrature oniriche con impasti cremosi e fili scintillanti.

In queste stanze e cieli in ingannevole rapporto, abitati da ombre, sono evocati talora i personaggi dei miti greco-romani, ripensati e riscritti per immagini. Certo, il loro ritorno – l’ennesimo – è investito da un ulteriore arricchimento simbolico per il solo fatto di transitare dal pennello di Nunziante, uomo del XX e del XXI secolo. Come nella novella paradossale dedicata da Jorge Luis Borges a “Pierre Menard autore del Chisciotte” (1939), dove lo scrittore immaginario si sobbarca l’impresa di riscrivere parola per parola il capolavoro di Cervantes diventandone lui l’autore, anche l’adesione letterale a un testo preesistente comporta un suo ispessimento concettuale, grazie allo stratificarsi dei secoli e degli eventi intercorsi tra l’originale e la riscrittura. «Il testo di Cervantes e quello di Menard sono verbalmente identici, ma il secondo è quasi infinitamente più ricco. (Più ambiguo diranno i suoi detrattori; ma l’ambiguità è una ricchezza)».

In questi ultimi quadri di Nunziante, al repertorio iconografico ereditato dall’Antico si coniuga un nuovo elemento mitologico, un’icona che vi si aggiunge con potenza e con dignità: l’Isola, estratta dal capolavoro di Böcklin e, con la consueta attitudine combinatoria, rimodellata, ridotta, rinnovata, svuotata, diversamente riempita dal nostro pittore. Restano i muri e le rocce, le acque e talora gli alberi. Eppure l’Isola si sta chiudendo in se stessa, si contrae in torre semidiruta, può perfino diventare minuscola in mano a Odisseo, pegno di nostalgia insulare, souvenir d’Itaca dolce e doloroso.

Una lunga feritoia fa filtrare luci impossibili nell’Isola-torre. L’acqua non la circonda lacustre o fluviale ma invece, sorgiva, scaturisce dal suo interno per spandersi sui gradini trasformati in cascatelle allagando gli interni vuoti, tracimando su piattaforme, inondando baie e scogliere.
Gallerie d’alberi in prospettiva, all’interno dell’Isola-torre, invitano a passeggiate da brivido. Tutta l’impeccabile tecnica di Nunziante (è lui stesso che vediamo al lavoro, accovacciato su uno scoglio?) è messa al servizio di questi pensieri, pronti a sciogliersi in visioni, a evaporare in sogni, aggrumandosi e scomponendosi come nuvole in movimento, eppure bloccati nell’implacabile lucidità di una pittura che non lascia niente al caso.

Si può star certi che amicizie artistiche unilaterali e postume di questa portata apriranno altre strade, e che Nunziante le vorrà percorrere rinnovandosi ancora. Sarà un percorso di qualità e di fascino, che andrà ad arricchire la complessità dell’arte del terzo millennio.


Cristina Acidini è Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze e, ad interim, dell’Opificio delle Pietre Dure

Vedi anche in eventi
“Isole del pensiero”. Böcklin, de Chirico, Nunziante
Fiesole, Palazzo Comunale, Sala del Basolato, dal 16 aprile al 19 giugno 2011
in Terza pagina:
Note biografiche di Natalia Sassu Suarez:
Arnold Böcklin
Giorgio de Chirico
Antonio Nunziante



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