Passavo su un ponte con l'auto, alla guida c'era Anna. Le avevo promesso di lasciare guidare lei, quando, volgendo lo sguardo oltre la spalletta del ponte, l'ho vista.
Sul fondo del vallone, nel prato verde smeraldo (Anna mi dice che sono in inverno si vedono questi colori in Sardegna) tra orti ben coltivati e percorsi da sentieri appare questa costruzione: due parallelepipedi di marmo bianco e nero sovrastata da statue. È qualcosa di strano di misterioso.
Cosa è? Che ci fa lì? Chiedo a Anna:
· Cosa c'è qui sotto nel vallone?
· Mah... stanno sistemando, ma è un luogo di tossici...
La risposta non esaurisce certo la mia curiosità, ma l'auto corre e dopo viene qualcosa d'altro.
…
Oggi è giorno di lavoro, Anna non può farmi compagnia.
L'andrò a prendere all'uscita dal lavoro all'una. Ho una mattinata per girare da solo per Sassari. Il mio è un modo forse strano per conoscere una città. Imbocco una strada, la percorro guardandomi intorno, annoto mentalmente portoni, finestre, vetrine, insegne, mascheroni e qualunque cosa la caratterizzi. Scatto foto delle cose che colpiscono, ne ho una collezione! Così cerco di capire un luogo, una città o un paese.
Mi sono finalmente procurato una cartina di Sassari e ora posso muovermi sapendo dove mi trovo. Mi sono segnato alcuni punti da raggiungere, presi dalla guida: il Duomo, la chiesa di Santa Maria di Betlem, le mura medioevali, e la Fontana di Rosello... che sarà mai questa fontana che citano, ma di cui non dicono nulla?
La mattinata è un po' meno fredda delle precedenti, parto alla caccia di qualcosa che mi stimoli e sono sicuro di trovare tante cose. Mi perdo per le strade medioevali, a guardare facciate di case e palazzi, ascolto la vita che vi scorre, m’illudo così di entrare nel vivo di questa piccola capitale.
Le stradine silenziose mi piacciono, con i muri carichi di storia, storia della gente che vi abita, storia che si legge tra intonachi scrostati, i fili elettrici che formano un’intricata rete sui muri. Negozi di artigiani senza le luci brillanti delle vie del centro. Questa è la vita vera che cerco.
Mi attira un negozio di casalinghi, con una gran quantità di oggetti colorati ammonticchiati in visione fuori, sulla piazza. I colori e la nitezza degli oggetti contrastano con il grigiore e l'abbandono della facciata e del monumentale portone, sovrastato da una rigogliosa piantagione di “loietto” verde smeraldo del palazzo nobile in cui il negozio è collocato.
Penso... ecco la vera storia: la nobiltà decaduta e un negozio che vende cose moderne e cose che rispondono ad una tradizione antica. Entro nel negozio e vi trovo cose che ricordo della mia infanzia e che non si trovano più da noi come un bollitore per il latte. Da quando hanno impiantato un distributore di latte fresco non pastorizzato l'ho cercato invano nei negozi vicini a casa mia e perfino sulle bancarelle del mercato. Ecco, qui lo trovo e me lo compro tutto soddisfatto.
È così che mi piace fare vacanza.
Giro, apparentemente senza meta, per vicoli e strade, ma in effetti ho i miei punti fermi da incontrare nel cammino. Dopo la chiesa di Santa Maria di Betlem, dove mi attardo a fotografare la fontana con le ippostatue che ne sorreggono la vasca superiore, vado verso le Mura medioevali. Mi dicono poco, con tutte le auto parcheggiate. Vicino c'è la Fontana di Rosello; ora finalmente capirò cosa è mai.
Trovo sulla mia destra, prima di un ponte, una cancellata e un cartello che indica la mia meta. Guardo, c'è una larghissima discesa a gradini erbosi e sul fondo vedo “due parallelepipedi di marmo bianco e nero”: ecco la Fontana di Rosello. Me la ritrovo davanti agli occhi in modo inaspettato.
Ora so il nome, ma cosa è in effetti?
