Curt Sachs la definì “madre di tutte le arti”, poiché la danza diversamente dalla musica, dalla poesia e dalla pittura vive ugualmente nel tempo e nello spazio, dunque rappresenta la vita stessa. Passi ordinati, gesti perfetti, movimenti ritmati, posture geometriche e intrecci di corpi raccontano la storia dell'uomo, descrivendone i sentimenti e le sensazioni più profonde.
Così se nella preistoria la danza è un'attività rituale, che nasce in quanto rappresentativa degli accadimenti della vita della tribù, nonché di religiosità o contatto con l'ignoto, in Grecia è vista da Socrate e Platone come buona regolatrice di costumi, la cui funzione abbraccia sia il campo magico-rituale, quanto quello bellico-celebrativo.
Ancora a Roma si riveste di carattere farsesco con il mimo e la pantomima, mentre nel IV secolo d.c. gli imperatori cristiani la condannano e ne bandiscono la pratica, perché considerata immorale e lasciva, nonché fonte di tentazione.
Durante il medioevo si assiste ad un decadimento delle forme del ballo, a causa di una mentalità che rifiuta la carne e denigra il corpo, finché queste nel XIV secolo non si accompagneranno alle “canzoni a ballo duecentesche” delle corti italo-francesi .
Il ballo si trasforma in balletto: una manifestazione artistica autonoma, strutturata secondo canoni estetici ben precisi e destinata alla rappresentazione di fronte ad un pubblico. Un universo gentile che più di ogni altro tanto nel mondo occidentale quanto in quello orientale è solitamente legato al concetto di femminile, poiché nella danza si creerebbero le presunte condizioni per un' emancipazione, seppur astratta, della donna.
Nel balletto, la ballerina diviene protagonista indiscussa della scena e il suo ruolo sovrasta quello dell'uomo, cui solitamente compete la parte del sollevatore. La sua bellezza si eleva oltre lo spazio terreno, tende verso l'altro e tramuta la donna in un essere etereo, che riflette nell'artificiosa fattura imposta al prodotto artistico, la duplice funzione sociale della femminilità: quella di simbolo erotico da un lato e spirituale dall'altro.
Grazia, eleganza e portamento sono le doti richieste, perché questa possa ridurre al minimo il contatto con l'humus peccaminoso in una realtà quasi incantata, creata appositamente per lei che crede di affrancarsi dalla schiavitù e dal suo ruolo di donna.
Donna-oggetto, idolo e simbolo per l'uomo, immagine di attrazione e potere, che ritorna in alcune danze orientali. Si pensi alla Zagharid, conosciuta meglio come danza del ventre, le cui origini sono probabilmente legate agli antichi culti matriarcali dell'Arabia pre-islamica o a quelle della regione Assiro-Babilonese.
Una danza che nella sua esaltazione del fascino femminile forse non è né troppo distante dalla simbologia del balletto occidentale, né dissimile dal flamenco dell'Andalusia o dalla Tammurriata campana, dalla Pizzica pugliese o dalla Tarantella siciliana, dove le danzatrici vestono solitamente i panni della “tentatrice”, accompagnate da inviti gentili e sguardi fugaci volti al compagno, che recita di volta in volta parti diverse.
Egli è ora amante, ora eroe che si sacrifica o principe, che guida e sustenta il suo popolo (non a caso nel balletto classico, ma anche in molte culture antiche il danzatore è sempre a torso nudo in quanto sia l'unico in grado di nutrirsi da solo e di nutrire anche chi gli sta intorno), ora cacciatore, ora gran sacerdote del mito della donna, sfuggente, misteriosa, bellissima e selvaggia, indomita ed imprevedibile come quella natura che il ballerino-principe deve continuamente affrontare, ma che non gli è né troppo ostile, né così dissimile da non essere desiderata.
Atteggiamenti, costruzioni e simboli che vanno dall'abbigliamento (vedi le gonne a sirena della Zagharid che risaltano il ventre e i fianchi, o gli abiti eleganti e sfavillanti della danza Kathakali, per rendere attraente chi li indossa) agli accessori più disparati (dalle spade e veli nelle danze orientali, al ventaglio del flamenco andalusino, utile per compiere gesti di grande seduzione) sembrano perpetuare modelli e stereotipi classici, che limitano il concetto di femminile, riducendone notevolmente il campo d'azione.
Tuttavia non si può dire che la danza sia roba da “donne”, né trasfigurazione del concetto di femminile. Lo è stato forse o forse abbiamo sempre voluto vederla così, dato che non tutte le danze nascono per celebrare i riti legati alla terra o alla fertilità, né vengono coltivate per dare sfogo alla propria sensualità (caratteristica che da sola non rende donne). In particolare vi sono danze che nascono per combattere come la Capoiera brasiliana o il Taijiquan cinese, un tempo tipicamente indicato per le ragazze e in cui corpo e mente si fondono con l’ambiente circostante, attraverso la fluida e a volte impetuosa danza del movimento; danze come il Sufi, praticate solo dagli uomini, che nascono come forma più antica di diffusione dei misteri divini; o danze mistico-rituali come quelle dei Sioux, dove la donna è l'unica a conoscere segreti che l'uomo ignora. Ella è in grado di curare le ferite del compagno per donargli nuovamente la forza e il vigore, strappategli dalla natura durante la caccia diurna.
Solamente ridando alla danza il valore che merita, sarà possibile eliminare le differenze di genere, viverla con passione e far si che la donna scopra in essa la propria femminilità, qualità che non dipende dalle sue capacità seduttivo-comportamentali, ma da quelle psico-caratteriali; perché quest'arte diventi non solo perfigurazione di un modo ideale di vita sociale, ma anche una forma di espressione completa e motivo di appagamento interiore.
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