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Introduzione a Toulouse-Lautrec

GIAPPONISMO E STAMPE GIAPPONESI

Scritto per la mostra “TOULOUSE-LAUTREC e la Parigi della Belle Époque”, alla Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversatol, Parma dal 10 settembre all' 11 dicembre 2011

Di Elisa Barili

A partire dall’esposizione universale del 1878, gli esempi dell’arte giapponese contribuiscono in una certa misura a rinnovare l’ispirazione dei pittori occidentali e le loro abitudini visive.

Ammirata e studiata da Whistler, Degas, Gauguin, van Gogh, Monet, Renoir e molti altri importanti artisti, sicuramente influenza anche Toulouse-Lautrec che di quell’arte riprende le semplificazione delle superfici, le composizioni insolite, gli elementi parzialmente “tagliati” dai margini della raffigurazione, l’aspetto di silhouette delle figure poste su uno sfondo più chiaro, come pure le linee che contornano le superfici.

Il fenomeno culturale che influenza l’Occidente, caratterizzato dalla produzione di dipinti, sculture, spettacoli, moda e arti decorative provenienti dal Giappone, prende il nome di giapponismo; la sua affermazione, stimolata dall’apertura commerciale e politica del paese del Sol Levante tra il 1854 e il 1858, fa arrivare in Occidente le stampe Ukiyo-e.

Ukiyo-e (tradotto in “mondo fluttuante” o “scuola della vita che passa”) si riferisce alla cultura giovane e impetuosa che fiorì nelle città di Edo (oggi Tokio), Osaka e Kyoto. La parola è anche un’allusione scherzosa al termine omofono “mondo della sofferenza” e si riferisce al ciclo continuo di morte e rinascita al quale i Buddisti cercavano di sottrarsi.

Gli Ukiyo-e sono stampe su matrici di legno intagliate, prodotte in massa quindi poco costose, perché pensate per gli abitanti della città che non potevano permettersi dei veri dipinti. Per ogni stampa le matrici sono tante quanti i colori da stampare. I soggetti principali sono la vita in città, le attività e le scene dei quartieri dei divertimenti: belle cortigiane, lottatori di sumo, attori famosi ritratti mentre svolgono il loro lavoro, con particolare riferimento al teatro Kabuki. In seguito divengono popolari anche i paesaggi, mentre non appaiono quasi mai soggetti politici e di altre classi sociali all’infuori di quelle più basse.

Tra i temi privilegiati e indagati c’era la ricerca della bellezza femminile. Il sesso non è un vero e proprio tema a sé, anche se compare spesso in queste stampe.

La nove xilografie in mostra appartengono agli artisti che hanno portato l’Ukiyo-e ai massimi livelli.

Kitagawa Utamaro (? – 1806) ricopre in questo campo un ruolo non solo importante, ma anche rivoluzionario; autore di due delle nove stampe in catalogo (“La zanzariera”, 1797 e “Cortigiana Hinazuru di Chôjiya”, circa 1802), descrive portamento, grazia ed essenza delle figure che disegna. L’attenzione si focalizza sul primo piano del busto o del viso soltanto, particolari che riprenderà anche Lautrec per le sue litografie. La figura umana diventa uno degli elementi dell’organizzazione spaziale stagliandosi su uno sfondo strutturato da un gioco di verticali e orizzontali, dove porte scorrevoli e paraventi frammentano e delimitano le stanze.

Utamaro inizia come illustratore di manifesti, raccolte di liriche, libri vari e stampe con ritratti di attori, ma diviene famoso soprattutto per aver portato lo stile del bijin-ga (ovvero le immagini relative a busti e volti di belle donne) alla piena maturità, in quella che fu definita l’età dell’oro dell’Ukiyo-e, alla fine del XVIII secolo. Si concentra sui primi piani e sulle cortigiane popolari dell’epoca, a volte rappresentate in scene di incontri amorosi (già citata “La zanzariera”), altre volte alle prese con i passatempi del tempo (xilografia con cortigiane che raccolgono fiori), dove riesce a registrare particolari dei costumi, delle capigliature, i ventagli e gli accessori che corrispondono sempre alle stagioni dell’anno in cui si svolgono le scene.

