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Cavalcata nei nostri problemi del vivere: dalle mode alle virtù cardinali

Il minimalismo ci salverà?

Dopo gli anni del boom siamo stati investiti dal “consumismo” e dalla necessità di “apparire”; ora la crisi economica c’impone di rivedere il modo con cui impostiamo la nostra vita: è necessario “consumare” anche l'inutile?

Di Giovanni Gelmini

A me è capitato, ma sarà capitato anche a voi, di voler fare dei regali per Natale e non sapere cosa regalare, perché il destinatario dell'omaggio risultava avere tutto quello che mi passava per la testa, e non si trattava di persone ricche, ma solo gente che lavora con normali stipendi o con una normalissima pensione. Io stesso, a chi mi chiedeva cosa desiderassi, non sapevo cosa rispondere.

Proprio mentre sto ragionando su come ci siamo abituati a soddisfare con facilità i nostri desideri e le nostre esigenze e sul fatto che possiamo ben sopportare la crisi economica tagliando un poco le nostre spese in eccesso, trovo sul video un link sul minimalismo; mi attrae e cerco di approfondire l'argomento.

Chiariamo innanzitutto che quello che leggo non tratta della corrente artistica del novecento, che ha operato nei campi della pittura, della scultura, dell'architettura, della letteratura e della musica, ma di una filosofia di vita che parte dall'idea di alleggerirsi per avere più tempo e più libertà.

Il minimalismo teorizza che per essere felici si deve avere “l'abbastanza” cioè non di più e non di meno di ciò che è necessario. Il superfluo appesantisce la nostra vita e per averlo impieghiamo inutilmente il nostro tempo, che invece potrebbe essere utilmente usato per soddisfare le tante cose che ci piacciono, ma che lasciamo per strada perché non abbiamo tempo.

Sembra che Stefano Bollani, musicista minimalista (N.d.R. ma allora c'è un collegamento tra arte e filosofia di vita? È molto probabile), abbia affermato “il vero lusso è fare ciò che voglio nel momento in cui lo desidero”. Anche se la frase non fosse sua, credo che questa sia la vera libertà e che per essere soddisfatti si debba essere proprio liberi di realizzare quello che si pensa opportuno. Sappiamo però che questa libertà è impedita dalla scarsità di risorse: denaro e tempo.

Negli anni del boom economico la gente ancora era molto attenta al valore dei soldi e non spendeva a vanvera, comprava cose utili, magari sognate da anni, e giustamente aveva il piacere di far vedere agli altri quello che aveva finalmente raggiunto: la moto o l'auto, le vacanze al mare, la televisione, il telefono, ma le cose non si buttavano con facilità; c'era ancora la voglia di risparmiare e le cose guaste si cercavano di riparare, i vestiti sistemati, mai buttati se ancora utilizzabili.

Negli anni sessanta il benessere divenne diffuso, ma ancora c'era l'abitudine di tenere ben sotto controllo le spese. Negli anni '70 il tempo dedicato al lavoro diminuì, restò più spazio per il “tempo libero” e incominciò a fare la sua comparsa il “consumismo”. Ad esempio: negli anni precedenti era piuttosto diffusa l'abitudine del capo fatto su misura dal sarto. Con gli anni '70 prende piede la moda pre a porter. Successivamente diventa importante “la firma” e gli stilisti firmano di tutto, non solo gli accessori, ma anche prodotti lontani dal campo della moda.

Cosa è successo?

È successo che i produttori si sono accorti di avere in mano la chiave per fare i soldi: il consumismo. Il meccanismo, se vogliamo, è semplice: attraverso i mass media si crea un modello di riferimento e, facendo gioco sull'insicurezza che alberga in ognuno di noi, si convince la gente che, se non ti omologhi al modello, sei un pezzente e devi essere messo da parte. Ecco che “l'apparire”, figlio del consumismo, diventa la filosofia di vita.

Si devono avere abiti firmati, andare in vacanza in luoghi esotici, il cellulare dell'ultima generazione con un sacco di prestazioni inutili, il portatile viene sostituito velocemente dal tablet, non importa se il vecchio PC andava benissimo. Infine si deve fare carriera, non importa se per farla ci si prostituisce fisicamente e/o intellettualmente, l'importante è essere “in”.

Nel frattempo dagli anni '90 ad oggi verifichiamo due fenomeni: la diminuzione del reddito reale e l'aumento del tempo dedicato al lavoro. Non solo le ore di lavoro sono aumentate, ma il lavoro, grazie all'innovazione tecnologica e alla serrata competizione “per fare carriera”, è diventato più stressante, così il tempo libero si è ridotto e, grazie alla stanchezza, non si riesce più a fare quello che si vorrebbe.

L'attuale crisi economica può essere un'ottima occasione per incominciare a ragionare su cosa effettivamente ci è necessario e cosa invece è una sovrastruttura, che ci mangia soldi e tempo. Iniziare quindi a ragionare secondo la logica minimalista diventa una via per non schiattare, per superare la grande insoddisfazione che viene generata dal modo di vita stressante del consumismo e “dell'apparire” e, cosa da non sottovalutare, per non sprecare tanti soldi e magari indebitarsi per mantenere il tenore di vita.

