Signor Presidente, poiché abbiamo già illustrato al Senato gli argomenti che riproponiamo in questa sede cercherò di non discostarmi molto da quanto già dichiarato nell'altra Camera e pertanto signor Presidente, onorevoli senatori, la mia comunicazione... (Commenti)
Chiedo scusa, signor Presidente, onorevoli deputati...
PRESIDENTE. Non si discostava, appunto...
IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. La mia dichiarazione sarà volutamente pressoché uguale, letteralmente uguale a quella del Senato, anche se per la verità è mia abitudine non leggere ma parlare a braccio. La comunicazione del Ministro Frattini è stata largamente esaustiva, con argomenti che condivido pienamente e che mi esimono dal fare ripetizioni. Al quadro delineato dal Ministro Frattini cercherò di fornire opportune integrazioni in larga parte più di specifica pertinenza del Ministero della difesa. Un dato che non è stato forse sottolineato con sufficiente rilievo è quello della straordinaria accelerazione dei tempi operativi che è avvenuta in questa vicenda come mai era successo nelle pur molteplici crisi internazionali degli ultimi anni. Dal momento in cui si è posta l'eventualità di un intervento internazionale al momento in cui è poi arrivata una risoluzione, e questa è poi diventata operativa, è passato un tempo così breve come mai era capitato in precedenti occasioni.
Quali sono i fattori che hanno determinato tale accelerazione? In primo luogo ha risposto l'accelerazione all'esigenza di fermare i combattimenti in atto in quella che era divenuta una vera e propria guerra tra le fazioni contendenti di una Libia spaccata in due, con gravissime ripercussioni sulla popolazione civile; l'intervento si è reso inevitabile quando la rotta del fronte anti Gheddafi era ormai costretta nella zona di Bengasi, e già si immaginava la possibilità di azioni veramente pesanti per le popolazioni civili, atteso che anche il figlio di Gheddafi aveva dichiarato che sarebbero stati presi casa per casa, mentre il Segretario di Stato americano definiva le violenze atrocità inenarrabili.
Dall'altro lato, l'accelerazione ha influenzato negativamente la predisposizione delle misure organizzative necessarie a garantire la migliore esecuzione dell'intervento internazionale. Fra questi due opposti fattori non vi è alcun dubbio che il primo, quello della necessità di intervenire prontamente, era prioritario, appunto in termini di tempo e di importanza. D'altra parte, la stessa risoluzione, la n. 1973, richiamava, innanzitutto, la protezione della gente libica. Se è lecito chiedersi se questa risoluzione, che è quella che ha, poi, dato legittimazione all'intervento, è stata utile, noi rispondiamo di sì. Quella che poteva diventare una strage di popolo si è arrestata ed i combattimenti sono, poi, diventati scontri tra le forze in armi di due schieramenti, forze governative e forze di opposizione. Se volessimo fare un macabro, lugubre calcolo delle vittime, sicuramente diremmo che, dal 18 marzo in poi, le vittime, se ci sono state - e, ahimè, ci sono state -, sono state in numero inferiore rispetto a quanto era successo prima e, soprattutto, rispetto a quanto sarebbe successo se fosse mancato l'intervento della comunità internazionale.