L’ambiente è definito da scorci con enfasi di luci, ombre e spazi ad aree di colore che non poco devono aver influenzato i metodi di stampa incisoria di Lautrec, in particolare l’uso della polvere d’oro sull’immagine servendosi di batuffoli di ovatta per riprodurre i riflessi della luce elettrica. Proprio come il francese, Utamaro s’interessa del mondo delle prostitute alcolizzate, non conoscendo limiti nella ricerca della femminilità e al tempo stesso rimanendo sensibile alla realtà e al duro impatto del mondo quotidiano.

Esperto di bijin-ga fu anche Kikugawa Eizan (1787-1867), seguace di Utamaro, che porta avanti lo stile del maestro dopo la sua morte avvenuta nel 1806.

Gruppi di attori, bambini e come si è detto di donne, sono i soggetti prediletti, dipinti in un formato lungo e verticale (come dimostra la stampa in mostra), per i quali usa colori accesi stesi a piatto e linee aggraziate.

Di grande importanza invece per il suo rapporto col teatro kabuki è la scuola Utagawa. La scuola è in rapporto con gli editori di stampe e cura la pubblicità facendo uso della prospettiva lineare. Il rapporto distintivo col mondo dello spettacolo è in comune con l’arte della Belle Èpoque, influenzata anche dalle opere di Utagawa Toyokuni (1769-1825).

La stampa che a lui fa riferimento vede protagonista un famoso attore di Edo (Sawamura Sôjûrô), stante contro uno sfondo quasi monocromo, che rivela il tentativo di esprimere l’individualità dell’uomo e l’atmosfera esistente sul palcoscenico attraverso il trucco e la posa.

Altro esponente della scuola Utagawa è Kunisada (1786-1864), il quale non idealizza mai le sue donne, preferendo una resa realistica. Le figure sono infatti dipinte nel loro ambiente di vita quotidiana (si veda la stampa con la donna nel tempio) e con riferimento temporale alla stagione in cui la scena è ambientata. Anche Kunisada deve aver influenzato la stampa occidentale nella preferenza di volti in primo piano (okubi-e) soprattutto di attori.

Composizioni semplici e nuove sono alla base delle opere di un grande nome dell’Ukiyo-e: Katsushika Hokusai
Adotta minute linee di incisione, specialmente parallele, e descrive i volumi attraverso l’uso del colore, scrivendo di lato gli ideogrammi giapponesi del titolo della stampa e della sua firma. Precursore di Hiroshige nello studio del paesaggio, ama rappresentare la natura come continua scoperta. Diventa famoso per le sue “Fugaku Sanju-Rokkei” (ovvero “Le 36 vedute del monte Fuji”), serie di 46 paesaggi realizzati tra 1826 e 1833, 10 dei quali aggiunti in seguito ai 36 originali.

Hokusai ha il merito di aver fatto conoscere al pubblico la bellezza di quei paesaggi tramite stampe xilografiche come primo mezzo per la produzione in massa di illustrazioni.

Al 1834 risale la stampa “Ashikaga Gyôdôzan Kumo no Kakehashi” (“Il ponte sospeso sulle nuvole del monte Gyôdô vicino Ashikaga”) dalla serie “Shokoku meikyò kiran”, dove la forma della nuvola in movimento è circoscritta velocemente e i particolari sono resi con verità tipologica, curve sinuose delle rocce e linee spezzate a definirne le strade e toni digradati, accedendo così all’essenziale per cui il carattere saliente di un essere o di un oggetto s’impone subito ai nostri occhi.

