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Anno VII n° 9 SETTEMBRE 2011 PRIMA PAGINA |
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Lo sport che non è sportivo
Tanto rumore per nulla…
L’assurdo sciopero dei calciatori è la punta di un iceberg di cattiva gestione dello sport professionistico, che nel calcio trova la sua più elevata rappresentazione, almeno dal punto di vista dei soldi che girano
Di Silvano Filippini
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L’indignazione ha serpeggiato e non soltanto nell’ambiente sportivo: anche la gente comune, alle prese con le difficoltà economiche che non consentono di sbarcare il lunario, appare sconcertata dallo sciopero indetto dai ricchi del calcio. Che sciopero dovrebbero indire allora tutti coloro che, e sono tanti; riescono a racimolare tra i 500 e i 1.000 euro mensili.
Non si vergognano i nababbi del pallone? Chiunque percepisce stipendi che consentono una vita nettamente al di sopra della media borghesia, dovrebbe essere fiero di contribuire al risanamento del debito pubblico e, nel contempo, a consentire ai meno abbienti di uscire dalla povertà che li attanaglia. Certo anch’io da pensionato non ho certamente fatto salti di gioia quando è stata annunciata la nuova norma che avrebbe eliminato l’adeguamento delle pensioni al di sopra dei 1.000 euro netti mensili, ma, visto che tutti sono portati a contribuire in proporzione dei propri redditi, mi pare doveroso accettare senza indignarmi. Invece le ultime manovre del Governo sono riuscite ad annullare la sacrosanta tassa di solidarietà che avrebbe consentito ai più deboli di allontanarsi dallo spettro della povertà. Invece no, i nababbi, compresi quelli del pallone, potranno continuare ad incassare impunemente le cifre milionarie a cui sono avvezzi. E pensare che per uno che guadagna dai 5 ai 10 milioni di euro all’anno una decurtazione di 500 mila non cambia assolutamente il suo tenore di vita, ma questo consente a tutti coloro che debbono fare affidamento sulla carità dei “servizi sociali” di poter sopravvivere. Pertanto lo sciopero è stato assolutamente prematuro, anche se i calciatori hanno sempre pendente la questione degli allenamenti fuori rosa, tuttora irrisolta. Tra l’altro il caso in Italia ha generato più scalpore del previsto, perché noi non siamo avvezzi a simili comportamenti dei professionisti dello sport. Negli Stati Uniti, che hanno inventato lo sport professionistico molto prima di noi, sono ormai abituati agli scioperi delle varie leghe professionistiche “basket, footbal americano, baseball, hokey su ghiaccio” che si sono ripetuti dagli anni cinquanta sino ad oggi. Anche quest’anno, ad esempio, i giocatori della NBA hanno minacciato di non iniziare il campionato se non verranno accettate le loro rivendicazioni; e non sarebbe il primo annullamento di un intero campionato professionistico. La sospensione del torneo di basket USA potrebbe tradursi in un vantaggio per le squadre europee che avrebbero la possibilità di ingaggiare i fuoriclasse d’oltreoceano a prezzi accessibili. Tornando al “sistema calcio Italia” è impossibile che funzioni sin tanto che verrà gestito dagli stessi presidenti di società attraverso la Lega Calcio: sarebbe come pretendere che un condominio funzioni se a comandare fossero gli stessi inquilini senza la presenza di un soggetto terzo: sarebbe un autentico pollaio del tutto ingestibile. Negli Stati Uniti il sistema professionistico funziona “nonostante gli scioperi” solo perché le varie leghe sono in mano ad un Commissario che ha pieni poteri e tutto ciò che decide è legge. Se a ciò si aggiunge che gli interessi economici, compresi quelli della malavita organizzata, predominano su quelli sportiv, è facile capire come sia quasi impossibile azzerare tutto e ricominciare da capo con un sistema credibile. Innanzitutto sono indispensabili Stadi di proprietà delle società: una questione più volte trattata, che ristagna da anni nei cassetti della lega e del governo. Solo così sarebbe possibile ridurre i costi di gestione e, nel contempo, aumentare le entrate attraverso l’uso degli spazi durante l’intera settimana con manifestazioni d’altro genere, vendite di gadgets, ecc.. Soltanto la Juventus potrà quest’anno aumentare il proprio fatturato essendo in possesso di un impianto tutto suo, passando dagli attuali 15 ai 40 milioni annui. In secondo luogo è indispensabile una “cura dimagrante”, perché 119 club professionisti sono sicuramente troppi, ma l’associazione calciatori si oppone fermamente. Tra l’altro anche la serie A e la B dovrebbero essere ridotte come ha proposto da tempo Alberini, ma non se n’è fatto ancora nulla. Ecco che qui risulterebbe indispensabile la figura del commissario estraneo alle parti in guerra: Quando si decise di eliminare la seconda lega professionistica americana di basket; cioè l’ABA; nessuno poté opporsi alla decisione del commissario. Per ciò che concerne gli introiti dalle TV, la miglior organizzazione inglese è riuscita a superare i 500 milioni di diritti televisivi, mentre la nostra serie A non arriva neppure a 100. Frutto delle liti tra i club che ancor oggi stanno discutendo sulla distribuzione delle risorse in base al “prestigio” e non al bacino d’utenza. Pure sugli introiti dovuti al merchandising siamo ben lontani dai livelli della Spagna (190 milioni), dell’Inghilterra (167 milioni) o della Germania (130 milioni): infatti, la nostra serie A fattura soltanto 77 milioni. Neppure il Governo si è dato da fare per attuare la legge contro la contraffazione dei marchi sportivi che è nel cassetto da diversi anni: Per quanto riguarda i vivai, latitano gli investimenti: a parte alcune società che si mantengono a galla proprio grazie al vivaio, per la maggior parte dei presidenti è più facile comperare all’estero che costruire i giocatori in casa. Così sempre meno italiani giocano nel campionato e le nazionali delle varie under non vincono più i titoli europei e mondiali, mentre la nazionale maggiore si è fatta eliminare all’ ultimo campionato mondiale. Da ultimo, ma forse prima per importanza, la piaga del gioco nero delle scommesse clandestine. È vero che anche nel resto d’Europa il problema si pone, al punto che Platini ha minacciato di squalificare a vita i tesserati presi in fragrante, tuttavia la situazione italiana risulta assai più difficile da controllare, a causa del clima omertoso imposto dalla criminalità organizzata e che coinvolge giocatori, presidenti e un vasto sottobosco di faccendieri. Fatto sta che da troppi anni stiamo assistendo a “campionati virtuali” ben lontani dalla realtà dettata dalla legge del campo. Se ai tifosi va bene così, lasciamo tutto come sta, altrimenti è indispensabile intervenire drasticamente rivoluzionando tutto il sistema. L’epurazione di alcuni personaggi della precedente calciopoli non sarebbe servito a nulla, ma sembra che nessuno voglia intraprendere questa via. |
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