Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signori Ministri, la sanguinosa repressione delle manifestazioni popolari iniziata a Bengasi sull'onda delle rivoluzioni in Tunisia e in Egitto ha confermato la natura dispotica ed efferata del regime libico.
Sin dalla discussione del Trattato di amicizia tra Italia e Libia abbiamo espresso con un voto di astensione tutte le nostre perplessità e riserve rispetto alla politica italiana verso quel regime. Non ne abbiamo affatto apprezzato alcuni passaggi successivi. Vi è stato quasi un idillio: dal noto «baciamano» del Premier al leader libico che ben si inserisce in quella galleria - per usare le recenti parole dell'Avvenire - di interessati e imbarazzanti abbracci con i leader che opprimono i propri popoli fino allo spettacolo avvilente della visita di Gheddafi in Italia, un palcoscenico internazionale offerto alle ridicole carnevalate del rais in veste di predicatore islamico.
Ora siamo repentinamente passati dal tappeto rosso alle bombe, all'interno di una coalizione autodefinitasi di «volenterosi» tutti premurosamente mossi da ragioni umanitarie peraltro spesso dimenticate - Yemen oggi e Ruanda ieri - ma certo con un occhio molto attento agli interessi economici, gas e petrolio, e strategici di quell'area.
Abbiamo sentito ancora oggi che non si tratterebbe di una guerra. Signor Ministro, una «sventagliata» iniziale di 159 missili Tomahawks e decine di aerei in azione offensiva ininterrotta giorno e notte: questa non sarebbe una guerra? Guardiamo in faccia la realtà senza infingimenti: è una guerra e, in quanto tale, ci pone molti interrogativi, a partire dalla sua effettiva rispondenza all'articolo 11 della Costituzione. Tuttavia, al punto nel quale erano giunte le cose, l'intervento era probabilmente una scelta obbligata e inevitabile nell'ottica del male minore, una dolorosa necessità per impedire quel bagno di sangue che Gheddafi aveva apertamente minacciato il 17 marzo: «Arriveremmo questa notte a Bengasi e non avremo pietà per nessuno».
PRESIDENTE. Onorevole Nicco, la prego di concludere.
ROBERTO ROLANDO NICCO. Concludo, signor Presidente. Ora, bloccata l'offensiva di Gheddafi, la soluzione non può che tornare ad essere politica, per quanto il percorso possa essere arduo e complesso lavorando per un cessate il fuoco e per una transizione pacifica.
Signor Ministro, lei ha parlato di processo costituente. Noi concordiamo e in questo senso sarà il nostro voto.
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