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Leggendo “Mangiar da streghe” di Laura Rangoni e Massimo Centini

Il cibo e le streghe

...con la leggenda, inventata al Rifugio Taramelli, “L a Grappa delle streghe”, che trova qui un riscontro storico

Di Giovanni Gelmini

Rosa Tiziana Bruno, nell'articolo Fiabe, cibo e rivoluzione., affronta il tema del cibo attraverso la fiaba. Mi hanno colpito due sue frasi:
    Nelle fiabe solitamente è il cibo a rappresentare l’elemento essenziale su cui basarsi per denunciare soprusi, ineguaglianze, ingiustizie. ... Il rapporto della fiaba con il cibo è costante: non ci sono quasi fiabe dove non si consumi cibo, dove non si parli di cose da mangiare. Nelle fiabe, in tempi di fame diffusa e di mai risolta iniqua redistribuzione, il cibo conta, perché manca e perché miracolosamente arriva, perché sparisce e perché si moltiplica, perché è poco ma si può dividere, perché chi ne ha tanto lo tiene per sé, perché è il chiaro oggetto del desiderio. Intorno al cibo ruotano tante cose, ruota la vita.

Il cibo è sempre stato nella vita dell'uomo e della società un elemento basilare, non solo come sostentamento, ma nel suo aspetto simbolico. È stato sempre usato come mezzo per stringere relazioni, per conoscersi meglio. Il cibo consumato insieme appare come simbolo d’amicizia e di familiarità. C'è il detto “non ho mai mangiato con lui” proprio ad indicare l'inesistenza di rapporti con una persona.

Questo è un argomento che mi attrae per molti motivi. Qualche anno fa avevo visto su un banco di una libreria un libro dal titolo “Mangiar da streghe”, ovviamente me lo sono comprato, ma poi, dopo averlo sfogliato, l'ho abbandonato in libreria nella sezione “libri da leggere”. Ora è il momento di approfondire con quella lettura la mia conoscenza sul cibo.

È bene ricordare che la “stregoneria” o meglio la magia è una cosa molto antica, anche se solo nel medioevo ha attratto l'attenzione della chiesa che, attraverso i tribunali dell'inquisizione, ha mandato a morte tante persone, essenzialmente donne, con l'accusa di stregoneria: perfino Giovanna d'Arco.

Il cibo nella visione del cristianesimo medioevale è un veicolo di peccato. Anche il peccato originale nasce dal cibo: un’innocente mela e la tentatrice Eva. Il peccato di gola e la lussuria, sono due dei peccati capitali contro cui la Chiesa si scaglia e spesso vede la donna come elemento portatore della tentazione.

 
Elisa D'Ottavio, La stega, 2011
Gli autori del saggio individuano due direzioni in cui si sviluppa la visione del cibo, che è sempre riferibile al concetto di peccato:
    a) cibo come piacere, che conferma dell'istinto bestiale dell'uomo, dei suoi interessi materiali, prima tappa di una vita votata al peccato e capace di assimilare tutti gli altri vizi;

    b) cibo come elemento dell'eccitazione. Come nella psicoanalisi il mangiare presenta precisi riferimenti con la libido orale, che, dalle prime esperienze di socializzazione del bambino, giunge poi all'erotismo del bacio.
Non è solo la chiesa che individua un rapporto cibo-sesso, ma anche la società: pranzo al lume di candela, cibi stuzzicanti, champagne fanno parte di stereotipi molto diffusi della conquista sessuale. Ora credo sia opportuno ricordare che alla base del potere delle streghe, secondo gli inquisitori cattolici, c'è il rapporto sessuale tra diavolo e strega.

Gli autori scrivono su questo:
    Questo substrato, fortemente simbolico, di certo contribuì a favorire la solidificazione di atteggiamenti colmi di preconcetti nei confronti di chi, per motivazioni diverse, non si atteneva alle regole prestabilite. L'infrazione, essendo identificata prevalentemente sul piano comportamentale, coinvolgeva quindi anche il fatto prettamente alimentare; quest’aspetto diventava un ipersegno, un motivo dominante all'interno dell'iter seguito da chi veniva additato come anomalo. Al centro del consumo di cibo delle streghe c'è il banchetto sabbatico che è caratterizzato da abbondanza di cibo e da una composizione fortemente anomala e trasgressiva del banchetto in cui spesso non mancavano cibi orridi.
Viene poi il cibo visto come pozione magica e l'antropofagia.