Allora il minimalismo è la nostra salvezza?

Il movimento minimalista non si dichiara come alternativa al consumismo, anche se la sua applicazione tarpa le ali alla base concettuale del consumismo e più ancora al suo figlio “l'apparire”.

Essere minimalisti vuol dire valutare e scegliere ogni cosa e lasciare o gettare tutto quello che non è essenziale. Liberarsi dagli oggetti comprati e mai usati, da tutte le cose dimenticate nei cassetti non basta: si deve imparare a non riempirli di nuovo, a non acquistarli di nuovo.

Il minimalismo vuole rompere lo schema per cui si vuole sempre di più. Minimalismo significa trovare la felicità, l'appagamento in quello che già abbiamo e valorizzare noi stessi per quello che siamo, non per l'immagine che altri ci vogliono far credere sia il giusto.

Su queste immagini ridicole si gioca la nostra vita. Consideriamo quello che l'altra gente vede di noi, secondo questi canoni. La donna deve essere un grissino, viso regolare d'angelo, con zigomi e bocca rimodellati con silicone liquido o un filler, i seni evidenti a palloncino, di parecchi litri ciascuno, trasbordanti dalla scollatura. La mimica facciale diventa obsoleta con il botulino, i visi sono congelati in un'unica espressione di ghiaccio.

Per gli uomini si hanno due diversi modelli in contemporanea, se vogliamo contrapposti, ma che si realizzano sulla persona: in uno l’uomo deve essere imponente, pieno di muscoli scolpiti; ventre, glutei, polpacci e braccia devono ostentare forza e virilità con il gonfiore, tutto senza peli per mettere in evidenza proprio i muscoli e le vene che pulsano. Nell'altro modello i visi devono essere addolciti, zigomo scolpito, ma labbra voluttuose gonfie e lucide, come quelle delle donne, le sopracciglia devono essere molto femminili, appena visibili, molto fini, e incorniciare occhi con rimmel, che, se trattati dal chirurgo, assumono molto spesso una forma allunga, più dolce, a mandorla. È strana questa cosa: da un lato virilità e dall'altro sembianze femminili sul viso per renderli quasi infantili: un mostro!

Uomini e donne devono essere giovani e senza peli, se non sul capo. Non contano le loro reali capacità e la loro sensibilità, conta solo quello che si vede.

L'immagine che ci proiettano non esiste in natura: per ottenerla dobbiamo ricorrere alla chirurgia estetica, che rovina il nostro corpo e, sembra, anche la nostra mente.

Applicare il minimalismo vuol dire rompere un circolo vizioso che ci fa allontanare dal centro di noi stessi, rifiutare le immagini lontane dal nostro essere che sono chimere, che portano alla distruzione del nostro equilibrio interiore e che generano in noi solo insoddisfazione e stress.

Dobbiamo però stare attenti perché applicare i concetti del minimalismo non è semplice. Occorre innanzitutto essere coscienti di chi siamo noi, cosa non facile nella confusione che la pubblicità diretta ed indiretta crea. Se non sappiamo chi siamo noi, come possiamo sapere che cosa è per noi utile ed indispensabile e cosa invece è sovrastruttura da eliminare?

Se l'accumulare oggetti e “l'apparire” possono essere descritti da alcuni vizi capitali: avarizia, superbia, lussuria e gola, che sottendono altri due: invidia e ira. Il minimalismo mal interpretato può condurre all'ultimo vizio rimasto: l'accidia.

Se non ci sappiamo ascoltare, se non ci conosciamo, come facciamo a scegliere cosa ci è necessario e cosa no? Nella mia ricerca sul minimalismo ho trovato cose perlomeno strane come:

  • ripulire il desktop del PC dell’ufficio di tutte le icone;
  • basta giornali cartacei e ritagli degli articoli interessanti!

Ora mi chiedo che significato ha cassare tutto?
Ognuno di noi ha una storia e degli interessi. Volerli dimenticare e cancellarli che cosa ci dà?
Se tutti cancelliamo la nostra storia personale, cancelliamo anche la storia del territorio, ma la storia è importante, non come memoria, bensì per capirci e rafforzarci: il nostro passato serve a preparaci il futuro. Cancellare il passato vuol dire non dare più spessore al futuro, non avere ragione per modificarci, per desiderare di provare cose nuove per crescere. Ecco così arrivare l'accidia: l'inerzia nel vivere o il torpore malinconico.

I vizi capitali si combattono con le virtù, parola oggi considerata nefasta:

  • Prudenza: a discernere, in ogni circostanza, il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per attuarlo;
  • Giustizia: dare a tutti ciò che è loro dovuto;
  • Fortezza: capacità di resistere alle avversità, di non scoraggiarsi dinanzi ai contrattempi, di perseverare nel cammino di perfezione interiore;
  • Temperanza: modera l'attrattiva dei piaceri sensibili e rende capaci di equilibrio nell'uso della materia.

Ma allora le quattro virtù cardinali predicano il minimalismo, non l'avrei mai detto!

Argomenti:   #crisi economica ,        #minimalismo ,        #saggio ,        #società ,        #virtù cardinali ,        #vita ,        #vizi capitali



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