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Considerazioni su 150 di storia

1861 Unità d'Italia! 2011 divisione?

Si diceva: “Fatta l'Italia ora si devono fare gli italiani”, ma oggi sembra che sia il contrario. Cosa è successo, in sintesi, dallo sbarco dei garibaldini in Sicilia all'Italia di oggi

Di Giovanni Gelmini

150 anni fa nasceva il Regno d'Italia; tanti anni sono passati. L'Italia nasce da un’operazione che ha unito sotto la monarchia Savoia non un popolo diviso tra Stati diversi, com’è stato per la Germania dopo la caduta del muro di Berlino, ma popoli diversi, con diversi modi di concepire lo stato, la giustizia e il modo di vivere; questo da una larga parte della classe che controllava il potere locale, l'aristocrazia, fu vissuto come un’invasione.

I piemontesi probabilmente si trovarono di fronte ad un fatto che aveva superato le loro aspettative: un Regno di Savoia troppo allargato, che presentava problemi enormi, che affrontarono come poterono, non sempre adottando le soluzioni migliori. Dopo un po' di decenni c'era davvero il Regno d'Italia, ma gli italiani no.

Andiamo alla situazione socioeconomica esistente nel 1861, perché permette di comprendere dove erano le differenze tra i vari territori e quali furono le conseguenze di questa “unità” fatta di forza, dai garibaldini con in mente un’utopia ben diversa dalla realtà

Denis Mack Smith così ci descrive lo stato dell'Italia al momento dell'unità nella Sua “Storia d'Italia 1861-1958” (1959 Ed. Laterza):

    Il Piemonte era politicamente unito alla Sardegna e dal 1815 possedeva pure l'importante centro marittimo di Genova, che era il grande rivale del porto di Trieste, appartenente all'Austria. Più ad oriente, al centro della vasta pianura lombarda, era la grande città di Milano, che doveva diventare poi il centro finanziario, commerciale e artistico del nuovo regno. Felicemente situata all'incrocio delle vie commerciali, Milano era in stretto contatto col mondo transalpino. La sua popolazione era attiva e dotata di senso pratico, e la pianura lombarda, bagnata dal principale fiume italiano, conteneva il più fertile e popoloso territorio agricolo del regno.
    Per quanto la Lombardia fosse stata strappata dal Piemonte all'Austria nel 1859, soltanto nel 1866, quest'ultima cedette la confinante regione del Veneto, che essa aveva occupato per settant'anni.

    Immediatamente a mezzogiorno, si stendeva la regione dell'Emilia e Romagna, che gravitava sui centri di Bologna e Ravenna. Al di sotto di questa, l'Umbria e le Marche, strappate nel 1860 dalle truppe piemontesi al Papa.
    Ad ovest la Toscana, che pure si unì nel 1860 al regno unitario in formazione. La Toscana, un granducato con Firenze per capitale, era stata per secoli il maggiore centro culturale della penisola, e Livorno era un'importante città commerciale e cantieristica.
    A sud della Toscana si stendeva la regione sacra di Roma che il Pontefice, dopo aver perduto gli altri suoi domini, governò fino al 1870.

    Il Sud assolato e la Sicilia formavano una regione a parte, e ciò sia per ragioni storiche e climatiche che per il carattere dei loro abitanti. Questa differenza fra Nord e Sud era radicale. Un contadino della Calabria aveva ben poco in comune con un contadino piemontese, mentre Torino era infinitamente più simile a Parigi e Londra che a Napoli e Palermo; e ciò in quanto queste due metà del paese si trovavano a due livelli assai diversi di civiltà.
    … di fatto la maggior parte dei meridionali vivevano nello squallore, perseguitati dalla siccità, dalla malaria e dai terremoti. I Borboni, che avevano governato Napoli e la Sicilia prima del 1860, erano stati tenaci sostenitori di un sistema feudale colorito superficialmente dallo sfarzo di una società cortigiana e corrotta. …
    Le strade erano poche o non esistevano addirittura ed era necessario il passaporto anche per viaggi entro i confini dello Stato.

Non pensiamo ad un nord industriale ed ad un sud agricolo. Rispetto alle altre potenze europee, l'industria era scarsa anche nel nord, ma c'era una differenza sostanziale: una cultura diversa.

Partiamo proprio dall'agricoltura, che era la principale fonte di reddito. Al nord troviamo campi ben coltivati, ben irrigati e produttivi, quindi un'agricoltura curata che aveva come fulcro la mezzadria, cioè l'agricoltore ed il proprietario terriero diventavano soci: all'agricoltore il compito di gestire il fondo e poi il prodotto sarebbe stato suddiviso a metà tra proprietario e conduttore; questo stimolava l'agricoltore a far rendere bene il fondo.