Come è arrivata Italia all'intervento? Qualcuno ha detto che vi è arrivata troppo presto, qualcun altro, invece, ha lamentato che l'intervento della comunità internazionale e dell'Italia stessa è arrivato troppo tardi. In realtà, noi riteniamo che mai come in questa occasione il Governo ha scelto i tempi giusti ed adeguati alla necessità di intervenire immediatamente sul piano umanitario. In questo, per la verità, il Governo ha avuto il conforto - devo dirlo - dell'opinione della stragrande maggioranza della Camera e del Senato, espresso con il voto nelle Commissioni congiunte esteri e difesa. Aggiungo che il nostro Paese, prima ancora della risoluzione dell'ONU, è stato il più impegnato nell'evacuazione di cittadini stranieri e di cittadini italiani (1.329). Si pensi che abbiamo evacuato un numero di cittadini stranieri superiore di quattro volte a quello dei cittadini italiani. Come ha ricordato il Ministro Frattini, il nostro Paese è stato il primo a mandare aiuti a Bengasi, anche alla frontiera con la Tunisia, fornendo assistenza sanitaria, trasportando e riportando a casa egiziani e persone di molti altri Paesi. Complessivamente, abbiamo effettuato 11 missioni aeree - parlo di missioni di solidarietà, di aiuto e di evacuazione - ed abbiamo mandato due unità navali per il trasporto di aiuti umanitari. Ancora siamo stati i primi ad offrire, sempre nella fase precedente alla risoluzione, le nostre basi di Amendola, Gioia del Colle, Sigonella, Aviano, Trapani, Decimomannu e Pantelleria.
Quotidianamente mi è capitato di parlare con i Ministri degli esteri, non solo dei Paesi europei, ma anche extraeuropei, per rispondere alla loro richiesta di utilizzo delle nostre basi che sono sempre state concesse con la precisa avvertenza che potessero essere utilizzate solo per scopi umanitari. D'altra parte, non avremmo potuto immaginare nessun altro tipo di intervento senza un preventivo via libera degli organismi internazionali, come impone, peraltro, la nostra Costituzione. Quando le Nazioni Unite, superando difficoltà insite nelle proprie modalità di decisione che, come sapete, prevedono la possibilità del diritto di veto per alcune nazioni, hanno ottenuto il sì della larga maggioranza del Consiglio di sicurezza, anche se con l'astensione di Russia e Cina - che avrebbero, appunto, potuto ricorrere al diritto di veto -, l'Italia si è trovata davanti alla scelta di partecipare allo sforzo della comunità internazionale teso a salvaguardare, come imponeva la risoluzione, l'integrità fisica del popolo libico e di farlo senza indugio. L'alternativa sarebbe stata quella di non partecipare, soluzione, a mio avviso, impensabile in quelle condizioni. E non certo la nostra partecipazione è stata mossa dalla ricerca di ricavare particolari vantaggi, ma da una situazione che si è improvvisamente e imprevedibilmente venuta a creare dopo che tutto il nord Africa si era infiammato, contagiando anche la Libia. Non poteva esserci nessun vantaggio, né ce ne può derivare da questa vicenda in cui l'Italia è, semmai, dovuta intervenire con la doverosa attività di solidarietà e di intervento umanitario per cercare di limitare le conseguenze negative per i nostri interessi nazionali.
Il Governo ha convocato, lo voglio ricordare, una riunione la mattina del 18 marzo e ha deciso che l'unica soluzione da adottare fosse quella di dare mandato ai Ministri degli esteri e della difesa di recarsi dinanzi al Parlamento, alle Commissioni esteri e difesa riunite, in quanto peraltro le Aule di Camera e Senato non erano convocabili con immediatezza, per prospettare l'opportunità di una adesione alla coalizione che si andava formando in esecuzione del deliberato delle Nazioni Unite per proteggere le popolazioni della Libia. Non vi era dubbio, come ci ha indicato il Parlamento attraverso il voto unanime dei presenti con la non partecipazione al voto della Lega Nord e dell'IdV, che quella scelta fosse, per così dire, giusta ma anche obbligata: non solo a rendere disponibili le nostre basi - questa sì una scelta determinante - perché le nostre basi apparivano e sono indispensabili per l'applicazione di ciò che la comunità internazionale ci chiedeva, ma anche per una nostra partecipazione attiva, una partecipazione per la quale non c'è certo stato entusiasmo, ma neanche esitazione: è stata una scelta logica quella di dare un contributo concreto e attivo sia pure limitato in confronto all'impegno di altri Paesi della coalizione. Abbiamo dunque aderito alla coalizione e fornito le basi, esattamente come ci ha indicato, nel pomeriggio del 18 marzo scorso, il Parlamento con il voto unanime dei membri presenti delle Commissioni esteri e difesa, salvo le astensioni di cui vi ho detto. L'indomani mattina, a Parigi, il nostro Presidente del Consiglio ha partecipato ad una riunione nel corso della quale è stata presa la decisione di formare la coalizione. In quell'occasione è stato votato un documento con il quale si decideva di agire congiuntamente e attivamente per rendere concrete le prescrizioni della risoluzione n. 1973.
