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Considerazioni sui documenti Censis

La cultura dominante nell'Italia di oggi

Una volta c'era la “rispettabilità” oggi c'è “l'apparire”, ma cosa significa questo cambiamento? Cosa dobbiamo considerare primari: i “diritti” o i “doveri”?

Di Cricio

Il rapporto che il Censis sta presentando nel ciclo “Fenomenologia di una crisi antropologica” ci fornisce un'immagine inquietante dell'evoluzione della nostra società.

Una frase, in esso contenuta, mi sembra che descriva l'oggi in modo significativo:

    Il rattrappimento nel presente ha radici profonde: la crisi della relazione con l’altro (e l’Altro), il disfacimento della cultura del dono e del sacrificio in vista del bene comune, la crisi del sacro e la labilità dei suoi surrogati (l’esoterismo o la new age), la rimozione del senso del peccato (individuale o sociale), il primato dell’Io.

Cultura non è letteratura, storia o arte: queste sono espressioni della cultura. Cultura è, a mio avviso, il modo con cui si imposta il proprio vivere. Conoscere a memoria la “Divina Commedia” e saperla commentare o sapere nei minimi particolari la vita di Napoleone, non serve a nulla se non si è capaci di tessere relazioni con la gente che ci circonda; quello che sta alla base di ciò è la cultura.

Noi siamo esseri “socievoli”, non tanto nel senso che sappiamo “renderci simpatici”, ma nel senso che necessitiamo di relazioni umane e queste relazioni, perché siano efficaci e durature, hanno bisogno di continui scambi di attenzioni: bisogna dare, solo dopo che si è “dato”, senza fare conti di convenienza, potremo attenderci di “ricevere”.

Fino al '68 valeva il detto “prima il dovere poi il piacere” che assegnava agli obblighi verso i conviventi, verso i vicini, verso i più deboli, verso la società in generale una priorità assoluta sulle proprie aspettative e sui propri desideri. Il consenso sociale era legato alla “rispettabilità” cioè al fatto che una persona fosse ligia alle regole, rispettosa dei doveri.

La rivoluzione della fine degli anni '60, sull'onda del benessere diffusosi, ha spostato l'attenzione sui diritti.

Ricordo un breve sambio di opinioni che ho avuto con Gerardo Colombo su questo punto. Secondo lui l'attenzione sui diritti era sufficiente a garantire il rispetto dei doveri, in quanto questi corrispondono al riconoscimento dei diritti altrui. In effetti, tutto funzionerebbe così se vi fosse un forte senso di rispetto degli altri uomini, ma non è così: il rispetto dell'altro, il rispetto delle regole, tra cui le leggi, si è attenuato e l'egocentrismo è diventato dominante, ma l'egocentrismo, nella sua esasperazione, corrisponde alla negazione dei diritti altrui.

I giovani di oggi sono figli o nipoti dei “figli del '68”, cresciuti nella convinzione di avere solo diritti: diritto al diploma senza il dovere di studiare, diritto al lavoro senza il dovere di saper fare, diritto a divertirsi spendendo i soldi, anche quando non ci sono.

Poiché il consenso sociale resta un’esigenza della psiche, questa massa di diritti vantati, non controbilanciati dai doveri, ha il solo effetto di spiazzare i meccanismo del consenso: il consenso sociale oggi lo si cerca con l'apparenza o con il rappresentarsi capaci di sopportare l'eccesso.

L'apparenza porta alla “moda firmata”, al far vedere di possedere e a tante azioni inutili e costose, ma che si giustificano nel tentativo di essere omologati.

Gli sport estremi vengono ad avere un senso come espressione di capacità di sopportare l'eccesso, ma per praticarli occorre una grande capacità di auto-valutarsi e di una preparazione meticolosa, cosa che la cultura attuale riduce fortemente. Ecco così che la via comune per essere “in gamba” diventa lo sballo: l'ubriacarsi, la droga, il sesso esagerato.

La ricerca dell'omologazione attraverso l'apparenza ha sostituito la “rispettabilità” che aveva regole ben precise e chiare. L'apparenza è effimera e fragile, il rincorrerla diventa sempre più difficile, fonte di insicurezza e di stress.

E cosa resta a vivere così?
Alla fine la solitudine e l'insicurezza. Così il Censis mi dà ragione e scrive:

    La diffusione a macchia d’olio delle grandi patologie individuali, sia quelle di evidente rinserramento interno (depressione, anoressia, dipendenza da droghe, fino al suicidio), sia quelle di crescente indifferenza alla vita collettiva (stanchezza di vivere, rimozione delle responsabilità, crisi della empatia nelle relazioni interpersonali), è il sintomo della crisi antropologica che sta attraversando la società italiana.

Vuol dire che abbiamo sbagliato strada.

Non sostengo certo che come si viveva negli anni '50 era migliore di oggi, ma c'erano dei valori che ci davano sicurezza e che si sono persi. Il sacrificio è stato cancellato dal diritto. Occorre ridare significato al sacrificio. Chissà perché le cose ottenute con sacrificio sono le più belle, le più care.

Bisogna smettere di dare eccessiva importanza all'apparire per tornare ad “essere”. Ridare vitalità alla cultura dell'essere vuol dire tornare ad educare la mente a pensare, a ragionare sulle cose e sul loro valore e imparare a scegliere qualcosa.

Saper affrontare le scelte vuol dire saper rinunciare perché non si può avere tutto: le risorse sono limitate e certe scelte rendono incompatibili altre possibilità. Se ci si sposa, il marito e la moglie devono condividere la vita, non vi possono essere angoli non in comune, se vi sono portano al fallimento del matrimonio. Se devo comprare casa, probabilmente devo rinunciare a qualcosa che facevo prima.

Permettetemi una digressione. Quando si deve rinunciare a delle spese, la prima cosa cui spesso si deve rinunciare sono le vacanze. Non avete provato a fare i turisti a casa vostra? È una cosa bella e interessante: quante cose non conoscete del territorio che vi circonda, quanti posti interessanti ci sono che avete sempre snobbato, perché non sono “in”.

Per tornare a vivere serenamente si tratta spesso solo di cambiare la prospettiva in cui si vive e, se si farà, si potrà così scoprire quanto è bello vivere senza le molte pretese imposte dall'apparire, in modo più semplice, meno stressante e anche meno costoso!


Articoli precedenti sul dibattito della cultura:

NOVEMBRE 2010
Quale cultura? Umanistica o Scientifica?
Ma forse sono più di due, credo almeno quattro!
di Giovanni Gelmini

OTTOBRE 2010
Il valore della cultura oggi

Una riflessione attraverso l’intervista al videomaker Pietro Annicchiarico
di Giacomo Nigro

AGOSTO 2010
Quale cultura?
Spesso mi capita di sentire frasi come questa: “non c'è più cultura, una volta... “, ma è vero che la cultura si è degradata?
di Cricio
Foto: Flickr 

Argomenti:   #apparire ,        #diritto ,        #dovere ,        #legge ,        #opinione ,        #rispetto ,        #società



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