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 Anno VII n° 11 NOVEMBRE 2011    -   FATTI & OPINIONI


Un intreccio ingarbugliato
I problemi del momento: pensioni, economia e giovani
Si parla di pensioni, ma la disoccupazione giovanile incide anche su chi deve andare in pensione e lo stallo dell'economia pervade tutti i problemi
Di Giovanni Gelmini


Da circa vent'anni c'è il problema “pensioni”, nonostante le varie leggi che hanno modificato sostanzialmente il sistema pensionistico, non sembra essere risolto: le pensioni costano troppo allo Stato.
È vero che le casse pensionistiche devono avere bilanci in pareggio, ma innalzare l'età a cui si va in pensione vuol dire mantenere al lavoro i vecchi e quindi non dare spazio ai giovani.

Vediamo come si è originato il problema. Tutto nasce dalla riforma pensionistica attuata con la legge del 30 aprile 1969, n. 153. In quell'anno il sistema passò da contributivo a retributivo, cioè fino allora le pensioni erano calcolate sugli importi versati attualizzati. Quella legge cambiò il sistema di calcolo: la base diventò la media dei cinque anni migliori negli ultimi 10 anni; su questa era applicato il 2% per ogni 365 giorni di contribuzione.

Quando fu fatta quella riforma erano anni grassi, venuti immediatamente dopo il boom economico, con pochi pensionati e moltissimi lavoratori: una situazione di relativamente bassa disoccupazione e le casse dell'INPS erano stracolme e permettevano questo regime.

Già all'inizio degli anni '90 ci si rese conto che quel regime pensionistico era insostenibile per alcuni motivi coagenti:

  • forte incremento del numero dei pensionati;
  • innalzamento della durata della vita;
  • aumento della disoccupazione, specialmente giovanile;
  • forte ricorso ai prepensionamenti.

Il primo decreto, che modifica in modo riduttivo il sistema pensionistico seppure in modo soft, data 30 dicembre 1992 (riforma Amato). Il successivo, Legge 8 agosto 1995, n. 335, modifica a fondo il sistema, fa cessare il sistema retributivo di calcolo e reintroduce il sistema contributivo, fatti salvi i diritti acquisti. Per chi va in pensione oggi, gli anni fino al 1995 sono calcolati col sistema retributivo e i successivi sono calcolati con quello contributivo. Una successiva legge, la n. 449 del 27 dicembre 1997, innalza l'età a cui si può andare in pensione.

Oggi si vuole ulteriormente innalzare l'età di pensione e addirittura c'è chi parla di eliminare la pensione di anzianità. Il limite per la pensione di anzianità, ora a 57 anni, può essere innalzato, ma, al di là dell'accresciuta speranza di vita, la vecchiaia dopo i 65 anni c'è e pesa: pretendere la piena efficienza di un rapporto di lavoro rigido è un'assurdità, anche se è una realtà nel resto d'Europa. Non è necessario prendere esempio dalle situazioni peggiori.

Vediamo però il quadro complessivo. La situazione dell'Italia è diversa dagli altri paesi d'Europa. Se, infatti, da noi si va in pensione prima, si entra nel modo del lavoro dopo.

Il problema della mancanza del lavoro giovanile ha quindi due risvolti. Il primo, diretto, è il disagio di chi non ha un lavoro dopo aver studiato, che così non solo non guadagna, ma non accumula nemmeno il diritto ad una futura pensione. Il secondo, indiretto, è che gli istituti pensionistici incassano meno e si trovano in difficoltà.

Pensare semplicemente di mandare in pensione la gente per far entrare i giovani nel mondo del lavoro è semplicistico, perché aiuterebbe a risolvere il problema della disoccupazione giovanile, ma non quello delle casse previdenziali; infatti, se il numero di nuovi lavoratori fosse pari al numero dei nuovi pensionati, le nuove pensioni erogate sarebbero ben maggiori dei contributi incassati dai nuovi occupati, che sicuramente avrebbero stipendi bassi, non pari a quello di chi esce dal sistema “lavoro”.

Un miglioramento si potrebbe avere nel limitare fortemente il ricorso dei contratti atipici e delle “partite IVA”, con l'apposizione di oneri pesanti a carico dei datori di lavoro a favore delle casse pensionistiche. Vi è poi la possibilità di una razionalizzazione ulteriore dell'INPS e di altre casse, per ridurre i costi di gestione, ma questo, seppure auspicabile, porterebbe a piccoli vantaggi.

La soluzione giusta è quella di creare nuovi posti di lavoro aggiuntivi e eliminare l'enorme ricorso attuale alla cassa integrazione speciale, che pesa sulle casse dell'INPS e non fa incassare contributi.

Per far questo è necessario tornare a crescere e tornare a vedere investimenti pubblici reali e non quelli fittizi fatti solo per interessi di alcuni. Nelle ipotesi allo studio del Governo purtroppo, per quel che se ne sa, non si vedono motivi per pensare ad una possibile ripresa dell'economia su tassi del 3-5%, ma solo piccole cose per non crollare.

Oltre al problema dell’offerta di posti di lavoro, vi è anche una forte distonia tra gli indirizzi di studio e le qualifiche richieste dal mondo del lavoro. Oggi si studia troppo e male. È noto la forte propensione verso gli studi umanistici, che trovavano posto principalmente nella pubblica amministrazione, che oggi non assume più.

C'è però un altro problema: troppi giovani, che non hanno le caratteristiche per studiare, vanno all'Università. L'Università da parte sua in un triennio non riesce a fornire una “preparazione universitaria”, ma una più vicina a quella degli Istituti Tecnici. Si prosegue quindi con la laurea specialistica, che però interessa pochissimo al mondo del lavoro.

Per superare questo problema si dovrebbe ridurre la durata dei licei e anticipare l'inizio degli studi universitari, portando la prima laurea almeno a quattro anni. E il problema torna ad essere quello già noto delle medie inferiori e superiori: troppe materie fatte male.

Risolvere quest’intrico è difficile. Un governo come quello attuale, debole, che non dialoga e che ha rare idee sistemiche, sicuramente non è in grado di affrontare un problema cosi complesso, la cui soluzione deve passare attraverso la cancellazione di pretesi “diritti acquisiti” sostenuti da lobby sociali molto forti.
Su questi problemi gli stessi imprenditori, che chiedono l'innalzamento dell'età pensionabile, non sembrano avere le idee chiare.



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