Subito dopo il Ministro degli esteri ha provveduto in quell'occasione a notificare al Segretario generale dell'ONU nonché alla Lega Araba la nostra adesione alla coalizione della quale facevano parte e fanno parte ad oggi Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Spagna, Canada, Danimarca, Belgio, Grecia (tutti Paesi appartenenti alla NATO) ai quali si aggiunge il Qatar.
Successivamente alla notifica - ecco gli elementi di pertinenza della Difesa - abbiamo deciso quale assetti trasferire sotto l'autorità della coalizione che ha come comandante l'ammiraglio Locklear che unisce in sé molte funzioni di comando NATO e USA e che per la specifica esigenza agisce in qualità di comandante americano delle forze della coalizione. La domanda chi comanda oggi ha questa risposta. Quando avverrà il passaggio del comando delle operazioni della coalizione alla NATO - cosa che come sapete e come vi ha appena illustrato il Ministro Frattini - è stata richiesta, voluta e ottenuta dall'Italia, egli presumibilmente ne diverrà automaticamente il titolare utilizzando in questo caso tuttavia la struttura militare dell'alleanza.
Nell'ambito dell'attuale struttura della coalizione il coordinamento delle operazioni e degli assetti nazionali è stato costantemente garantito dalla presenza di ufficiali di staff italiani presso i comandi multinazionali, comando interforze sulla nave Mount Whitney, comando delle operazioni aeree di Ramstein.
Per quanto riguarda la catena di comando e controllo la posizione italiana, sostenuta peraltro dalla quasi totalità dei Paesi dell'alleanza, ha consentito di giungere rapidamente alla decisione assunta ieri dal Consiglio atlantico per affidare la gestione dell'embargo alla NATO. Al riguardo riconfermo quanto già apparso sugli organi d'informazione, cioè che il comando tattico di questa operazione sarà posto con ogni probabilità nelle mani dell'ammiraglio Veri, nelle sue funzioni di comandante navale NATO di Napoli, a sua volta alle dipendenze dell'ammiraglio Locklear. Anche per quanto riguarda la no fly zone riteniamo che un accordo per l'assunzione di responsabilità da parte dell'alleanza possa essere raggiunto in tempi brevi. Sono invece attualmente in corso di definizione gli aspetti relativi alla questione politico-strategica e alla discendente struttura di comando e controllo per le operazioni in atto di protezione dei civili anche chiamata no fly zone plus che prevede anche azioni dirette.
Come sapete, attualmente la guida della coalizione è affidata agli Stati Uniti ed anche per questo tipo di operazioni l'Italia auspica fortemente un significativo coinvolgimento dell'Alleanza atlantica, che potrà assicurare una chiara e condivisa guida politico-strategica.
Vorrei ora sinteticamente riferire in merito al contributo delle nostre Forze armate all'applicazione della risoluzione n. 1973. Fino ad ora sono stati resi disponibili alla coalizione 4 velivoli Tornado ECR, impiegabili contro i radar della difesa aerea, e 4 veicoli F-16 impiegabili nelle operazioni di scorta in volo e di difesa aerea. Questi aerei a partire da domenica scorsa hanno portato a termine - ieri non avevo fornito questo dato - complessivamente 10 missioni e 32 sortite, nel corso delle quali non sono state rilevate emissioni di radar della difesa aerea libica, per cui non è stato necessario l'intervento attivo dei sistemi d'arma di bordo.