Prima di scendere lo scalone vado sul ponte per meglio inquadrare il territorio. La Fontana occupa una porzione di spazio della valletta che è caratterizzata da spazi coltivati, forse ad orto, e macchie di boscaglia. Dalla parte opposta del ponte appare una palazzina dell'inizio novecento, malconcia, con una ricca vegetazione che appare sul tetto e nelle crepe della facciata. Sullo sfondo nuovi palazzi con facciate dai colori pastello contrastano con l'immagine decadente di quello che doveva essere una palazzina di rilievo.
Torno sui miei passi e scendo lo scalone che porta alla Fontana.
Ampio, con gradinate piene d'erba che danno un passo confortevole e ricordano l'andamento di una mulattiera. Sulla destra sono sovrastato dalla struttura novecentesca del ponte, sulla sinistra appaiono delle roccie giallastre, che mi sembrano tufacee, scavate da buchi. Le roccie su cui è costruita la città, penso tra me e me.
Scendendo noto sopra i parallelepipedi della fontana delle decorazioni. Immediatamente sul tetto della costruzione c'è una statua: un uomo barbuto e nerboruto, sdraiato seminudo; un dio delle acque?
Dai quattro angoli del parallelepipedo superiore partono due archi, che sorreggono al loro incrocio la statua di un cavaliere con la spada sguainata. Procede a cavallo verso il fondo della valle, volgendo quindi le spalle a chi scende dallo scalone.
Figure che dovrebbero avere un significato, ma quale?
Quando arrivo in fondo alla scalinata noto tre teste mostruose: dalle due laterali sorga un getto d'acqua, da quella centrale esce invece solo un rivolo, ma sotto il mascherone un cartello parla chiaro “Acqua non potabile”.
Ne devo dedurre che non è acqua sorgiva?
Questo enorme monumento allora non doveva servire a dissetare gli abitanti di Sassari prima che vi fossero acquedotti moderni e ben costruiti; poche potevano essere le case fornite di acqua e quindi era preziosa. Un monumento del genere avrebbe potuto essere un omaggio all'acqua e un'utilità per i cittadini, ma se non è acqua buona perché tanto sfarzo?
Sul lato opposto alla scalinata c'è una tettoia con un lavatoio; l'avevo già notata dall'alto, ma è possibile che questo enorme e magnifico monumento sia stato costruito per inneggiare ad un lavatoio?
Giro attorno al parallelepipedo fontana.
Sugli angoli vi sono delle statue che forse rappresentano le stagioni, almeno mi sembra di intuire l'estate dalle forme di una donna.
Sono colpito dal silenzio e dalla solitudine di quel luogo.
Solo l'acqua è in movimento e fa rumore.
Vado verso il lavatoio: mi hanno sempre attratto questi manufatti così utili nel passato ed oggi dimenticati e spesso abbandonati.
Questo è in ottime condizioni. L'acqua che scorre nella lunga vasca di pietra è come uno specchio argentato che riflette la luce e fa contrasto con lo scuro del tetto in legno. Mi guardo ancora attorno, cerco invano di intuire le funzioni delle arcate sul fondo del lavatoio.
La Fontana di Rosello, un complesso che mi affascina, ma di cui non riesco a capire l'essenza. Solo oggi leggendo lo scritto di Luana Scanu ne so qualcosa di più, ma ho ancora tante curiosità da soddisfare. Perché nessuno ne parla? Perché si trova poco nulla su internet?
Wikipedia ci dice:
La fonte di “Gurusellu” fin dall'età romana, alimentava l'acquedotto che riforniva “Turris Libisonis”, l'attuale Porto Torres ed era un punto di riferimento per i viaggiatori che attraversavano l'omonima porta. Con una tassazione pubblica di 1000 scudi, i lavori di trasformazione della fonte furono realizzati tra il 1603 ed il 1606 ad opera di maestranze genovesi. Nel 1795, durante i moti antifeudali, tre statue raffiguranti le stagioni vennero distrutte e nel 1828 ne furono collocate in sostituzione altre quattro. L'unica statua originale superstite quella dell'Estate è ancora conservata presso il Palazzo Ducale di Sassari.
A portare l'acqua da Rosello alle case era una schiera di acquaioli che alla fonte riempivano i loro barili che poi caricavano sul basto dei loro asini. Intorno alla fine del XIX secolo gli asini utilizzati per il trasporto dell'acqua giunsero ad essere circa trecento. La fontana veniva usata dalle massaie anche per fare il bucato di indumenti e biancheria.
Questo è tutto quello che ho trovato dopo il ritorno a casa.