Quello che appare dai verbali dei processi per stregoneria porta a identificare questi punti come elementi essenziali dei comportamenti delle streghe:
    a) le streghe rubavano animali e bevande; b)dopo il banchetto, in alcuni casi, gli animali mangiati erano fatti resuscitare e ricondotti nelle stalle;
    c) nelle botti dalle quali avevano sottratto vino o birra, ponevano orina o altri prodotti non commestibili;
    d) i corpi dei bambini erano cotti, alcune parti venivano mangiate, mentre altre servivano per la realizzazione di prodotti magici.

E gli autori del saggio arrivano alla conclusione:

    In sostanza si osserva che il banchetto sabbatico, visto attraverso l'ottica condizionante degli accusatori, diventava un chiaro indicatore della totale negatività dei rituali delle streghe. Il loro pasto, grasso e sfrenato, o orrido da cannibale, era ormai del tutto spogliato da eventuali tracce di culti tradizionali collegati alle culture più antiche.
    Su quella mensa perversa in cui si divoravano i neonati e si invocava Satana, ormai pesavano preconcetti demonizzanti maturati in secoli di accese lotte contro la diversità, contro chi non aveva voluto seguire la strada maestra per continuare a percorrere gli antichi sentieri, contro chi aveva fatto del diavolo il proprio dio.

Fatte queste premesse generali, ora, se passiamo ad indagare nel modo specifico quale potesse essere nella realtà il cibo delle streghe e a questo punto ci accorgiamo che non è diverso da quello degli altri “poveri” vissuti nel medioevo. Un cibo che per la cattiva cottura spesso era indigesto come il pane in cui “ spesso si verificava un’incompleta lievitazione a causa della grandezza delle forme, e un’insufficiente cottura, dovuta all'alto costo della legna da ardere”, ma a questo si deve aggiungere un altro elemento che da solo può giustificare le allucinazioni, il sabba ed i “voli” delle streghe: spesso nella miscela per fare il pane entrava anche la segale cornuta che contiene un elemento chimico simile all'LSD.

Laura Rangoni e Massimo Centini aggiungono: “Il cibo delle streghe, alimento normale o anomalo, ma soprattutto orrido, era un contenitore di credenze, di tradizioni simboliche, che con le sue apparenze manifestava un particolare status a cui apparteneva chi praticava una ben precisa scelta alimentare.
Il cibo del sabba era un ulteriore emblema dell'anomalia delle pratiche perseguite dalle streghe: ogni momento dell'incontro corrispondeva all'infrazione di un tabù: la danza, l'itinerario rituale e il pasto si univano in simbiosi, dando vita a una ricostruzione contrassegnata, nella coscienza del potere antropocentrico, con toni malefici e diabolici.


La stregoneria però si caratterizza come un fenomeno rurale e quindi è opportuno comprendere il modo di approccio al cibo di quel mondo di cui le streghe sono parte. Nel saggio gli autori elencano con precisione quale fossero in quel periodo le caratteristiche del cibo dei contadini e quindi anche delle streghe, ma qui voglio richiamare solo alcuni elementi che a mio avviso hanno creato lo stereotipo della strega:
  • Prodotti della raccolta spontanea comprendevano frutti di bosco, erbe, funghi. Il proverbio insegna che “a primavera ogni erba che sporge la testa è buona per essere messa in pentola”. A tal proposito gli autori ci ricordano che “non era infrequente che venissero consumati anche funghi tossici o velenosi. Sappiamo ad esempio che l'amanita muscaride, letale in determinate quantità, veniva usata assieme ad altri ingredienti, e procurava allucinazioni e visioni. Le fonti ci riportano l'uso di ovuli, prataioli, mazze di tamburo, spugnole, manine, ecc.
  • Le erbe aromatiche e officinali venivano o cercate in luoghi incolti o coltivate nell'orto, e servivano soprattutto per insaporire i piatti. Ma avevano anche una grande importanza come ingredienti di tisane e decotti, che costituivano la cucina-farmacia di quel tempo e tra queste ancora troviamo prodotti in grado di provocare allucinazioni e visioni come, ad esempio: il papavero, la belladonna, la mandragora.
  • L'aglio aveva un posto d'onore nella cucina dei poveri, per il particolare sapore che poteva "rallegrare" piatti altrimenti estremamente insipidi, e per la facile conservazione, così la cipolla e lo scalogno.
  • La carne era ben presente sulle tavole rurali, dalle tre alle cinque volete alla settimana, ma in sostanza animali da cortile (polli, oche, conigli e colombi) e cacciagione. Buoi e mucche erano per lo più animali da lavoro e tenuti in considerazione per la produzione del latte, quindi venivano mangiati quando erano troppo vecchi per lavorare, quando erano sterili o morivano per incidenti e malattie. Capre e pecore venivano allevate anche per il latte e la lana. Erano soprattutto i maiali a occupare un posto importante nel regime alimentare dei poveri e, considerando che le streghe e i contadini non potevano permettersi il lusso dell'olio, il lardo, la sugna e in genere il grasso animale restava l'unica forma di condimento accessibile.
  • Le frattaglie erano il piatto principale dei poveri: orecchie, occhi, zampe, testine, interiora, sangue, trippa, polmone o corata, cuore, a volte pelle.