Pochi hanno notato che tra gli assetti messi a disposizione della coalizione non figurano i Tornado nella tradizionale configurazione di attacco. Questa nostra scelta è avvenuta con la piena concordanza della coalizione e senza alcun contrasto, quindi non sono stati assegnati Tornado predisposti per missioni diverse da quelle specifiche di contrasto dei sistemi di difesa aerea, in particolare dei sistemi radar a questi asserviti. Questi aerei, i Tornado ECR, sono i primi ad arrivare in zona di operazione e gli ultimi a lasciarla, perché sono quelli che rendono possibile l'impiego degli altri mezzi aerei, senza che questi ultimi corrano il pericolo di essere abbattuti dalla contraerea cui sono appunto asserviti i radar, che i nostri Tornado possono oscurare con un disturbo di tipo elettromagnetico generato dalle apparecchiature installate sull'aereo, ovvero essere distrutti da un missile di precisione che non ha normalmente effetti collaterali, ma che si aggancia sull'emissione del radar e su di essa si dirige, anche ove questa venisse nel frattempo spenta, perché immediatamente memorizzata.
Oltre ai già menzionati aerei sta operando - sotto comando nazionale però e potranno essere resi disponibili nei prossimi giorni per l'operazione a guida NATO - un gruppo navale per la sorveglianza marittima e per il concorso alla difesa nazionale guidato dalla portaerei Garibaldi e composto dall'incrociatore Doria, dalla fregata Euro e dal pattugliatore Spica, unità della difesa aerea con veicoli intercettatori Eurofighter ed F-16 rischierati negli aeroporti di Trapani e Gioia del Colle, a cui si aggiungono due Tornado ed un C-130 per il rifornimento in volo.
Come avviene normalmente e più specificatamente in questa fase, in cui l'allerta è stata portata ad un livello più alto, la copertura dello spazio aereo italiano al di fuori della coalizione viene assicurata con 4 caccia pronti ad intervenire in soli 15 minuti. Questo apporto concreto, fatto di aerei, navi, basi e strutture conferisce un ruolo di grande rilievo alla partecipazione dell'Italia alla coalizione. Questo ci viene riconosciuto da tutti. A questo si aggiunge il peso e l'ascolto derivanti dalla nostra conoscenza delle vicende libiche, che nelle riunioni che abbiamo fatto a Bruxelles e negli altri consessi internazionali è stato assolutamente notevole e decisivo.
I Paesi alleati sanno benissimo che non è possibile immaginare un futuro della Libia senza un ruolo politico, sociale, economico e diplomatico dell'Italia. Lo sappiamo noi per primi, che siamo in ogni caso i primi a pagare le conseguenze di ciò che sta avvenendo e di ciò che potrebbe avvenire. Lo sanno per esempio i cittadini di Trapani, che hanno visto chiuso il loro aeroporto, anche se la chiusura - lo posso assicurare - è temporanea e nei prossimi giorni stiamo facendo di tutto per poterlo gradualmente riaprire. Lo sa l'intera comunità nazionale, ben consapevole del rischio di flussi migratori sempre più consistenti, tra i quali bisogna comunque distinguere quelli dei profughi da quelli dei clandestini quali quelli attualmente in atto dalla Tunisia, dove non vi è guerra, anzi dove la dittatura è stata in qualche modo sostituita, ma dove è venuto meno invece il controllo della polizia tunisina, che era presente prima dello scoppio delle vicende di cui tutti oggi siamo in grado di conoscere la portata.
Al riguardo, voglio riferire - e questa notizia, ieri, non potevo darla - che la nave San Marco della nostra Marina, partita ieri sera dal porto di Lampedusa, è giunta questa mattina al porto di Augusta trasportando 500 immigrati, che sono stati trasferiti nel sito di Mineo vicino a Catania. Vorrei aggiungere, inoltre che, nell'ambito del concorso fornito dalle forze di polizia per la vigilanza e la sicurezza delle strutture e delle aree impiegate per l'emergenza clandestina, la Difesa ha reso disponibili, fino al 30 giugno 2011, ulteriori 200 militari.