Al sud invece abbiamo il latifondo, in teoria gestito direttamente dal proprietario, in genere un aristocratico, in pratica lasciato nelle mani d’intermediari che tendevano ad avere il massimo col minimo sforzo, cioè a sfruttare il terreno distruggendolo, senza pensare al futuro. In una situazione di non abbondanza d'acqua, non furono applicati modi colturali per proteggere il suolo, non fu adottata il sistema delle rotazioni colturali e si procedette ad un continuo disboscamento per vendere il legno ai cantieri navali e per produrre carbone. Il terreno era quindi franoso e le acque stagnanti in pianura, infestate dalle zanzare, rendevano invivibili i territori migliori.

Al nord esisteva inoltre una borghesia forte e attiva che agiva con l'idea del “profitto”, che si occupava essenzialmente d’industria, artigianato e commercio, mentre al sud, in special modo nel Regno delle due Sicilie, la struttura sociale era di tipo strettamente feudale, ed alla base vi era il concetto di “rendita”.

Le ferrovie presenti in Italia nel 1861
Ora vi parlo di un'altra forte differenza tra il Nord Italia ed il Centro Sud: il sistema ferroviario.

Al nord, specialmente per opera dell'Austria, vi erano molte linee ferroviarie che, seppure gestite da compagnie diverse, formavano un vero e proprio sistema, che collegava tutte le principali città. Dalla cartina si può chiaramente vedere che già esisteva un collegamento Torino- Milano – Venezia -Trieste, con il collegamento con Vienna attraverso il Brennero, inoltre troviamo la Torino – Alessandria -Piacenza - Bologna e la Milano – Genova. È evidente che questo ha poi facilitato il decollo industriale del nord, anche se c'è da dire che all'inizio del '900 il sistema ferroviario era diffuso capillarmente in tutto il Regno, ma questo non portò particolari benefici al sud.

Allora cosa fu che non permise al sud di sviluppare un'industria come al nord? Evidentemente si devono cercare altri motivi.
Forse mafia e camorra?
Si, certamente hanno avuto un peso notevole.

Vediamo come sono nate, perché mafia e camorra sono due prodotti dell'Unità d'Italia, prima non esistevano, anche se evidentemente c'era una cultura di base che poi ne ha permesso lo sviluppo.

Distinguiamo innanzitutto mafia e camorra dal banditismo, perché sono due fenomeni diversi.

È vero che il banditismo è un fenomeno preesistente all'Unità d'Italia, ma si sviluppò dopo lo scioglimento delle truppe borboniche. Gli ex-militari, osteggiati dai liberali giunti al potere, si organizzarono in “bande”; queste si configurarono come “insorti” e ricevettero la benedizione dell'aristocrazia, spodestata dai piemontesi.
Nel 1862 - scrive Aldo Albonico nella Storia D'Italia (Deagostini, 1981)- le forze reazionarie contavano più di 81.000 aderenti, di cui 17000 armati. Le rimesse di denaro dal comitato di Roma furono sempre scarse, così che i briganti dovettero vivere sull'ambiente. Come già sottolineato, all'inizio le grosse bande colpirono i soli proprietari liberali e cercarono di mantenere il favore della popolazione: impossibilitati presto a controllare i centri abitati, e le popolazioni rurale, meglio sorvegliate dalle forze unitarie, i briganti furono costretti ad accentuare i caratteri propriamente banditeschi.

Passando il tempo, gli aristocratici smisero di appoggiare i banditi e il fenomeno, seppure con difficoltà, fu stroncato dalle forze del Regno d'Italia.

Diversi sono i fatti che portarono alla nascita della camorra. Dopo la caduta dei Borboni a Napoli si pose il problema del controllo del territorio. Chi era arrivato dal Nord non sapeva come fare, non conosceva nulla di Napoli; vennero così messi nei ranghi della polizia “faccendieri” che poi, organizzatisi, diedero vita alla Camorra.(vedi Storia della Camorra di Francesco Barbagallo).
La Camorra non fu quindi appoggiata dall'aristocrazia borbonica e questa non si diede la faccia di “difensore della società”, come invece fece la mafia, che iniziò con questo apparente motivo ad operare.

