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Anno VIII n° 1 GENNAIO 2012 - RECENSIONI Letto per voi |
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l tema della morte è da molti escluso, parlarne genera disagio o reazioni scaramantiche; ben pochi lo considerano un argomento di cui si può parlare. Non sono tra questi, ho sempre considerato la morte una parte della vita (La Morte nostra compagna di vita) e naturalmente sono stato attratto dall'argomento svolto e dalla firma di Concita de Gregorio.
A scuola si è imposta la pedagogia dell'infinito. Una pedagogia razionale che insegna come funzionano le cose, in una specie di eterno presente, ma non come finiscono. È bandito un tema di cui i ragazzi sanno parlare invece con facilità e che cercano nei fumetti, nei film, su internet, nei videogiochi. Non c'è spazio, nei programmi di studio, per l'educazione emotiva all'insuccesso, alla sofferenza. Capita poi che al primo contrattempo i ragazzi diano segnali di frustrazione esagerati, apocalittici, reazioni fuori misura. Le cronache ne sono colme. Mi spiega la maestra Rosa. «Siamo noi adulti, non i bambini, ad avere paura di trattare il tema della sofferenza e della morte. Siamo noi a non essere preparati, non loro. Spesso gli insegnanti hanno paura della reazione dei genitori, inoltre. Cosa diranno, come la prenderanno. Del resto non è un obbligo farlo. Nei programmi sono indicati i temi della droga, del sesso, dell'Aids e della prevenzione, addirittura l'insegnamento del codice della strada per ridurre gli incidenti. Non si parla mai delle possibili conseguenze dei pericoli, però. Del lutto e della morte no». Leggendo il libro siscoprono anche delle professioni sconosciute, come “l'accompagnatore alla morte” che è importante perché quando uno è vicino a morire sembra che tutti scappino e restano invece tante cose da fare: “rimettere insieme le parti della vita, però da vivi”. Un discorso che mi ricorda il monologo di Margherita nel “Re Muore” di Jonesco. Era brutta Louise Bourgeois con quella faccia che sembrava la ragnatela dei suoi ragni? No, era meravigliosa, opera d'arte lei stessa, E Simone Signoret da vecchia non era magnifica? E Edith Piaf? La domanda può essere la premessa di alcuni capitoli sul problema dell'accettare la propria vecchiaia come condizione per essere umani. Credo che il più interessante di questi sia “Pitanguy, il pioniere”, in cui Concita de Gregorio racconta dell'incontro con il pioniere della chirurgia plastica che ha aperto un “strada che da sentiero è diventata a sedici corsie”. Interessatne l'opinione del maestro che si lamenta di dover spiegare ai suo colleghi che “il chirurgo non è un coiffeur”. Il libro è corredato di un’appendice con una “Rassegna incompleta di libri memorabili” e l'elenco delle opere citate nel testo. Concita de Gregorio scrive benissimo e questo rende il libro molto scorrevole, anche se l'argomento affrontato è difficile; l'unica avvertenza che mi sento di fare al lettore è che l'autrice a volte parla di persone o di opere come se tutti le conoscessero perfettamente, ma non sempre è così. A questo però si può ovviare facilmente con internet che è una fonte inesauribile di informazioni. Così è la vita. Imparare a dirsi addio Concita De Gregorio Prezzo 14,50 € Data uscita 31/10/2011 118 Pagine, brossura Editore Einaudi. Stile libero big Disponibile anche in ebook a € 9,99 I bambini fanno domande. A volte imbarazzanti, stravaganti, definitive. Vogliono sapere perché nasciamo, dove andiamo dopo la morte, perché esiste il dolore, cos'è la felicità. E gli adulti sono costretti a trovare delle risposte. È un esercizio tra la filosofia e il candore, che ci obbliga a rivedere ogni volta il nostro rassicurante sistema di valori. Perché non possiamo deluderli. Né ingannarli. Siamo stati come loro non troppo tempo fa. Dell'invecchiare, dell'essere fragili, inadeguati, perfino del morire parliamo ormai di nascosto. Ai bambini è negata l'esperienza della fine. La caducità, la sofferenza, la sconfitta sono fonte di frustrazione e di vergogna. L'estetica dell'eterna giovinezza costringe molte donne nella prigione del corpo perfetto e le inchioda dentro un presente mortifero, incapace di darci consolazione, perfino felicità. In questa intensa, sorprendentemente gioiosa inchiesta narrativa, Concita De Gregorio ci chiede di seguirla proprio in questi luoghi rimossi dal discorso contemporaneo. Funerali e malattie, insuccessi e sconfitte, se osservati e vissuti con dignità e condivisione, diventano occasioni imperdibili di crescita, di allegria, di pienezza. Perché se non c'è peggior angoscia della solitudine e del silenzio, non c'è miglior sollievo che attraversare il dolore e trasformarlo In forza.
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