Al riguardo, il 9 marzo scorso, per l'emergenza umanitaria sono stati assegnati 100 militari al prefetto di Agrigento per il centro di accoglienza di Lampedusa e 50 al prefetto di Catania per il già citato centro di Mineo per il concorso in attività di vigilanza e sicurezza. Il rischieramento è avvenuto dal 19 marzo.
Più in generale, per l'accoglienza, in caso di esodi consistenti sulla sponda sud del Mediterraneo, soprattutto per i profughi, la Difesa ha fornito un elenco di tredici siti ubicati in ogni parte del territorio nazionale - nord, centro e sud - per un totale di circa 4.600 ettari per ogni opportuno utilizzo demandato ad altri Ministeri e, in particolare, al Ministero dell'interno.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, certo, noi siamo consapevoli che il nostro intervento, doveroso per i motivi umanitari che abbiamo detto e per dare esecuzione alle ragioni che hanno portato la comunità internazionale a decidere sulla risoluzione n. 1973, ci pone anche in una diversa condizione rispetto alla comunità stessa. In particolare, rispetto alla domanda che qualcuno si è posto: ma era utile intervenire al di là delle ragioni umanitarie? La risposta è che solo la nostra partecipazione ci consente, oggi, anche una maggiore autorevolezza nel chiedere di dividere il peso di un'eventuale gestione di un eventuale biblico arrivo di profughi che avremo il dovere di assistere. Lo ripeto: si tratta di profughi, diverso è il problema normativo riguardo all'immigrazione clandestina.
E nel richiedere alla comunità internazionale di sobbarcarsi insieme a noi il peso di un'eventuale situazione, peserà - dovrà pesare - la nostra attiva partecipazione. Non sarebbe immaginabile che chi è coalizzato per impedire danni alla popolazione libica si disinteressasse, poi, delle conseguenze di quello che in Libia sta avvenendo. Non possiamo immaginare che il non intervento avrebbe potuto migliorare la situazione, anzi, l'avrebbe resa probabilmente ancora più drammatica e avrebbe lasciato l'Italia più sola nella gestione ipotetica della fuga dalla Libia di migliaia e migliaia di profughi.
Per questo motivo, penso di poter affermare che, fino a questo momento, ci siamo mossi nella maniera più adeguata sia come Governo che come Parlamento. Non siamo intervenuti né troppo presto né troppo tardi; non siamo intervenuti né con poco né, tantomeno, con tanto entusiasmo. Non c'è mai entusiasmo nel dover fare ricorso alla forza: c'è, semmai, senso di responsabilità e consapevolezza di una situazione complessa e delicata; c'è, semmai, il dovere di compiere ciò a cui siamo preposti.
Le parole che personalmente mi hanno più toccato sono state quelle pronunciate dal Santo Padre, che si è rivolto a tutti quelli che, come noi, hanno una responsabilità politica - egli ha detto: anche militare - ai quali ha raccomandato di tenere presenti i doveri umanitari e morali, che non abbiamo dimenticato - che non ho dimenticato - e penso che nessuno di noi possa dimenticare neanche per un solo istante.
Abbiamo, però, l'orgoglio di aver fatto il nostro dovere. Per quanto mi riguarda, ho l'orgoglio di aver fatto, con la massima modestia e moderazione, quanto era doveroso per chi ha il compito di dirigere le Forze armate, delle quali, ve lo posso assicurare, potete tutti essere molto orgogliosi per la prontezza, l'efficienza e l'efficacia che hanno saputo e stanno sapendo dimostrare anche in questa difficile situazione (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e di deputati del gruppo Unione di Centro).
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