Importante, sempre per capire come nasce l'immagine della strega, è capire come erano cucinati questi prodotti. Se le frattaglie venivano spesso fritte e insaporite con salse, erbe, le verdure e la carne di buoi e mucche, poiché proveniente da animali vecchi, venivano bollite; forse da questo nasce il famoso pentolone delle streghe!). Dobbiamo ricordare come la legna fosse un prodotto da non consumare in eccesso, ecco perché le cotture a “fiamma viva”, come lo spiedo, non potevano essere comuni.

Nell'ultima parte del libro, la più consistente come numero di pagine, sono raccolte in gran numero di ricette della cucina medioevale rustica, raccolte in capitoletti preceduti da un incipit tratto da documenti che descrivono la stregoneria; questo dimostra come quei cibi diabolici e quei “filtri” altro non erano che normale cibo dei contadini.

Riporto un esempio di questa parte

    Il vino del diavolo
    Nel trattato di Girolamo Menghi, Compendio dell'arte esorcistica (1582), sono contenute numerose formule per la realizzazione di medicamenti adatti ad allontanare il diavolo dai posseduti. Ma quasi ricorrendo ad una sorta di pratica omeopatica, il Menghi si serviva nel suo ricettario anche di prodotti che provenivano direttamente dal formulario della stregoneria.
    È il caso del "vino diabolico" di cui riportiamo l'essenziale ricetta trascritta dal giurista: "un poco di succo di felce quercina fresca, due once di miele rosato e di succo di rosa" ...
    Vino medicato d'ippocrasso
    In un tempo in cui i medici erano riservati a coloro che potevano permettersi di pagarli e nelle campagne le uniche medicine provenivano dalla sapienza delle donne e delle "medichesse" o guaritrici, è facile pensare che in tutte le famiglie vi fosse una sorta di piccola farmacia privata. La base per i medicamenti erano le erbe, che venivano lasciate macerare in acqua, ma più spesso in acquavite o in vino. I vini medicati erano così comuni che ne esistevano centinaia di tipi, per ogni sorta di disturbi...
Ho scelto questo perché ho trovato una ricetta che mi ha ricordato qualcosa che vi racconto subito.
    Acquavite medicata con germogli di abete Questo potente cardiotonico e vasodilatatore aveva la prerogativa di abbassare il numero dei battiti e viene ancora usato contro la tachicardia in certe zone montuose.
    Si prendeva della buona acquavite alla quale si univano due pugni abbondanti di germogli di abete freschissimi. La preparazione di questo "farmaco" avveniva infatti solamente in primavera.
    I germogli di abete si lasciavano macerare per circa due mesi, poi il liquore medicato si filtrava e si addolciva con un paio di cucchiai di zucchero. Questa preparazione aveva un ottimo sapore, e spesso si era tentati di abusarne, mettendo a repentaglio la propria salute: era infatti una preparazione medicata, non un liquore, quindi non si doveva mai eccedere il bicchierino. Ma, si sa, la tentazione ...

Ecco la mia “Grappa delle Streghe” con la sua storia: A un litro di grappa aggiungere una fetta di mela e qualche germoglio di cirmolo, lasciare riposare per qualche giorno e la grappa assumerà un bel colore rosso, dovuto all'essenza del cirmolo.

