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Dal resoconto stenografico della Camera dei Deputati

Vincenzo d'Anna (IR) Dichiarazione di voto della manovra bis

Disegno di legge: S. 2887 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari (Approvato dal Senato)


Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che sui singoli aspetti della manovra si sia già discusso abbastanza, sia sui giornali, sia nelle aule del Parlamento.
Occorre, però, oggi, in un momento di grande crisi economica, parlare chiaro al Paese ed inquadrare le reali dimensioni di una crisi: quest'ultima non è la crisi del berlusconismo, come qualcuno ancora una volta propone, come un modo o come una scorciatoia per dare risposte semplici a domande complesse. Si tratta, invece, di una crisi internazionale, che nasce dalla crisi dei subprime americani, dal fallimento di alcune grandi banche ed è acuita dall'attacco che gli investitori stanno facendo, dopo la Grecia, alle nazioni con un'economia più debole, come la Spagna e l'Italia.
Perché la nostra economia è più debole? Non perché è mal rappresentata, e sulla qual cosa ritornerò, ma perché la nostra nazione si porta appresso uno tra i più alti debiti pubblici nell'ambito mondiale ed europeo.
L'onorevole Donadi rimproverava al Governo in carica, o ai Governi presieduti dall'onorevole Berlusconi, il record di aver totalizzato altri 500 milioni di euro di debito. Egli dimentica, però, di dire che questi 500 milioni ne hanno incontrati altri 1.850 di miliardi di debito, che sono il triste primato (1.900 miliardi di euro), che rappresenta circa il 120 per cento del PIL della nostra nazione.
Per farci capire da chi ci ascolta dobbiamo dire che il debito pubblico equivale ad un debito di 30.724 euro per ogni italiano, inclusi i neonati e gli ultracentenari, ovvero un debito di 80.327 euro per ogni occupato, per ogni lavoratore. Si tratta di un indebitamento che, al netto, è il 4,6 del nostro prodotto interno lordo, ma, soprattutto, lo dico ai critici, in questa nazione vi è un saldo primario, nel 2010, cioè un saldo tra le entrate e le uscite al netto dei 70 miliardi di euro di interessi che si pagano, che è negativo, di meno 0,5 per cento. Ciò significa che o si affrontano i nodi strutturali e si taglia e si riforma questo Paese, si fanno le liberalizzazioni e, veramente, si realizza un'economia di mercato, per quanto sociale, o passeremo da un pannicello caldo ad un altro, senza dare risposte in grado di risolvere questo problema.
E questo debito da dove viene? Ho sentito pocanzi l'onorevole La Malfa fare l'esegesi del debito: credo che quando facevo il professionista a casa mia lui faceva il Ministro nei Governi che dal 1982 ad oggi hanno prodotto questo debito (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio e di deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Erano i Governi della unità nazionale, erano i Governi dell'arco costituzionale, erano i Governi della non sfiducia, erano i Governi dell'alternativa e delle convergenze parallele, erano, caro La Malfa, i Governi delle alchimie, che facevano leva sulla spesa pubblica e che vedevano concordanti e consenzienti forse te, in una dimensione di voce critica ma clamante nel deserto, ma che facevano leva sulla spesa pubblica, che è lo strumento che è stato usato in questa nazione per conferire prebende e benefici ai contemporanei addossandone il costo ai posteri che, come tali, non votato e non protestano.
Detto tutto questo, occorre aggiungere che non vi è il problema della manovra, del «taglia di qua» o «taglia di là»: questa nazione è arrivata al redde rationem, non è più possibile governare facendo leva su politiche keynesiane; non è più possibile che i Ministri dell'economia indulgano ancora in soluzioni cripto-socialiste; non è più possibile che i politici di questo Paese, come dice Ferdinando Adornato, altro non siano votati che ad un «andreottismo» delle coscienze, per i quali i provvedimenti sono buoni o sono sbagliati a seconda se si è dalla parte del Governo o dalla parte dell'opposizione.
Poiché qualcuno in questi giorni affacciava anche i timori di una speculazione dettata dai cosiddetti speculatori: in un'economia libera gli speculatori non esistono, non esistono i complotti plutocratici e giudaici di antica memoria, esistono gli investitori, esistono i fondi pensione, esistono gli hedge fund, esistono i fondi comuni di investimento, ai quali concorrono piccole aziende e privati cittadini. Questi fondi comprano titoli di Stato o altri beni in quelle economie che sono in grado di garantire gli investimenti; e noi siamo una nazione derelitta, ancora cripto-socialista, ancora piena di partecipazioni statali, con uno Stato che continua a fare l'imprenditore e con una sanità allo sfascio in cui la pubblicità del servizio viene contrabbandata per la statalità della gestione. Siamo una nazione dove non esistono dei veri momenti concorrenziali tra pubblico e privato e non esiste la terzietà delle istituzioni che devono controllare l'efficienza dei servizi e l'economicità degli stessi.
Allora vedete, stare qui a dire che il New York Times ha detto questo o ha detto quello, mi sembra una barzelletta. Farò in modo di mandare alla redazione del New York Times gli atti parlamentari dei discorsi dell'onorevole Donadi, in modo che il New York Times possa veramente capire quanto basso sia il livello che la politica ha raggiunto in Italia (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio).
E, se vogliamo, potremmo dire al New York Times che i Governi americani hanno «tenuto bordone» alle politiche di spesa nel momento in cui l'Italia aveva un ruolo di cerniera, quando al di là della Cortina di ferro c'erano attacchi alla libertà e alle istituzioni liberali e democratiche.
Se errore c'è stato da parte di Berlusconi, è stato quello di non aver fatto Berlusconi, ossia di non aver fatto quelle riforme che i professionisti, gli imprenditori e gli onesti cittadini chiedono: la riforma del pubblico impiego, la riforma della sanità, la fuoriuscita dello Stato dalle industrie decotte e dalle partecipazioni statali, la creazione di un sistema che smantelli il catto-comunismo ideologico sul quale si è costruita un'Italia spendacciona che dal 1982 ad oggi ha prodotto circa 1904 miliardi di euro di debito.
Ed allora, come gruppo di Popolo e Territorio, non possiamo che dare la nostra fiducia a questo Governo. Gliela diamo condizionatamente però e gliela diamo con la speranza che in questo ultimo scorcio di legislatura il nostro Presidente del Consiglio si liberi dai manutengoli e dai cortigiani reggicoda, ritorni all'originale principio dei Martino, dei Pera, dei Colletti, di quella rivoluzione liberale che ha consentito all'Italia che produce e all'Italia che paga le tasse di riconoscersi in un leader e in un'idea di libertà e di progresso, sia sociale, sia politica, sia economica.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

VINCENZO D'ANNA. Alla fine votiamo sì al Governo Berlusconi, chiedendo a Berlusconi di fare una sola cosa: realizzare ciò che ha promesso, mettendoci in grado di continuare a seguirlo lunga la strada che egli ha indicato (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio e di deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

Argomenti:   #berlusconi ,        #d'anna ,        #economia ,        #finanza ,        #governo ,        #politica ,        #tasse ,        #tremonti

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