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Anno VII n° 6 GIUGNO 2011 TERZA PAGINA |
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Considerazioni sui documenti Censis
La cultura dominante nell'Italia di oggi
Una volta c'era la “rispettabilità” oggi c'è “l'apparire”, ma cosa significa questo cambiamento? Cosa dobbiamo considerare primari: i “diritti” o i “doveri”?
Di Cricio
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Il rapporto che il Censis sta presentando nel ciclo “Fenomenologia di una crisi antropologica” ci fornisce un'immagine inquietante dell'evoluzione della nostra società.
Una frase, in esso contenuta, mi sembra che descriva l'oggi in modo significativo: Il rattrappimento nel presente ha radici profonde: la crisi della relazione con l’altro (e l’Altro), il disfacimento della cultura del dono e del sacrificio in vista del bene comune, la crisi del sacro e la labilità dei suoi surrogati (l’esoterismo o la new age), la rimozione del senso del peccato (individuale o sociale), il primato dell’Io. Noi siamo esseri “socievoli”, non tanto nel senso che sappiamo “renderci simpatici”, ma nel senso che necessitiamo di relazioni umane e queste relazioni, perché siano efficaci e durature, hanno bisogno di continui scambi di attenzioni: bisogna dare, solo dopo che si è “dato”, senza fare conti di convenienza, potremo attenderci di “ricevere”. Fino al '68 valeva il detto “prima il dovere poi il piacere” che assegnava agli obblighi verso i conviventi, verso i vicini, verso i più deboli, verso la società in generale una priorità assoluta sulle proprie aspettative e sui propri desideri. Il consenso sociale era legato alla “rispettabilità” cioè al fatto che una persona fosse ligia alle regole, rispettosa dei doveri. La rivoluzione della fine degli anni '60, sull'onda del benessere diffusosi, ha spostato l'attenzione sui diritti. Ricordo un breve sambio di opinioni che ho avuto con Gerardo Colombo su questo punto. Secondo lui l'attenzione sui diritti era sufficiente a garantire il rispetto dei doveri, in quanto questi corrispondono al riconoscimento dei diritti altrui. In effetti, tutto funzionerebbe così se vi fosse un forte senso di rispetto degli altri uomini, ma non è così: il rispetto dell'altro, il rispetto delle regole, tra cui le leggi, si è attenuato e l'egocentrismo è diventato dominante, ma l'egocentrismo, nella sua esasperazione, corrisponde alla negazione dei diritti altrui. I giovani di oggi sono figli o nipoti dei “figli del '68”, cresciuti nella convinzione di avere solo diritti: diritto al diploma senza il dovere di studiare, diritto al lavoro senza il dovere di saper fare, diritto a divertirsi spendendo i soldi, anche quando non ci sono. Poiché il consenso sociale resta un’esigenza della psiche, questa massa di diritti vantati, non controbilanciati dai doveri, ha il solo effetto di spiazzare i meccanismo del consenso: il consenso sociale oggi lo si cerca con l'apparenza o con il rappresentarsi capaci di sopportare l'eccesso. L'apparenza porta alla “moda firmata”, al far vedere di possedere e a tante azioni inutili e costose, ma che si giustificano nel tentativo di essere omologati. Gli sport estremi vengono ad avere un senso come espressione di capacità di sopportare l'eccesso, ma per praticarli occorre una grande capacità di auto-valutarsi e di una preparazione meticolosa, cosa che la cultura attuale riduce fortemente. Ecco così che la via comune per essere “in gamba” diventa lo sballo: l'ubriacarsi, la droga, il sesso esagerato. La ricerca dell'omologazione attraverso l'apparenza ha sostituito la “rispettabilità” che aveva regole ben precise e chiare. L'apparenza è effimera e fragile, il rincorrerla diventa sempre più difficile, fonte di insicurezza e di stress. E cosa resta a vivere così? Alla fine la solitudine e l'insicurezza. Così il Censis mi dà ragione e scrive: La diffusione a macchia d’olio delle grandi patologie individuali, sia quelle di evidente rinserramento interno (depressione, anoressia, dipendenza da droghe, fino al suicidio), sia quelle di crescente indifferenza alla vita collettiva (stanchezza di vivere, rimozione delle responsabilità, crisi della empatia nelle relazioni interpersonali), è il sintomo della crisi antropologica che sta attraversando la società italiana.
Vuol dire che abbiamo sbagliato strada.
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