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Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2011 - Processi formativi

Luci e ombre di una sistema formativo inadeguato

La dispersione scolastica resta troppo elevata. La debolezza strutturale della filiera professionale. Rallentamento della formazione continua


Giovani e dispersione scolastica: meno abbandoni, più differenziazioni territoriali, più scoraggiamento.
Ancora lontani dall’obiettivo europeo di giungere nel 2020 a una media del 10% di early school leavers, in Italia tale fenomeno si sta però lentamente riducendo. Nel 2010 la quota di giovani 18-24enni in possesso della sola licenza media e non più inseriti in percorsi formativi è scesa dal 19,2% al 18,8%, con varia intensità in tutte le aree del Paese, ad eccezione del Centro che rimane l’area dove tale indicatore è più contenuto (14,8%). Per il fenomeno dei giovani Neet, ovvero dei giovani che non studiano e non lavorano, l’Italia detiene un ben triste primato a livello europeo. La quota di Neet 15-29enni ha ripreso a crescere con l’inizio della crisi economica, attestandosi nel 2010 al 22,1% rispetto al 20,5% dell’anno precedente.

La debolezza strutturale della filiera professionalizzante.
L’ultima riforma del sistema scolastico ha dato un nuovo slancio agli istituti tecnici che, supportati anche da un attivo interessamento da parte della rappresentanza imprenditoriale, registrano nel corrente anno scolastico un incremento dello 0,4% di iscrizioni al primo anno rispetto al 2010-2011 (dati riferiti alla sola scuola statale). Il rinnovato appeal non si estende agli istituti professionali, che nello stesso periodo hanno perso il 3,4% di neoiscritti. Nel 2011 le richieste di personale con la sola qualifica professionale sono aumentate, passando dall’11,7% del totale nel 2010 al 13,5%. Ma i giovani che si rivolgono ai percorsi triennali di istruzione e formazione professionale costituiscono solo il 6,7% del totale degli iscritti al secondo ciclo di istruzione, pari a circa 38.000 studenti.

Quale futuro per l’educazione degli adulti?
La partecipazione all’apprendimento permanente della fascia di popolazione italiana compresa tra 25 e 64 anni sembra aver interrotto il trend di sia pur moderata crescita, attestandosi nel 2009 al 6% e risalendo debolmente l’anno successivo al 6,2%, a fronte di una media europea del 9,1% nel 2010 e della soglia del 15% posta dalla strategia Europa 2020. Tra il 2009 e il 2011 la quota di risorse assegnate della legge 440 del 1997 si è ridotta del 43,9%. L’istruzione degli adulti sembra essere stata relegata a un ruolo sempre più marginale: la relativa voce di spesa è diminuita di ben 72 punti percentuali, passando dai 16 milioni di euro del 2009 ai 4,4 milioni del 2011.

Dati e fatti, poco noti, dell’università italiana.
Le risorse intercettate dai dipartimenti e dai centri di ricerca italiani nel triennio 2008-2010 evidenziano un buon dinamismo: sono state raccolte risorse complessive superiori ai 550 milioni di euro. L’86,6% delle risorse proviene dalla partecipazione a bandi di gara europei (VI e VII Programma Quadro), mentre il restante da finanziamenti di organismi internazionali o dal mondo privato. Sugli oltre 3.000 dipartimenti esistenti, circa un terzo in ciascuno degli anni considerati ha generato opportunità di fund raising in partenariato per i grandi bandi europei o lavorando direttamente sul mercato. Quasi il 20% delle risorse acquisite nel triennio 2008-2010 afferiscono all’area delle scienze mediche (18,7%), al secondo si posiziona l’area ingegneristica e architettura con il 17,3%, al terzo i saperi delle scienze di base (matematica, fisica, ecc.: 15,9%) e al quarto l’area dell’ingegneria industriale e dell’informazione (15,6%). All’ultimo posto, con oltre 4 milioni di euro, si collocano le scienze giuridiche (0,8%).

Luci e ombre della mobilità.
La partecipazione italiana alla mobilità transnazionale necessita di essere ulteriormente spinta e agevolata. Il 12,1% dei giovani di età compresa tra 15 e 35 anni che dichiarano di aver soggiornato o di essere all’estero per istruzione e formazione è al di sotto della media europea (15,4%) di oltre 3 punti percentuali, posizionandosi al quart’ultimo posto della graduatoria europea. Il valore è ben lontano dal 27,8% e dal 23,6% di austriaci e svedesi. Se mediamente il 65,7% dei giovani europei e delle loro famiglie ha finanziato la propria mobilità con fondi privati o con risparmi personali, ciò è avvenuto nel 68,7% dei casi in Italia e addirittura in misura superiore al 70% negli altri principali Paesi presi a confronto: Regno Unito (71,1%), Germania (72,3%) e Francia (72,4%).

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