Ero aiutante rifugista al Taramelli, piccolo rifugio tra i cirmoli, posto su uno sperone al centro della valle San Niccolò (Val di Fassa). Il mio compito principale era di far funzionare il fuoco all'esterno del rifugio per preparare la polenta e le luganighe alla griglia. Mi stavo apprestando ad accendere il fuoco, quando Saudo, il rifugista, arriva con una bottiglia di grappa della sua riserva personale e dice:
    - Dobbiamo migliorare questa grappa 
Così dicendo, stacca alcuni germogli dal cirmolo più vicino e li mette nella bottiglia, poi aggiunge una fetta di mela per “arrotondare” il sapore e conclude:
    - Adesso la porto in cantina, lasciamola riposare qualche giorno e poi la offriremo agli ospiti, oltre che a noi.
Il rifugio era posto su una passeggiata molto frequentata dai villeggiati, che si fermavano volentieri da noi a riposare e a pranzare. Il fuoco acceso con il pentolone della polenta era un elemento di forte attrazione. I villeggianti venivano a fotografarsi accanto al pentolone della polenta e a ciacolare. Mi divertivo a intrattenerli con racconti.
Ecco arrivare Saudo con la famosa bottiglia di grappa:
    - È pronta!
Elisa  D'Ottavio, Notte di luna piena al Taramelli, 2011
E offre un giro a tutti i presenti.
    - Buona! Ma cosa è? Come si fa?
    - La “Grappa delle Streghe” - mi è venuto spontaneo dire, quasi avessi già letto la ricetta storica - è un’antica ricetta che non possiamo rivelare.
    Ce l'hanno lasciata delle streghe per difenderci.
    Nelle notti di luna piena i diavoli escono dal cratere del vulcano spento e volano nella valle. Come sentono odore di cristianucci si precipitano verso di noi che stiamo rinchiusi nel Rifugio.
    I diavoli girano vorticosamente attorno alla struttura cubica di pietra del rifugio e cercano uno spiraglio per entrare e catturarci. Ci attirano anche con lusinghe e ci spaventano con i loro stridii, ma questo infuso ci protegge e ci dà la forza di resistere.
Ecco inventata li per lì la leggenda.

Leggendo “Mangiar da streghe” si ha sempre di più l'impressione che “le streghe" non siano altro che donne non diverse da altre, ma emarginate per qualche loro stranezza, dedite a conoscere i prodotti della natura e a prepararne elisir e decotti per uso curativo sia del corpo, sia della mente, sia del cuore. Ecco così nascere gli incantesimi e le “fatture” e sappiamo come le maldicenze possano trovare un riscontro in una giustizia non molto ortodossa e orientata a vedere ovunque il male, più che a comprendere la realtà.

Laura Rangoni e Massimo Centini scrivono:
    Se non è da escludere che alla base del volo delle streghe vi fosse un'origine allucinatoria, non va neppure ignorato un altro aspetto della fenomenologia: la sottoalimentazione.
    Una causa che, oggettivamente, può aver dato forma a visioni disperate: appare quindi "indiscutibile il rapporto tra stregoneria, sottoalimentazione e fame, già intuito da quel grande medico che era Cardano, il quale riferiva di donne miserabili che vivacchiavano nelle valli prealpine mangiando castagne, erbe e verdure selvatiche e perciò erano macilente, pallide, deformi e maniacalmente fissate in allucinazioni, taciturne e fuori di senno, per cui, egli scriveva, poco differivano da quelle che si crede siano in preda al demonio'

    Ma al sabba si mangiava e si beveva, si consumavano grosse quantità di cibo e di bevande, spesso ottenute rubando le scorte nei magazzini delle vittime dei malefici. Anche questa era una pratica trasgressiva, un modo per uscire dalle regole imposte.
Tutto questo può essere un’allucinazione, un sogno, perché quando c'è la sotto alimentazione, la tavola imbandita e l'abbondanza di cibo può essere un vero sogno ricorrente, come già i filosofi greci sapevano.

Concludiamo ancora con le parole degli autori di “Mangiar da streghe”:
    Anche le streghe quindi erano vittime delle visioni o dei sogni prodotti dalla scarsa alimentazione e da una fame che mai trovava soddisfazione?
    Accettare in toto una simile ipotesi risulta obiettivamente difficile, se pure è innegabile che i grandi banchetti descritti dalle accusate avevano tutte le caratteristiche per essere situati nell'ambito della visione, ben lontani dalla verità.

Tutte le immagini, ad esclusione della cartolina storica del Rifugio Taramelli, sono tratte dal libro “Mangiar da streghe”



Mangiar da streghe
Massimo Centini, Laura Rangoni

Prezzo Listino € 10,40
Editore Ugo Mursia Editore Collana Golosia e C.

Data uscita 14/05/1999
Pagine 136, Illustrato
Lingua Italiano
EAN 9788879341172
ISBN 8879341170

Al sabba con streghe e diavoli per assaggiare le acciughe degli adepti di Satana, la pelle di vitello farcita degli stregoni catari. Un banchetto letterario e grastronomico cadenzato con i chierici vaganti che svelano il segreto amoroso delle fave, del vino diabolico, del potere di tramutare le pietre in pane.


Argomenti:   #centini ,        #cibo ,        #contadini ,        #medioevo ,        #rangoni ,        #recensione ,        #saggio ,        #storia ,        #streghe



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