Hokusai, prima di tutti, ha saputo consacrare la pittura di paesaggio come genere indipendente di Ukiyo-e, ma dalla scuola Utagawa proviene colui che viene considerato il maestro per eccellenza del paesaggio: Hiroshige (1797-1858).

Questi andò a piedi per la Tokaido (ovvero la strada che univa la capitale storica Edo con il resto del Giappone) dipingendo questo viaggio di quattrocentonovanta kilometri, in una serie di stampe, ben 53, col titolo “Tôkaidô Gojûsa Ttsugi” (“Le cinquantatre stazioni della strada Tôkaidô”).

Alle stampe include il nome di ogni stazione per il cambio dei cavalli, i passeggeri che incontra e i costumi di ogni località (in mostra “Narumi”, ovvero la quarantunesima stazione, vicina ad Arimatsu famosa per i tessuti adatti a realizzare Yukata, ovvero un tipo di kimono più informale e leggero).

Gente diversa, usi e costumi, fanno sentire vicini a luoghi lontani e sconosciuti, per una filosofia condivisa anche dai pittori dell’Occidente, in primis Lautrec che dipinge spaccati di società sconosciuti ai più.

Negli ultimi anni Hiroshige pubblica molte serie di paesaggi della Tokaido e di Edo rendendo la composizione di questi lavori così audace da disegnare nella stessa stampa una veduta distante e contemporaneamente un oggetto vicino, come si può notare nell’ultimo suo lavoro rimasto incompiuto “Meisho Edo Hyakkei” (“Le 100 vedute dei luoghi famosi di Edo”), di cui due quadri vengono ricopiati a olio da Van Gogh.

La stampa “Tsuki no Misaki” (“Promontorio della luna”) è l’ottantaduesima veduta relativa alla stagione autunnale e riesce a rendere la sensazione di uno spazio più ampio senza far mancare un acuto senso del particolare, creando una dialettica tra il finito e l’infinito, ossia il sentimento umano scaturente dall’ascolto quasi religioso della natura e il cosmo stesso.

L’ultimo esponente dello Ukiyo-e e testimone del momento storico che vede in Giappone la crisi della xilografia tradizionale è Tsukioka Yoshitoshi (1839–1892).

Nonostante la crisi in corso, Yoshitoshi riesce a migliorare la tecnica e può essere considerato tra i geni innovatori del genere. L’artista aveva avuto modo di imparare le tecniche del disegno dai predecessori, ma sa arricchire le sue creazioni con l’uso della prospettiva occidentale e altri accorgimenti extranazionali. Molta della grafica che a lui si deve ruota intorno a scene di violenza, di morte e di battaglie.

La stampa che porta la sua firma ci mostra un guerriero (Takagi Umanosuke, leggendario combattente di spada) dallo sguardo corrucciato mentre affronta una prova di coraggio in un tempio infestato da lugubri presenze; alle sue spalle infatti riempie lo sfondo il fantasma di una donna che ha le fattezze di una gigantesca maschera teatrale.

Yoshitoshi vive il passaggio dal Giappone feudale a quello moderno, perciò negli schizzi violenti con battaglie, realizzati in uno stile stravagante e nuovo, esorcizza gli orrori vissuti da lui e dai suoi connazionali. A questo proposito mette in gioco quella prospettiva scoscesa e dagli angoli stretti ripresa da Toulouse-Lautrec.

Il termine realismo mal si adatta a questi artisti, poiché sembra gravarli di una ineluttabile pesantezza e associarli a una materia comune e greve. Sarebbe più corretto definirli pittori dei fenomeni terrestri; proprio alla varietà dei fenomeni essi applicano tutte le risorse di un’arte che ha come principio la curiosità e come fine una sintesi espressiva, eredità questa raccolta quanto rielaborata dagli artisti occidentali.


Scritto per la mostra
TOULOUSE-LAUTREC e la Parigi della Belle Époque
Alla Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversatol, Parma dal 10 settembre all' 11 dicembre 2011

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