La camorra fu arrogante con gli aristocratici e, forse per questo, il pugno di ferro del fascismo, che ovviamente non sopportava organizzazioni violente al di fuori dei suoi fasci, riuscì a disperdere le famiglie camorriste e a cancellare il fenomeno. In Sicilia invece, se la Mafia non fu appoggiata direttamente dall'aristocrazia, non fu nemmeno contrastata, e il Prefetto di Ferro inviato a Palermo non riuscì a smantellarla.

L'arrivo degli alleati alla fine della seconda guerra mondiale provocò la rinascita della camorra e il rafforzamento della mafia.

Entrambe queste due organizzazioni storiche, come quelle che sono nate dopo la fine della seconda guerra mondiale, hanno una caratteristica comune e di base: controllare la politica e di conseguenza l'attività dello Stato, non per fare il bene della collettività, ma per lucrare e poter agire liberamente.

Ora è proprio la presenza di queste organizzazioni criminali la principale causa, ma non l'unica, che ha impedito al meridione di avere uno sviluppo paragonabile al nord. Pensiamo alla quantità di soldi che sono stati investiti con la Cassa del Mezzogiorno: i risultati sono stati assai modesti proprio perché venivano utilizzato malamente.
Vogliamo un bell'esempio?
Eccolo, la follia di distruggere la piana di Gioia Tauro, una delle poche terre agricole di grande qualità, per realizzare un impianto che si sapeva già che non poteva essere utile: un’acciaieria, quando l'Europa aveva ormai un eccesso di capacità produttiva. La piana fu distrutta e l'acciaieria non si fece, ma chi doveva guadagnaci ci guadagnò!

La Banca d'Italia ha realizzato qualche anno fa uno studio "Quali politiche per il Sud?" Spaziodi Magazine, Settembre 2009; Draghi ne ha fatto una sintesi ( Intervento di Draghi: "Quali politiche per il Sud?" Dicembre 2009) e definisce “allarmante” lo scarto “di qualità fra Centro Nord e Mezzogiorno nell’istruzione, nella giustizia civile, nella sanità, negli asili, nell’assistenza sociale, nel trasporto locale, nella gestione dei rifiuti, nella distribuzione idrica.” e considera un caso “emblematico” quello della sanità perché “il divario deriva chiaramente dalla minore efficienza del servizio reso, non da una carenza di spesa. - più avanti - Grava su ampie parti del nostro Sud il peso della criminalità organizzata. Essa infiltra le pubbliche amministrazioni, inquina la fiducia fra i cittadini, ostacola il funzionamento del libero mercato concorrenziale, accresce i costi della vita economica e civile.”

Uno degli elementi di divaricazione nord -sud non è quindi “lo sfruttamento da parte del Nord ricco”, come sostengono in molti, ma un vero e proprio gap culturale. La gente del sud che ha voluto affermarsi è emigrata, perché al sud non aveva la possibilità di farlo (N.d.R. parlo di chi è entrato negli apparati produttivi, non di chi è entrato nella Pubblica Amministrazione).

Il peso del sud nella politica e nella pubblica amministrazione è la causa dell'affermazione, come reazione, della Lega Nord e la forza acquisita dalla Lega potrebbe essere la causa oggi della nascita dei movimenti neo-borbonici. Entrambi questi movimenti sembrano scontrarsi con l'Unità d'Italia e cercare di portare al ritorno degli stati ottocenteschi, ma entrambi partono da un presupposto sbagliato.
Se alla fine della seconda guerra mondiale l'Italia era molto diversa tra nord e sud sia economicamente che socialmente, oggi non è più così.

Da un punto di vista sociale, la televisione e la scuola media obbligatoria hanno colmato moltissime differenze culturali: i giovani d’oggi parlano ovunque l'italiano, hanno gli stessi modelli di vita, le aspirazioni sono identiche ed è difficile separare quello che, anche da un punto di vista etnico, è oggi ben mischiato e integrato.

Anche il problema “mafie” sembra non separare più: oggi anche il nord ha la presenza ben diffusa e profonda delle mafie e quindi non può più guardare dall'alto il sud.

Non mi sembra quindi opportuno sostenere oggi il separatismo, ma ci si deve invece rimboccare le maniche per rinnovare il modo di fare politica ed emarginare la criminalità cosa non facile quando è così diffuso l'uso di droghe, così come il ricorso ai “favori” per risolvere i propri problemi in qualunque regione italiana.
Si deve lavorare per cambiare perché, a differenza del 1861 oggi gli Italiani ci sono, ma non c'è più lo Stato.


Oltre ail libri citati, si consiglia anche la lettura di “Il Sud nella storia d'Italia” antologia della questione meridionale a cura di Rosario Villari, ed Laterza 1961



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