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 Anno VII n° 3 MARZO 2011    -   RECENSIONI



VECCHIONI Considerazioni su Sanremo e il Professore

Di Silvia Sanna


Eleonora, figlia di facebook, ci fa sapere che era addirittura convinta che Vecchioni fosse morto.

Conoscendo il carattere istintivo del Professore, me lo immagino ad armeggiare tra i paesi bassi, in un gesto ironicamente scaramantico. Ché lui non ha mezzi termini e i pensieri escono fluidi dalle labbra e vanno su carta.

E' un poeta dolcemente scorbutico, Vecchioni, con quello sguardo severo da professore di Lettere che non ti fa passare un errore, ma che ti insegna che da ogni sbaglio c'è da imparare. E quando te lo ritrovi sul palco del teatro Ariston di Sanremo, a primo acchito pensi che anche lui stia commettendo un errore.

Da decenni, ormai, non sento Musica a Sanremo, se non a sprazzi: una scatola vuota da cui ogni tanto esce, a sorpresa, qualcosa di buono. Per lo più, però, vien fuori musica sorda, cabaret, vallette imbalsamate, dati di ascolto falsati dalle polemiche, gaffes e tanti sbadigli.

Se quest'anno non fosse stato per due poeti - Benigni e Vecchioni - la scatola sanremese sarebbe rimasta quello che è: una scatola, appunto. Neanche l'immaginazione del Piccolo Principe sarebbe stata in grado di riempirla d'interesse.

E te lo ritrovi lì, il prof. Roberto Vecchioni, quello che insegnava Lettere: intimidito ed emozionato come un alunno alla cattedra per l'interrogazione. Uno dei pochi che riesce ancora a farmi fare la fila alla cassa di un negozio di musica (di musica: non di prosciutti, mutande, playstation e anche musica. Ma solo di musica) con il sorriso sulle labbra nonostante i prezzi esagerati dei cd. Confesso di aver avuto paura, quando l'ho visto su quel palco: uno smeraldo in mezzo al pietrisco.

Poi la eco delle parole dell'altro mio poeta preferito, Fabrizio De André, mi ha ricordato che dai diamanti non nasce niente e da quel niente – che era il Festival fino a quel momento – è esploso di luce propria il prof. Vecchioni in tutta la sua struggente poesia.

Chiamami ancora amore, scritta in una notte, è stato quel colpo di fulmine che all'età di trent'anni continua a stordirmi, di tanto in tanto, nell'arte come nella vita. Non c'è stato neanche bisogno di sentire le altre canzoni, per decretare il mio vincitore: quel brano, come solo Vecchioni sa fare, fa lacrimare per la sua dolcezza. Così per la prima volta dopo anni (e soprattutto dopo gli ultimi anni) a Sanremo ha vinto la Buona Musica, che già se avesse vinto semplicemente, banalmente, la Musica, sarebbe stata comunque una novità. Vedere Vecchioni ricoperto da coriandoli di poesia mi ha fatto sperare in una svolta: che gli italiani stiano iniziando – a partire dalla musica e quindi dalle emozioni - a differenziare il reale dal reality?



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