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Letto per voi

“Così è la vita. Imparare a dirsi addio” di Concita De Gregorio


Di Cricio

l tema della morte è da molti escluso, parlarne genera disagio o reazioni scaramantiche; ben pochi lo considerano un argomento di cui si può parlare. Non sono tra questi, ho sempre considerato la morte una parte della vita (La Morte nostra compagna di vita) e naturalmente sono stato attratto dall'argomento svolto e dalla firma di Concita de Gregorio.

Il libro si snoda attraverso capitoletti, in genere brevi, ma nel “Prologo” troviamo la sintesi del libro e all'inizio del prologo trovo ci sia la sintesi del tutto:

Ci siamo tanto divertiti Le cose migliori che mi sono successe negli ultimi tre anni sono state a un funerale. Incontri, viaggi, emozioni, sorprese scoperte e allegrie, riso nel pianto e luce nel lutto. Ho ritrovato amici e amori, ho sentito cantare bambini muti e ragazzi sordi suonare il violoncello, ho scoperto semi di albero preziosi come 1'oro. Proseguendo la lettura si possono individuare la linea e la filosofia lungo la quale Concita de Gregorio ha ordinato i vari pezzi.

La prima domanda che si pone è per quale motivo i bambini siano tenuti lontano dalla morte, quando la morte è per loro una cosa naturale, perché vicina alla nascita. La morte è “irrazionale” per gli adulti, che non sono pronti ad affrontarla e l'hanno cancellata. Ecco una serie di capitoletti in cui si trovano considerazioni su questo argomento. Ce n'è uno che ho trovato stupendo: “Il viaggio di Guglielmo”, dove la morte si incrocia con la vita, l'arte e la sensibilità di un bambino sordo e muto.

L'incrocio della morte e della vita viene nascosto, perché? Cosi risponde Concita de Gregorio:

    A scuola si è imposta la pedagogia dell'infinito. Una pedagogia razionale che insegna come funzionano le cose, in una specie di eterno presente, ma non come finiscono. È bandito un tema di cui i ragazzi sanno parlare invece con facilità e che cercano nei fumetti, nei film, su internet, nei videogiochi. Non c'è spazio, nei programmi di studio, per l'educazione emotiva all'insuccesso, alla sofferenza. Capita poi che al primo contrattempo i ragazzi diano segnali di frustrazione esagerati, apocalittici, reazioni fuori misura. Le cronache ne sono colme. Mi spiega la maestra Rosa. «Siamo noi adulti, non i bambini, ad avere paura di trattare il tema della sofferenza e della morte. Siamo noi a non essere preparati, non loro. Spesso gli insegnanti hanno paura della reazione dei genitori, inoltre. Cosa diranno, come la prenderanno. Del resto non è un obbligo farlo. Nei programmi sono indicati i temi della droga, del sesso, dell'Aids e della prevenzione, addirittura l'insegnamento del codice della strada per ridurre gli incidenti. Non si parla mai delle possibili conseguenze dei pericoli, però. Del lutto e della morte no».

Leggendo il libro siscoprono anche delle professioni sconosciute, come “l'accompagnatore alla morte” che è importante perché quando uno è vicino a morire sembra che tutti scappino e restano invece tante cose da fare: “rimettere insieme le parti della vita, però da vivi”. Un discorso che mi ricorda il monologo di Margherita nel “Re Muore” di Jonesco.

    Era brutta Louise Bourgeois con quella faccia che sembrava la ragnatela dei suoi ragni? No, era meravigliosa, opera d'arte lei stessa, E Simone Signoret da vecchia non era magnifica? E Edith Piaf?

La domanda può essere la premessa di alcuni capitoli sul problema dell'accettare la propria vecchiaia come condizione per essere umani. Credo che il più interessante di questi sia “Pitanguy, il pioniere”, in cui Concita de Gregorio racconta dell'incontro con il pioniere della chirurgia plastica che ha aperto un “strada che da sentiero è diventata a sedici corsie”. Interessatne l'opinione del maestro che si lamenta di dover spiegare ai suo colleghi che “il chirurgo non è un coiffeur”.

Il libro è corredato di un’appendice con una “Rassegna incompleta di libri memorabili” e l'elenco delle opere citate nel testo.

Concita de Gregorio scrive benissimo e questo rende il libro molto scorrevole, anche se l'argomento affrontato è difficile; l'unica avvertenza che mi sento di fare al lettore è che l'autrice a volte parla di persone o di opere come se tutti le conoscessero perfettamente, ma non sempre è così. A questo però si può ovviare facilmente con internet che è una fonte inesauribile di informazioni.


Così è la vita. Imparare a dirsi addio
Concita De Gregorio
Prezzo 14,50 €
Data uscita 31/10/2011
118 Pagine, brossura
Editore Einaudi. Stile libero big
Disponibile anche in ebook a € 9,99

I bambini fanno domande. A volte imbarazzanti, stravaganti, definitive. Vogliono sapere perché nasciamo, dove andiamo dopo la morte, perché esiste il dolore, cos'è la felicità. E gli adulti sono costretti a trovare delle risposte. È un esercizio tra la filosofia e il candore, che ci obbliga a rivedere ogni volta il nostro rassicurante sistema di valori. Perché non possiamo deluderli. Né ingannarli. Siamo stati come loro non troppo tempo fa. Dell'invecchiare, dell'essere fragili, inadeguati, perfino del morire parliamo ormai di nascosto. Ai bambini è negata l'esperienza della fine. La caducità, la sofferenza, la sconfitta sono fonte di frustrazione e di vergogna. L'estetica dell'eterna giovinezza costringe molte donne nella prigione del corpo perfetto e le inchioda dentro un presente mortifero, incapace di darci consolazione, perfino felicità. In questa intensa, sorprendentemente gioiosa inchiesta narrativa, Concita De Gregorio ci chiede di seguirla proprio in questi luoghi rimossi dal discorso contemporaneo. Funerali e malattie, insuccessi e sconfitte, se osservati e vissuti con dignità e condivisione, diventano occasioni imperdibili di crescita, di allegria, di pienezza. Perché se non c'è peggior angoscia della solitudine e del silenzio, non c'è miglior sollievo che attraversare il dolore e trasformarlo In forza.


Argomenti:   #de gregorio ,        #libro ,        #morte ,        #recensione ,        #saggio



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